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Cosa succede in Europa? (dal blog di Krugman, 13 agosto 2014)

 

Aug 13 9:48 am

What’s the Matter With Europe?

Just a few months ago Europe’s austerians were busy congratulating themselves, declaring that a modest upturn in southern Europe vindicated all their actions. But now the news is looking grim, with industrial production stalling out and good reason to fear yet another slide into recession:

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This comes as many though not all US data points are suggesting stronger growth. So why has Europe done so badly? I’m actually not too committed to any one story here; there are arguably several factors.

First, there is fiscal austerity, which has been a very big drag. It’s important to realize, however, that the US has also had quite a lot of de facto austerity via the sequester and all that at the federal level, and state and local cutbacks. If we use the IMF’s measure of structural balances, Europe has indeed tightened relative to the United States:

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International Monetary Fund

But it’s not as big a difference as you might think — maybe 2 1/2 points of potential GDP.

You can also argue that Europe’s fundamentals are considerably worse. If you’re worried that secular stagnation might be depressing the natural real rate of interest — the rate consistent with full employment — and you think that demography is a big factor, Europe looks really terrible, indeed full-on Japanese:

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This says that Europe really, really needs to keep inflation expectations from sliding — in fact, it almost surely needs expected inflation higher than 2 percent. In fact, however, the ECB has been much less successful than the Fed at keeping expected inflation from declining.

And this reflects past policy choices and what they say about institutional biases. In the US, Janet Yellen and associates have been quite clear that they are prepared to take some inflation risks on the upside in order to avoid the “nightmare scenario” of raising rates only to discover that the economy was weakening again, and thereby deepening the liquidity trap. In Europe, however, the nightmare scenario isn’t hypothetical: it happened both in 2008 and, incredibly, again in 2011. And the sadomonetarists at the BIS and elsewhere continue to have much more influence in Europe than in the United States.

The thing is, I don’t believe that current management at the ECB is that different in its understanding of what policy should be doing from leadership at the Fed. But it has to struggle against an economy that is weaker in its underlying fundamentals, bad history, and a much more powerful contingent of monetary hawks.

It really is quite scary.

 

Cosa succede in Europa?

Solo pochi mesi fa i filo-austeri in Europa erano occupati a congratularsi reciprocamente, dichiarando che una modesta risalita nell’Europa meridionale faceva giustizia delle loro iniziative. Ma adesso le notizie sembrano sgradevoli, con la produzione industriale che ristagna e con buone ragioni per temere un’altra scivolata nella recessione:

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Questo accade nel mentre molti, anche se non tutti, riferimenti statistici negli Stati Uniti stanno indicando una crescita più forte. Cosa ha fatto, dunque, l’Europa di così negativo? In questo caso, io per la verità non sono troppo legato a nessuna spiegazione particolare; ci sono probabilmente una molteplicità di fattori.

Il primo: c’è stata una austerità della finanza pubblica che è stata un vero grande fattore di trascinamento. E’ anche importante comprendere, tuttavia, che anche gli Stati Uniti hanno di fatto avuto una buona misura di austerità, attraverso il cosiddetto “sequestro” [1] e tutto il resto al livello federale, ed i tagli ai livelli degli Stati e delle istituzioni locali. Se utilizziamo le misure del FMI degli equilibri strutturali [2], l’Europa in effetti si è ristretta [3] rispetto agli Stati Uniti:

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Fondo Monetario Internazionale

 

Ma non è una differenza così grande come si potrebbe ritenere – forse due punti e mezzo del PIL potenziale.

Si può anche sostenere che i fondamentali dell’Europa siano considerevolmente peggiori. Se siete preoccupati che la stagnazione secolare possa essere depressiva del tasso di interesse reale naturale – ovvero il tasso di interesse coerente con la piena occupazione – e pensate che la demografia sia un fattore importante, l’Europa sembra realmente in un condizione molto negativa, in sostanza pienamente ‘giapponese’:

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[4]

Questo dice che l’Europa ha per davvero bisogno di evitare uno scivolamento delle aspettative di inflazione – di fatto, ha quasi certamente bisogno di una inflazione attesa più elevata del 2 per cento. In sostanza, tuttavia, la BCE ha molto meno successo della Fed nell’impedire un declino della inflazione attesa.

