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L’ineguaglianza è una spoliazione, di Paul Krugman (New York Times 7 agosto 2014)

 

Inequality Is a Drag

AUG. 7, 2014 Paul Krugman

For more than three decades, almost everyone who matters in American politics has agreed that higher taxes on the rich and increased aid to the poor have hurt economic growth.

Liberals have generally viewed this as a trade-off worth making, arguing that it’s worth accepting some price in the form of lower G.D.P. to help fellow citizens in need. Conservatives, on the other hand, have advocated trickle-down economics, insisting that the best policy is to cut taxes on the rich, slash aid to the poor and count on a rising tide to raise all boats.

But there’s now growing evidence for a new view — namely, that the whole premise of this debate is wrong, that there isn’t actually any trade-off between equity and inefficiency. Why? It’s true that market economies need a certain amount of inequality to function. But American inequality has become so extreme that it’s inflicting a lot of economic damage. And this, in turn, implies that redistribution — that is, taxing the rich and helping the poor — may well raise, not lower, the economy’s growth rate.

You might be tempted to dismiss this notion as wishful thinking, a sort of liberal equivalent of the right-wing fantasy that cutting taxes on the rich actually increases revenue. In fact, however, there is solid evidence, coming from places like the International Monetary Fund, that high inequality is a drag on growth, and that redistribution can be good for the economy.

Earlier this week, the new view about inequality and growth got a boost from Standard & Poor’s, the rating agency, which put out a report supporting the view that high inequality is a drag on growth. The agency was summarizing other people’s work, not doing research of its own, and you don’t need to take its judgment as gospel (remember its ludicrous downgrade of United States debt). What S.& P.’s imprimatur shows, however, is just how mainstream the new view of inequality has become. There is, at this point, no reason to believe that comforting the comfortable and afflicting the afflicted is good for growth, and good reason to believe the opposite.

Specifically, if you look systematically at the international evidence on inequality, redistribution, and growth — which is what researchers at the I.M.F. did — you find that lower levels of inequality are associated with faster, not slower, growth. Furthermore, income redistribution at the levels typical of advanced countries (with the United States doing much less than average) is “robustly associated with higher and more durable growth.” That is, there’s no evidence that making the rich richer enriches the nation as a whole, but there’s strong evidence of benefits from making the poor less poor.

But how is that possible? Doesn’t taxing the rich and helping the poor reduce the incentive to make money? Well, yes, but incentives aren’t the only thing that matters for economic growth. Opportunity is also crucial. And extreme inequality deprives many people of the opportunity to fulfill their potential.

Think about it. Do talented children in low-income American families have the same chance to make use of their talent — to get the right education, to pursue the right career path — as those born higher up the ladder? Of course not. Moreover, this isn’t just unfair, it’s expensive. Extreme inequality means a waste of human resources.

And government programs that reduce inequality can make the nation as a whole richer, by reducing that waste.

Consider, for example, what we know about food stamps, perennially targeted by conservatives who claim that they reduce the incentive to work. The historical evidence does indeed suggest that making food stamps available somewhat reduces work effort, especially by single mothers. But it also suggests that Americans who had access to food stamps when they were children grew up to be healthier and more productive than those who didn’t, which means that they made a bigger economic contribution. The purpose of the food stamp program was to reduce misery, but it’s a good guess that the program was also good for American economic growth.

The same thing, I’d argue, will end up being true of Obamacare. Subsidized insurance will induce some people to reduce the number of hours they work, but it will also mean higher productivity from Americans who are finally getting the health care they need, not to mention making better use of their skills because they can change jobs without the fear of losing coverage. Over all, health reform will probably make us richer as well as more secure.

Will the new view of inequality change our political debate? It should. Being nice to the wealthy and cruel to the poor is not, it turns out, the key to economic growth. On the contrary, making our economy fairer would also make it richer. Goodbye, trickle-down; hello, trickle-up.

 

L’ineguaglianza è una spoliazione

di Paul Krugman

Per più di trent’anni, quasi tutti quelli che contavano nella politica americana hanno sostenuto che tasse più alte sui ricchi ed un accresciuto aiuto ai poveri avrebbero danneggiato la crescita economica.

In generale, i progressisti consideravano che era uno scambio che aveva il suoi pregi, sostenendo che valeva la pena di accettare qualche prezzo, nella forma di un PIL ridotto, per aiutare i concittadini bisognosi. I conservatori, dalla parte opposta, difendevano l’economia della diffusione dei benefici verso il basso, ribadendo che la migliore politica era abbassare le tasse sui ricchi, tagliare gli aiuti ai poveri e far conto sulla cosiddetta “marea che alza tutte le barche”.

Ma ci sono oggi prove crescenti di un nuovo punto di vista – precisamente, che l’intera premessa di quel dibattito fosse sbagliata, e che per la verità non ci sia alcun rapporto obbligato tra eguaglianza ed inefficienza. Perché? E’ vero che le economie di mercato hanno bisogno di una quantità di ineguaglianza per funzionare. Ma l’ineguaglianza negli Stati Uniti è diventata così estrema, che sta provocando un quantità di danni all’economia. E questo, a sua volta, comporta che la redistribuzione – ovvero tassare i ricchi ed aiutare i poveri – può di sicuro accrescere, non diminuire, il tasso di crescita dell’economia.

