Blog di Krugman

Averli e metterli in mostra (24 settembre 2014)

 

Sep 24 10:21 am

Having It and Flaunting It

David Brooks is getting some ribbing for suggesting that the wealthy should “follow a code of seemliness”, not living the lavish lifestyles they can afford. I don’t want to join in the jeering; instead, I want to talk a bit about the economics of flaunting your wealth (which was actually a topic I was working on before David’s last column).

The first thing to say is that expecting the rich not to flaunt their wealth is, of course, unrealistic. If your sense is that the rich were more restrained in the 50s and 60s, well, that’s because they weren’t nearly as rich either absolutely or relatively. The last time our society was as unequal as it is today, giant mansions and yachts were every bit as ostentatious as they are now — there’s a reason Mark Twain called it the Gilded Age.

Beyond that, for many of the rich flaunting is what it’s all about. Living in a 30,000 square foot house isn’t much nicer than living in a 5,000 square foot house; there are, I believe, people who can really appreciate a $350 bottle of wine, but most of the people buying such things wouldn’t notice if you substituted a $20 bottle, or maybe even a Trader Joe’s special. Even really fine clothing derives a lot of its utility to the wearer by the fact that other people can’t afford it. So it’s largely about display — which Thorstein Veblen could, of course, have told you.

So why go after this display, as opposed to taxing away some of the income? You could say that taxes reduce the incentive to get rich; but so would sumptuary laws, which would undermine the point of getting rich, and so, in fact, would a “code of seemliness”, which would again reduce the fun of flaunting it, which is a lot of what people want lots of money for.

Wait, there’s more. If you feel that it’s bad for society to have people flaunting their relative wealth, you have in effect accepted the view that great wealth imposes negative externalities on the rest of the population — which is an argument for progressive taxation that goes beyond the maximization of revenue.

And one more thing: think about what this says about economic growth. We have an economy that has become considerably richer since 1980, but with a large share of the gains going to people with very high incomes — people for whom the marginal utility of a dollar’s worth of spending is not only low, but comes largely from status competition, which is a zero-sum game. So a lot of our economic growth has simply been wasted, doing nothing but accelerating the pace of the upper-income rat race.

And now it’s time for me to make my seemly way to the office, on foot and mass transportation, where I will gloat in my moral superiority and sneer at people who haven’t won as many academic honors. Oh, wait.

 

Averli e metterli in mostra

David Brooks si è procurato qualche presa in giro per aver suggerito che i ricchi dovrebbero “seguire un codice di decenza”, non vivendo le esistenze sfarzose che si possono permettere. Non voglio fare anch’io dell’ironia; piuttosto, voglio parlare un po’ dell’economia della ostentazione della propria ricchezza (che era un tema sul quale stavo in effetti lavorando prima dell’ultimo articolo di David).

La prima cosa da dire è che aspettarsi che i ricchi non esibiscano la loro ricchezza è, ovviamente, irrealistico. Se avete la sensazione che i ricchi fossero più sobri negli anni ’50 e ’60, ebbene, dipendeva dal fatto che non erano neanche lontanamente così ricchi, né in termini assoluti, né relativi. Nell’ultimo periodo nel quale la nostra società era così ineguale come oggi, ville gigantesche e yacht erano altrettanto ostentate come oggi – e la ragione era quella che Mark Twain chiamava l’Età dell’Oro.

Oltre a ciò, per molti ricchi l’ostentazione corrisponde allo stato di fatto. Vivere in un appartamento di trenta mila piedi quadrati non è molto più confortevole che vivere in uno di cinque mila piedi quadrati [1]; ci sono, io credo, persone che sono davvero nelle condizioni di apprezzare una bottiglia di vino da 350 dollari, ma la gran parte della gente che compera una cosa del genere non si accorgerebbe se la sostituiste con una bottiglia da 20 dollari, o forse persino con una specialità di Trader Joe [2]. Persino abiti realmente belli derivano molta della loro utilità per chi li indossa dal fatto che le altre persone non possono permetterseli. Dunque, in gran parte è una questione di esibizione – la qualcosa, ovviamente, avrebbe già potuto raccontarla Thorstein Veblen.

Perché dunque andare dietro a questa ostentazione, invece che portar via un po’ di reddito con le tasse? Si potrebbe dire che le tasse riducono l’incentivo a diventare ricchi; ma altra cosa sarebbero leggi sullo sfarzo, che metterebbero a rischio il significato di diventar ricchi, ed altra cosa, di fatto, un “codice di decenza”, che d’altra parte ridurrebbe il piacere dell’ostentazione, che è molto di quello che la gente vuole per un mucchio di soldi.

Aspettate, c’è dell’altro. Se percepite come cosa negativa per la società il fatto che ci siano persone che ostentano la loro ricchezza relativa, di fatto avete accettato il punto di vista per il quale la grande ricchezza impone al resto della popolazione esternalità negative – e quello è un argomento per la tassazione progressiva che va oltre la massimizzazione delle entrate.

Ed una cosa ancora: pensate a quello che questo ci dice in termini di crescita economica. Abbiamo un’economia che è diventata considerevolmente più ricca dal 1980, ma con una larga parte di guadagni che vanno alle persone con redditi molto elevati – persone per le quali l’utilità marginale del valore di una spesa di un dollaro non solo è bassa, ma deriva largamente da una competizione di status, che è un gioco a somma zero. Dunque, molta della nostra crescita economica è stata semplicemente sprecata, non facendo altro che accelerare il ritmo della competizione sfrenata dei redditi superiori.

Ed ora è venuto il momento che io mi diriga in modo appropriato all’ufficio, andando a piedi e con il trasporto pubblico, con il che mi compiacerò della mia superiorità morale e riderò sotto i baffi delle persone che non hanno ottenuto altrettante onorificenze accademiche. Eccomi.

 

 

 

[1] Ovvero, in metri quadrati, nel primo caso sarebbero 2787, nel secondo 464,5.

[2] “Trader Joe” è una catena di gastronomie presente in nove Stati americani: California, Arizona, Nevada, Oregon, Washington, Massachusetts, New York, Connecticut, and New Jersey.

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