Aug 9 9:09 am
Robert Draper’s long magazine piece about the possibility of a “libertarian moment” has drawn a fair bit of commentary; much of it involves questioning the supposed polling evidence. As Jonathan Chait points out, independent polling — as opposed to surveys conducted by libertarians seeking to boost their own profile — suggests that young Americans are actually much more pro-government than their elders. They may look relatively kindly on anti-war libertarians, but they really don’t support the policy agenda.
But there’s what I would consider an even bigger problem: when it comes to substance, libertarians are living in a fantasy world. Often that’s quite literally true: Paul Ryan thinks that we’re living in an Ayn Rand novel. More to the point, however, the libertarian vision of the society we actually have bears little resemblance to reality.
Mike Konczal takes on a specific example: the currently trendy idea among libertarians that we can make things much better by replacing the welfare state with a basic guaranteed income. As Mike says, this notion rests on the belief that the welfare state is a crazily complicated mess of inefficient programs, and that simplification would save enough money to pay for universal grants that are neither means-tested nor conditional on misfortune. But the reality is nothing like that. The great bulk of welfare-state spending comes from a handful of major programs, and these programs are fairly efficient, with low administrative costs.
Actually, the cost of bureaucracy is in general vastly overestimated. Compensation of workers accounts for only around 6 percent of non defense federal spending, and only a fraction of that compensation goes to people you could reasonably call bureaucrats.
And what Konczal says about welfare is also true, although harder to quantify, for regulation. For sure there are wasteful and unnecessary government regulations — but not nearly as many as libertarians want to believe. When, for example, meddling bureaucrats tell you what you can and can’t have in your dishwashing detergent, it turns out that there’s a very good reason. America in 2014 is not India under the License Raj.
In other words, libertarianism is a crusade against problems we don’t have, or at least not to the extent the libertarians want to imagine. Nowhere is this better illustrated than in the case of monetary policy, where many libertarians are determined to stop the Fed from irresponsible money-printing — which is not, in fact, something it’s doing.
And what all this means in turn is that libertarianism does not offer a workable policy agenda. I don’t mean that I dislike the agenda, which is a separate issue; I mean that if we should somehow end up with libertarian government, it would quickly find itself unable to fulfill any of its promises.
So no, we aren’t about to have a libertarian moment. And that’s a good thing.
Fantasie libertariane [1]
Il lungo articolo sulla rivista (Times Magazine) di Robert Draper sulla possibilità di un “momento libertariano” ha provocato una discreta quantità di commenti; una gran parte dei quali riguarda l’interrogativo sulle presunte prove dei sondaggi. Come mette in evidenza Jonathan Chait, i sondaggi indipendenti – al contrario di quelli promossi dai libertariani a sostegno del loro proprio profilo – indicano che i giovani americani sono per la verità più favorevoli al Governo che non gli anziani. Essi possono sembrare relativamente benevoli verso la contrarietà alla guerra dei libertariani, ma in realtà non sostengono il loro programma politico.
Ma c’è quella che io considererei una prova persino più grande: quando si va alla sostanza, i libertariani è come vivessero in un mondo fantastico. Spesso questo è vero quasi alla lettera: Paul Ryan pensa che stiamo vivendo in un racconto di Ayn Rand. Più in concreto, tuttavia, la visione della società che effettivamente otteniamo dai libertariani ha poca somiglianza con la realtà.
Mike Konczal considera un esempio specifico: l’idea attualmente di moda tra i libertariani secondo la quale faremmo cose molto migliori se rimpiazzassimo lo stato assistenziale con un reddito di base garantito. Come afferma Mike, questa idea si fonda sulla convinzione che lo stato assistenziale sia una congerie pazzescamente complicata di programmi inefficaci, e che con quella semplificazione si risparmierebbe denaro a sufficienza da pagare sussidi universali che non siano né sottoposti ai limiti di reddito, né al condizionamento della cattiva sorte. Ma la realtà è del tutto diversa. La maggior parte della spesa dello stato assistenziale consiste in una manciata di programmi importanti, e questi programmi sono discretamente efficienti, con bassi costi amministrativi.
