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I falchi gridano al lupo, di Paul Krugman (New York Times 21 agosto 2014)

 

Hawks Crying Wolf

AUG. 21, 2014 Paul Krugman

According to a recent report in The Times, there is dissent at the Fed: “An increasingly vocal minority of Federal Reserve officials want the central bank to retreat more quickly” from its easy-money policies, which they warn run the risk of causing inflation. And this debate, we are told, is likely to dominate the big economic symposium currently underway in Jackson Hole, Wyo.

That may well be the case. But there’s something you should know: That “vocal minority” has been warning about soaring inflation more or less nonstop for six years. And the persistence of that obsession seems, to me, to be a more interesting and important story than the fact that the usual suspects are saying the usual things.

Before I try to explain the inflation obsession, let’s talk about how striking that obsession really is.

The Times article singles out for special mention Charles Plosser of the Philadelphia Fed, who is, indeed, warning about inflation risks. But you should know that he warned about the danger of rising inflation in 2008. He warned about it in 2009. He did the same in 2010, 2011, 2012and 2013. He was wrong each time, but, undaunted, he’s now doing it again.

And this record isn’t unusual. With very few exceptions, officials and economists who issued dire warnings about inflation years ago are still issuing more or less identical warnings today. Narayana Kocherlakota, president of the Minneapolis Fed, is the only prominent counterexample I can think of.

Now, everyone who has been in the economics business any length of time, myself very much included, has made some incorrect predictions. If you haven’t, you’re playing it too safe. The inflation hawks, however, show no sign of learning from their mistakes. Where is the soul-searching, the attempt to understand how they could have been so wrong?

The point is that when you see people clinging to a view of the world in the teeth of the evidence, failing to reconsider their beliefs despite repeated prediction failures, you have to suspect that there are ulterior motives involved. So the interesting question is: What is it about crying “Inflation!” that makes it so appealing that people keep doing it despite having been wrong again and again?

Well, when economic myths persist, the explanation usually lies in politics — and, in particular, in class interests. There is not a shred of evidence that cutting tax rates on the wealthy boosts the economy, but there’s no mystery about why leading Republicans like Representative Paul Ryan keep claiming that lower taxes on the rich are the secret to growth. Claims that we face an imminent fiscal crisis, that America will turn into Greece any day now, similarly serve a useful purpose for those seeking to dismantle social programs.

At first sight, claims that easy money will cause disaster even in a depressed economy seem different, because the class interests are far less clear. Yes, low interest rates mean low long-term returns for bondholders (who are generally wealthy), but they also mean short-term capital gains for those same bondholders.

But while easy money may in principle have mixed effects on the fortunes (literally) of the wealthy, in practice demands for tighter money despite high unemployment always come from the right. Eight decades ago, Friedrich Hayek warned against any attempt to mitigate the Great Depression via “the creation of artificial demand”; three years ago, Mr. Ryan all but accused Ben Bernanke, the Fed chairman at the time, of seeking to “debase” the dollar. Inflation obsession is as closely associated with conservative politics as demands for lower taxes on capital gains.

It’s less clear why. But faith in the inability of government to do anything positive is a central tenet of the conservative creed. Carving out an exception for monetary policy — “Government is always the problem, not the solution, unless we’re talking about the Fed cutting interest rates to fight unemployment” — may just be too subtle a distinction to draw in an era when Republican politicians draw their economic ideas from Ayn Rand novels.

Which brings me back to the Fed, and the question of when to end easy-money policies.

Even monetary doves like Janet Yellen, the Fed chairwoman, generally acknowledge that there will come a time to take the pedal off the metal. And maybe that time isn’t far off — official unemployment has fallen sharply, although wages are still going nowhere and inflation is still subdued.

But the last people you want to ask about appropriate policy are people who have been warning about inflation year after year. Not only have they been consistently wrong, they’ve staked out a position that, whether they know it or not, is essentially political rather than based on analysis. They should be listened to politely — good manners are always a virtue — then ignored.

 

I falchi gridano al lupo, di Paul Krugman

New York Times 21 agosto 2014

Secondo un recente rapporto su The Times, ci sono dissensi alla Fed: “Una minoranza sempre più esplicita di dirigenti della Fed vuole che la banca centrale si ritiri più rapidamente” dalle sue politiche di denaro facile, che, secondo i loro ammonimenti, corre il rischio di provocare l’inflazione. E questo dibattito, ci viene detto, è probabile domini il grande simposio economico attualmente in corso a Jackson Hole, Wyoming.

E’ del tutto possibile. Ma c’è qualcosa che dovreste sapere: quella “esplicita minoranza” ha messo in guardia più o meno senza interruzioni da sei anni sulla inflazione che sarebbe salita alle stelle. E, a mio avviso, la tenacia di questa ossessione è una storia più interessante ed importante del fatto che i soliti noti ripetano le solite cose.

Prima di cercar di spiegare l’ossessione per l’inflazione, consentitemi di parlare di quanto quella ossessione sia per davvero impressionante.