Potreste essere tentati di liquidare questa idea come un pensiero ottimistico, una sorta di equivalente progressista della fantasia della destra secondo la quale tagliare le tasse sui ricchi incrementa effettivamente le entrate. Di fatto, tuttavia, ci sono solide prove, che arrivano da ambienti come il Fondo Monetario Internazionale, che l’elevata ineguaglianza è una perdita per la crescita, e che la redistribuzione può essere una cosa positiva per l’economia.

Agli inizi di questa settimana, questo nuovo punto di vista sull’ineguaglianza e la crescita ha ricevuto un incoraggiamento da parte di Standard & Poor’s, l’agenzia di rating, che ha messo in circolazione un rapporto a sostegno del punto di vista secondo il quale l’ineguaglianza è una privazione per l’economia. L’agenzia non stava facendo una propria ricerca, stava sintetizzando lavori di altre persone, e non c’è bisogno di prendere il suo giudizio come il Vangelo (si rammenti la sua grottesca retrocessione del debito degli Stati Uniti [1]). Quello che l’imprimatur di S.&P.’s dimostra, tuttavia, è quanto il nuovo punto di vista sull’ineguaglianza sia diventato un indirizzo prevalente. Non c’è, a questo punto, nessuna ragione per credere che confortare i benestanti ed avvilire gli afflitti sia una buona idea per la crescita, e c’è una buona ragione per credere l’opposto.

In particolare, se si guarda in modo sistematico alle prove internazionali in materia di ineguaglianza, redistribuzione e crescita – che è quanto i ricercatori del FMI hanno fatto – si scopre che livelli più bassi di ineguaglianza sono associati con una crescita più rapida e non più lenta. Inoltre, la redistribuzione del reddito ai livelli tipici dei paesi avanzati (laddove gli Stati Uniti sono molto sotto la media) “è marcatamente associata con una crescita più elevata e più durevole”. Vale a dire, non c’è alcuna prova che rendere i ricchi più ricchi porti un beneficio alle nazioni nel loro complesso, ci sono invece forti prove dei benefici che derivano dal rendere i poveri meno poveri.

Ma come è possibile? Tassare i ricchi ed aiutare i poveri non riduce l’incentivo a far soldi? Ebbene, sì, ma gli incentivi non sono l’unica cosa che conta per la crescita economica. Anche le opportunità sono fondamentali. E l’ineguaglianza estrema priva molte persone della opportunità di soddisfare le proprie potenzialità.

Ci si rifletta. I figli che possiedono talento nelle famiglie americane a basso reddito, hanno la stessa possibilità di utilizzare le loro doti – di ricevere l’istruzione giusta, di perseguire l’indirizzo professionale giusto – di coloro che sono nati da chi sta più in alto nella scala sociale? Ovviamente no. Per di più, questo non è solo ingiusto, è anche costoso. L’ineguaglianza estrema comporta uno spreco di risorse umane.

E i programmi governativi che riducono l’ineguaglianza possono rendere la nazione nel suo complesso più ricca, riducendo tale spreco.

Si consideri, ad esempio, quello che conosciamo degli aiuti alimentari, perennemente presi di mira dai conservatori che pretendono che riducano l’incentivo a lavorare. La testimonianza nel corso del tempo suggerisce che, in effetti, mettere a disposizione gli aiuti alimentari riduce per davvero la fatica lavorativa, soprattutto per le madri. Ma suggerisce anche che gli americani che hanno avuto accesso agli aiuti alimentari quando erano bambini sono cresciuti e diventati più sani e più produttivi di quelli che non li hanno ricevuti, il che significa che forniscono una contributo all’economia più grande. Lo scopo degli aiuti alimentari era ridurre la miseria, ma è una ipotesi del tutto plausibile che il programma sia stato positivo anche per la crescita economica dell’America.

La stessa cosa, direi, finirà con l’essere dimostrata anche nel caso della riforma della sanità di Obama. I sussidi assicurativi indurranno alcune persone a ridurre il numero delle ore di lavoro, ma significheranno anche una produttività più elevata per gli americani che stanno finalmente ottenendo l’assistenza sanitaria di cui avevano bisogno, per non dire che stanno facendo un migliore uso delle loro competenze, perché possono cambiare lavoro senza paura di perdere l’assistenza. Oltretutto, la riforma sanitaria ci renderà probabilmente più ricchi ed anche più sicuri.

Il nuovo punto di vista sull’ineguaglianza, cambierà il nostro dibattito politico? Dovrebbe cambiarlo. Si scopre che essere buoni con i ricchi e crudeli con i poveri non è la chiave della crescita economica. Al contrario, rendere la nostra economia più giusta la renderebbe anche più prospera. Addio all’economia delle briciole che cascano in basso; benvenuta l’economia dei diritti che crescono [2].

 

 

 

[1] Nel 2011 alcune agenzie di rating, compresa Standard & Poor’s, retrocessero la valutazione sul debito pubblico degli Stati Uniti. In particolare Standard & Poor’s, il 5 agosto 2011, retrocesse la valutazione da AAA a AA+.

[2] Come è noto il “trickle-down” – letteralmente lo “sgocciolare verso il basso” – divenne, in particolare con gli anni di Reagan, la dottrina economica principale della destra. Arricchire i ricchi con sgravi fiscali avrebbe comportato uno “sgocciolamento” dei benefici economici verso i settori deboli della società. Noi, se non altro per una dieta più ricca di carboidrati, diremmo che si tratta di briciole. Che si tratti di gocce o di briciole, il loro salire verso l’alto è fisicamente improbabile, se non considerandoli come diritti. E questa è l’immagine di Reagan che spiega i benefici che sarebbero derivati dagli sgravi fiscali sui più ricchi:

 

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