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La recessione infinita, di Paul Krugman (New York Times 14 agosto 2014)

 

The Forever Slump

AUG. 14, 2014 Paul Krugman

It’s hard to believe, but almost six years have passed since the fall of Lehman Brothers ushered in the worst economic crisis since the 1930s. Many people, myself included, would like to move on to other subjects. But we can’t, because the crisis is by no means over. Recovery is far from complete, and the wrong policies could still turn economic weakness into a more or less permanent depression.

In fact, that’s what seems to be happening in Europe as we speak. And the rest of us should learn from Europe’s experience.

Before I get to the latest bad news, let’s talk about the great policy argument that has raged for more than five years. It’s easy to get bogged down in the details, but basically it has been a debate between the too-muchers and the not-enoughers.

The too-muchers have warned incessantly that the things governments and central banks are doing to limit the depth of the slump are setting the stage for something even worse. Deficit spending, they suggested, could provoke a Greek-style crisis any day now — within two years, declared Alan Simpson and Erskine Bowles some three and a half years ago. Asset purchases by the Federal Reserve would “risk currency debasement and inflation,” declared a who’s who of Republican economists, investors, and pundits in a 2010 open letter to Ben Bernanke.

The not-enoughers — a group that includes yours truly — have argued all along that the clear and present danger is Japanification rather than Hellenization. That is, they have warned that inadequate fiscal stimulus and a premature turn to austerity could lead to a lost decade or more of economic depression, that the Fed should be doing even more to boost the economy, that deflation, not inflation, was the great risk facing the Western world.

To say the obvious, none of the predictions and warnings of the too-muchers have come to pass. America never experienced a Greek-type crisis of soaring borrowing costs. In fact, even within Europe the debt crisis largely faded away once the European Central Bank began doing its job as lender of last resort. Meanwhile, inflation has stayed low.

However, while the not-enoughers were right to dismiss warnings about interest rates and inflation, our concerns about actual deflation haven’t yet come to pass. This has provoked a fair bit of rethinking about the inflation process (if there has been any rethinking on the other side of this argument, I haven’t seen it), but not-enoughers continue to worry about the risks of a Japan-type quasi-permanent slump.

Which brings me to Europe’s woes.

On the whole, the too-muchers have had much more influence in Europe than in the United States, while the not-enoughers have had no influence at all. European officials eagerly embraced now-discredited doctrines that allegedly justified fiscal austerity even in depressed economies (although America has de facto done a lot of austerity, too, thanks to the sequester and cuts at the state and local level). And the European Central Bank, or E.C.B., not only failed to match the Fed’s asset purchases, it actually raised interest rates back in 2011 to head off the imaginary risk of inflation.

The E.C.B. reversed course when Europe slid back into recession, and, as I’ve already mentioned, under Mario Draghi’s leadership, it did a lot to alleviate the European debt crisis. But this wasn’t enough. The European economy did start growing again last year, but not enough to make more than a small dent in the unemployment rate.

And now growth has stalled, while inflation has fallen far below the E.C.B.’s target of 2 percent, and prices are actually falling in debtor nations. It’s really a dismal picture. Mr. Draghi & Co. need to do whatever they can to try to turn things around, but given the political and institutional constraints they face, Europe will arguably be lucky if all it experiences is one lost decade.

The good news is that things don’t look that dire in America, where job creation seems finally to have picked up and the threat of deflation has receded, at least for now. But all it would take is a few bad shocks and/or policy missteps to send us down the same path.

The good news is that Janet Yellen, the Fed chairwoman, understands the danger; she has made it clear that she would rather take the chance of a temporary rise in the inflation rate than risk hitting the brakes too soon, the way the E.C.B. did in 2011. The bad news is that she and her colleagues are under a lot of pressure to do the wrong thing from the too-muchers, who seem to have learned nothing from being wrong year after year, and are still agitating for higher rates.

There’s an old joke about the man who decides to cheer up, because things could be worse — and sure enough, things get worse. That’s more or less what happened to Europe, and we shouldn’t let it happen here.

 

La recessione infinita, di Paul Krugman

E difficile da credere, ma sono passati quasi sei anni dal momento in cui la caduta della Lehman Brothers ci accompagnò nella peggiore crisi economica dagli anni ’30. A molti, incluso il sottoscritto, farebbe piacere passare ad altri temi. Ma non possiamo, perché la crisi non è in alcun modo finita. La ripresa è lungi dall’essere completa, e politiche sbagliate potrebbero ancora tramutare la debolezza economica in una depressione più o meno permanente.

Di fatto, è questo che pare stia accadendo in Europa in questo momento. E tutti noi dovremmo imparare dall’esperienza dell’Europa.

Prima di passare alle ultime cattive notizie, consentitemi di parlare del grande argomento politico che ha infuriato per più di cinque anni. E’ facile impantanarsi nei dettagli, ma in sostanza è stato un dibattito tra i sostenitori del “troppo” e quelli del “non abbastanza”.

I sostenitori del “troppo” hanno messo in guardia incessantemente che quanto i Governi e le banche centrali stavano facendo per limitare la profondità della crisi stava creando lo scenario per qualcosa di persino peggiore. La spesa pubblica in deficit, suggerivano, potrebbe provocare da un momento all’altro una crisi simile alla Grecia – entro due anni, dichiararono Alan Simpson ed Erskine Bowles circa tre anni e mezzo orsono. Un gotha di economisti repubblicani, di investitori e di commentatori, in una lettera aperta a Ben Bernanke nel 2010, dichiarò che gli acquisti di asset da parte della Federal Reserve avrebbero comportato “il rischio di una svalutazione della moneta e dell’inflazione”.