Effettivamente, il costo della burocrazia è in generale grandemente sovrastimato. I compensi degli impiegati costituiscono soltanto il 6 per cento della spesa federale, esclusa quella militare, e solo una frazione di quei compensi va a persone che potreste ragionevolmente chiamare burocrati.
E quello che Konczal dice sullo stato assistenziale è anche vero, sebbene più difficile da quantificare, a proposito dei regolamenti. Di sicuro ci sono regolamenti governativi dispendiosi e superflui – ma neanche lontanamente così numerosi come i libertariani vogliono credere. Quando, ad esempio, burocrati ficcanaso vi dicono quello che potete e non potete avere nei detergenti per le lavastoviglie, si scopre che c’è un’ottima ragione. L’America del 2014 non è l’India all’epoca della License Ray [2].
In altre parole, il libertarianismo è una crociata contro problemi che non esistono, o almeno non nella misura in cui i libertariani vogliono immaginare. L’esempio nel quale questo a particolarmente bene illustrato è quello della politica monetaria, dove molti libertariani sono determinati a fermare la Fed dallo stampare moneta – che è qualcosa, di fatto, che essa non sta facendo.
A sua volta, quello che tutto questo significa è che il libertarianismo non offre un programma politico plausibile. Non intendo dire che io non gradisco quel programma, che è un problema distinto; intendo dire che se dovessimo finire con un governo libertariano, in breve lo si scoprirebbe incapace di mantenere ogni sua promessa.
Dunque non siamo davvero vicini ad un “momento” libertariano. Ed è un bene.
[1] Per il termine “libertariano” si può leggere questa estrema sintesi della vita e del pensiero di Ayn Rand, considerata la capostipite di tale ideologia, che si trova nelle note sulla traduzione:
“Ayn Rand, è lo pseudonimo di Alisa Zinov’yevna Rosenbaum O’Connor (San Pietroburgo, 2 febbraio1905 – New York, 6 marzo1982); scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa. La sua filosofia e la sua narrativa insistono sui concetti di individualismo, egoismo razionale (“interesse razionale”) e ed etica del capitalismo, nonché sulla sua opposizione al comunismo ed a ogni forma di collettivismo socialista e fascista. Il pensiero cosiddetto “oggettivista” della Rand ha – come anche tutto il “libertarianism” – molteplici origini liberali, anarchiche, antitotalitarie ed anche, più singolarmente, capitalistiche; spesso con esiti irreligiosi. Ma il mito dell’industriale creativo soffocato dalla burocrazia e costretto ad una resistenza addirittura “militante” – che è il tema del suo romanzo “Atlas Shrugged” – è certamente una passione americana, nel senso almeno che sarebbe arduo immaginarlo come tema di un romanzo, altrove. Più recentemente, il libro della Rand è stato indicato come riferimento favorito da parte di molti repubblicani americani.”
Questo spiega anche perché il termine “libertariano” è praticamente intraducibile con espressioni apparentemente contigue – ad esempio: radicale, o liberista – che in realtà alludono a ben altro, nel pensiero politico europeo, pur presentando occasionali somiglianze. Neanche mi pare si possa immaginare che si tratti di una ideologia organica, cresciuta nel tempo con una sua struttura di approfondimenti, di ricerca e di organizzazione interna, al pari di altre ideologie del secolo passato.
Forse è più giusto concepire il fenomeno del “libertarianismo” come tipicamente americano; una sorta di attrazione che agisce in modo ‘carsico’ sul conservatorismo americano, in certi momenti storici collegando le politiche presenti ad una sensibilità antica e per qualche aspetto fondativa di una parte del pensiero politico di quel paese. L’idea, della quale Krugman parla alla fine di questo articolo, di una “economia forte per una completa assenza di regole” , è il caposaldo di questa mitologia libertariana fuori del tempo. Ma, in effetti, nel periodo recente quella attrazione è tornata a risultare evidente in movimenti come il Tea Party e in una componente probabilmente oggi maggioritaria del Partito Repubblicano.
[2] La License Ray era un complicato sistema di licenze, regolamenti e procedure burocratiche che nell’India accompagnavano l’avvio di attività economiche nel lungo periodo dal 1947 al 1990. In sostanza fu la versione indiana dello statalismo e dell’economia pianificata, talora anche definito come il “tasso di crescita Hindu”.
By mm
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