L’articolo di The Times individua per una menzione particolare Charles Plosser della Fed di Filadelfia, il quale, in effetti, sta mettendo in guardia sui rischi dell’inflazione. Ma si dovrebbe sapere che egli mise in guardia sul pericolo di una inflazione crescente nel 2008. Mise in guardia nel 2009. Fece lo stesso nel 2010, 2011, 2012 e 2013. Sbagliò tutte le volte ma, imperterrito, lo sta facendo di nuovo.

E non si tratta di un record inconsueto. Con molte poche eccezioni, i dirigenti e gli economisti che avanzarono terribili ammonimenti sull’inflazione anni orsono stanno oggi ancora avanzando ammonimenti più o meno identici. Narayana Kocherlakota, Presidente della Fed di Minneapolis, è l’unico rilevante esempio opposto che mi viene in mente.

Ora, tutti coloro che si sono occupati di affari economici per un certo periodo di tempo, e includo abbondantemente me medesimo, hanno fatto qualche previsione non corretta. Se non ne hanno fatte, vuol dire che non sono abituati a prendersi il minimo rischio. I falchi dell’inflazione, tuttavia, non mostrano alcun segno di imparare qualcosa dai loro errori. Vi risulta una qualche analisi di coscienza, un tentativo di capire come sia stato possibile fare tanti sbagli?

Il punto è che quando si vedono individui aggrapparsi ad una visione del mondo in barba all’evidenza, ostinarsi a non riconsiderare le loro convinzioni nonostante i ripetuti fallimenti delle previsioni, si deve sospettare che ci siano altre ragioni. Cosicché la domanda interessante è la seguente: cosa c’è che rende così attraente il gridare all’inflazione, al punto che si continua a farlo nonostante si sia avuto torto tante volte?

Ebbene, quando i miti economici persistono, normalmente la spiegazione si trova nella politica – e in particolare negli interessi di classe. Non c’è uno straccio di prova che tagliare le aliquote fiscali sui ricchi incoraggi l’economia, ma non c’è alcun mistero sulla ragione per la quale dirigenti repubblicani come Paul Ryan continuano a sostenere che tasse più basse sui ricchi siano il segreto della crescita. Le pretese secondo la quali saremmo di fronte ad una imminente crisi della finanza pubblica, che l’America da un giorno all’altro diventerebbe come la Grecia, in modo simile servono utilmente di proposito per coloro che cercano di smantellare i programmi sociali.

A prima vista, la tesi che il denaro facile provocherà un disastro persino in presenza di un’economia depressa sembra diversa, perché gli interessi di classe sono molto meno chiari. E’ vero, i bassi tassi di interesse significano rendimenti a lungo termine per i possessori di obbligazioni sul debito (che sono generalmente ricchi), ma significano anche profitti a breve termine per gli stessi possessori di bond.

Ma se il denaro facile può in linea di principio avere effetti diversi sulle fortune (letteralmente) dei ricchi, in pratica le richieste di restrizione monetaria nonostante l’elevata disoccupazione provengono sempre dalla destra. Ottant’anni fa, Friedrich Hayek mise in guardia contro ogni tentativo di mitigare la depressione attraverso “la creazione di domanda artificiale”; tre anni fa il signor Ryan accusò nientedimeno che Ben Bernanke, all’epoca Presidente della Fed, di tentare di “svalutare” il dollaro. L’ossessione per l’inflazione è strettamente associata alla politica conservatrice, nello stesso modo delle richieste di tasse più basse sui redditi da capitale.

E’ meno chiara la ragione. Ma la fede nella incapacità del governo di fare alcunché di positivo è il principio centrale del popolo conservatore. Ritagliare una eccezione per la politica monetaria – “il Governo è sempre il problema e mai la soluzione, a meno che non si stia parlando del taglio dei tassi di interesse da parte della Fed per combattere la disoccupazione” – può essere una linea di distinzione semplicemente troppo sottile, in un’epoca nella quale gli uomini politici repubblicani derivano le loro idee economiche dai romanzi di Ayn Rand.

La qualcosa mi riporta alla Fed, ed alla domanda di quando interrompere le politiche del denaro facile.

Persino una ‘colomba’ monetaria come Janet Yellen, la Presidentessa della Fed, in generale riconosce che verrà il momento di togliere il piede dall’acceleratore. E può darsi che quel momento non sia così lontano – la disoccupazione ufficiale è diminuita sensibilmente, sebbene i salari non si stiano muovendo e l’inflazione sia ancora smorzata.

Ma le ultime persone alle quali dovreste rivolgere domande su una politica appropriata sono quelli che hanno messo in guardia dall’inflazione un anno dietro l’altro. Non solo hanno avuto regolarmente torto, hanno montato la guardia ad una posizione che, lo sapessero o no, era essenzialmente di natura politica, anziché basata su una analisi. Si dovrebbe ascoltarli per poi, educatamente, passare oltre (le buone maniere sono sempre una virtù).

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