I sostenitori del “non abbastanza” – un gruppo che includeva il sottoscritto – hanno sostenuto senza pausa che l’evidente ed incombente pericolo non era finire come la Grecia, ma come il Giappone. Vale a dire, hanno messo in guardia che un sostegno inadeguato della finanza pubblica ed una prematura svolta verso l’austerità avrebbe portato alla perdita di un decennio e più di depressione dell’economia, che la Fed avrebbe dovuto fare anche di più per incoraggiare l’economia, che la deflazione, e non l’inflazione, era il grande rischio per l’Occidente.

E’ dire un’ovvietà, se si constata che nessuna delle previsioni e degli ammonimenti dei sostenitori del “troppo” si sono realizzati. L’America non ha mai conosciuto una crisi di costi dell’indebitamento alle stelle sul modello della Grecia. Di fatto, anche all’interno dell’Europa, la crisi del debito è largamente svanita una volta che la Banca Centrale Europea ha cominciato a fare il suo lavoro di prestatore di ultima istanza. Nel frattempo, l’inflazione è rimasta bassa.

Tuttavia, mentre i sostenitori del “non abbastanza” avevano ragione a liquidare gli ammonimenti sui tassi di interesse e sull’inflazione, le nostre preoccupazioni su una effettiva deflazione non si sono ancora materializzate. Questo ha provocato una discreta dose di ripensamenti sul processo inflattivo (se su questo argomento ci sia stato un qualche ripensamento nell’altro schieramento, io non me ne sono accorto), ma i sostenitori del “non abbastanza” continuano ad essere preoccupati dei rischi di una recessione quasi permanente sul modello del Giappone.

La qualcosa mi conduce ai guai dell’Europa.

Nel complesso, i sostenitori del “troppo” hanno avuto molta maggiore influenza in Europa che non negli Stati Uniti, mentre i sostenitori del “non abbastanza” non hanno avuto influenza alcuna. I responsabili europei hanno abbracciato con entusiasmo le dottrine, oggi in discredito, secondo le quali l’austerità della finanza pubblica si giustificava anche in economie depresse (sebbene anche l’America abbia avuto in sostanza una buona dose di austerità, grazie al “sequestro” [1] e ai tagli ai livelli degli Stati e delle istituzioni locali). E la Banca Centrale Europea, o BCE, non solo non seguì la strada della Federal Reserve degli acquisti di asset, ma per la verità innalzò, nel passato 2011, i tassi di interesse per sbarrare la strada al rischio immaginario dell’inflazione.

La BCE cambiò indirizzo quando l’Europa scivolò nuovamente nella recessione e, come ho ricordato in precedenza, sotto la direzione di Mario Draghi, fece molto per alleviare la crisi del debito europea. Ma questo non fu sufficiente. L’economia europea ricominciò a crescere l’anno passato, ma non abbastanza da provocare niente di più che una piccola riduzione nel tasso di disoccupazione.

E ora la crescita ristagna, mentre l’inflazione è caduta assai al di sotto dell’obbiettivo del 2 per cento della BCE, e in verità i prezzi sono in caduta nelle nazioni debitrici. E’ un quadro davvero fosco. Draghi ed i suoi colleghi hanno bisogno di fare tutto quello che possono per provocare una svolta, ma dati i limiti politici ed istituzionali con i quali si misurano, l’Europa sarà probabilmente fortunata se si limiterà a fare i conti con un ‘decennio perduto’ [2].

La buona notizia è che le cose non paiono così terribili in America, dove la creazione di posti di lavoro sembra finalmente essere ripresa e la minaccia della deflazione essersi allontanata, almeno per adesso. Ma basterebbero poche scosse negative e/o qualche passo falso politico per spedirci nella stessa direzione.

La buona notizia è che Janet Yellen, la presidentessa della Fed, comprende il pericolo; ha detto con chiarezza che accetterebbe piuttosto la possibilità di una crescita provvisoria nel tasso di inflazione, anziché rischiare di spingere sul freno troppo presto, come fece la BCE nel 2011. La cattiva notizia è che lei ed i suoi colleghi subiscono molte pressioni a fare la cosa sbagliata dai sostenitori del “troppo”, che sembrano non aver imparato niente dal fare sbagli un anno dietro l’altro, e sono tuttora in agitazione per tassi più elevati.

C’è una vecchia espressione scherzosa a proposito di chi decide di rincuorarsi perché le cose potevano essere peggiori – ed è certo che le cose potevano essere peggiori. Più o meno è quello che è accaduto all’Europa, e non dovremmo consentire che accada anche da noi.

 

 

[1] Il cosiddetto “sequestro del Bilancio” – ovvero un automatico taglio alle spese federali – ebbe luogo agli inizi del 2013, come conseguenza della Legge di controllo del Bilancio approvata nel 2011. Dopo giorni convulsi si decise un sostanziale rinvio alla fine del mese di settembre e successivamente, nei fatti e per effetto di un accordo bipartisan del dicembre 2013, gli effetti iniziali del temuto “sequester” furono in parte attenuati.

[2] Come è noto, l’espressione ‘decennio perduto’ non è casuale, perché a lungo è stata adoperata nel caso del Giappone. In realtà, tale espressione è un po’ finita nella desuetudine, perché nel frattempo il periodo è praticamente raddoppiato.

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