E questo riflette le passate scelte politiche e quello che esse ci dicono dei pregiudizi nelle istituzioni. Negli Stati Uniti, Janet Yellen e i suoi colleghi sono stati abbastanza chiari nell’affermare di essere pronti a correre alcuni rischi inflazionistici verso l’alto pur di evitare uno “scenario da incubo” di tassi crescenti al solo scopo di scoprire che l’economia si sta nuovamente indebolendo, e di conseguenza che si sta approfondendo la trappola di liquidità. In Europa, tuttavia, lo scenario da incubo non è ipotetico: è successo nel 2008 e, incredibilmente, ancora nel 2011. Ed i sadomonetaristi alla Banca dei Regolamenti Internazionali e dappertutto continuano ad avere molta maggiore influenza in Europa che non negli Stati Uniti.

Il punto è il seguente: io non credo che l’attuale governo della BCE sia così diverso nella comprensione di quale politica dovrebbe essere messa in atto, rispetto al gruppo dirigente della Fed. Ma esso deve combattere con un’economia che è più debole nei suoi sottostanti fondamentali, con una storia negativa, e con uno schieramento di falchi del monetarismo molto più potente.

Davvero è una situazione che fa non poca paura.

 

 

[1] E’ uno dei termini con i quali sono state descritte negli ultimi anni le controversie ostruzionistiche nel Congresso americano che hanno caratterizzato lo scontro tra i repubblicani e la Amministrazione Obama, con non pochi effetti pratici sull’andamento reale della politica finanziaria pubblica.

[2] Gli “equilibri strutturali”, ai fini della lettura del diagramma successivo, sono così definiti nel glossario dell’OCSE: “L’equilibrio di bilancio può essere scomposto in una componente ciclica ed in una componente non-ciclica, o strutturale. La scomposizione è rivolta a separare le influenze cicliche sul bilancio che derivano dalla divergenza tra la produzione effettiva e quella potenziale (il gap della produzione), dai fattori non ciclici. I cambiamenti di questo secondo genere possono essere considerati una causa piuttosto che un effetto delle fluttuazioni della produzione e possono essere interpretati come indicativi delle correzioni politiche discrezionali. Dovrebbe essere notato, tuttavia, che i cambiamenti nelle risorse in entrata – quali i risultati dei cambiamenti dei prezzi del petrolio, ad esempio – e nei pagamenti degli interessi – quali i risultati della passata accumulazione del debito o i cambiamenti nei tassi di interesse – non sono né ciclici né puramente discrezionali. Tuttavia, questi cambiamenti sono riflessi nella evoluzione della componente strutturale dell’equilibrio di bilancio”.

 

[3] Mi pare che l’espressione “si è ristretta”, alla luce della definizione precedentemente illustrata di “equilibrio strutturale”, significhi che, in riferimento alla produzione potenziale, gli equilibri strutturali sono ‘peggiorati’ maggiormente negli Stati Uniti, rispetto all’Europa. Ovvero che negli Stati Uniti c’è stata nel complesso una austerità minore, e conseguentemente un sostegno maggiore alla crisi di domanda.

[4] La tabella indica l’andamento della popolazione in età lavorativa compresa tra i 15 ed i 64 anni nell’area euro, e mostra l’andamento anno per anno – dal 2006 al 2013 – rispetto all’anno precedente. E’ dunque un indicatore demografico particolarmente significativo degli effetti della demografia sul mercato del lavoro, con un effetto di restrizione particolarmente significativo sia di una crescente quota di persone anziane, sia di un crescente basso ricambio di persone giovani.

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