Blog di Krugman

Gli anni ’30 di nuovo in onda, al rallentatore (15 settembre 2014)

Sep 15 5:07 pm

Replaying the 30s in Slow Motion

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When the 2008 crisis struck, anyone who knew even a bit of history had nightmares about a replay of the 1930s — not just the depth of the depression, but the downward political spiral into dictatorship and war. But this time was different: the banking crisis was contained, the plunge in output and employment leveled out, and modern Europe’s democratic political culture proved more resilient than that of the interwar years. All clear!

Or maybe not.

In terms of the economics, an effective crisis response was followed by a wrong-headed turn to austerity and, in Europe, a combination of bad monetary policy with a currency system that in some ways is turning out to be worse than the gold standard. The result is that while the first few years of this crisis were far better than the 1930s, at this point Europe’s economic performance is actually worse than it was in 1935.

And the political scene is eroding. One European nation has already reached the point where its leader openly declares his intention to end liberal democracy; thanks to austerity, extremist parties are gaining ground in elections, with Sweden (which squandered its early success) the latest shocker; and of course separatist movements are scaring everyone.

We’re still nowhere like the 30s politically. But you do start to wonder whether self-congratulation over the political handling of Depression 2.0 will eventually look as foolish as the economic optimism of a few years ago.

 

Gli anni ’30 di nuovo in onda, al rallentatore

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Quando scoppiò la crisi del 2008, chiunque conoscesse un po’ di storia ebbe l’incubo della ripetizione degli anni ’30 – non solo la profondità della depressione, ma la spirale politica che portò alle dittature ed alla guerra. Ma questa volta era diverso: la crisi bancaria è stata contenuta, il crollo delle produzione e dell’occupazione è stato attenuato e la moderna cultura politica dell’Europa si è mostrata più flessibile di quanto non accadde negli anni tra le due guerre. Tutto chiaro!

O forse no.

In termini economici, una efficace risposta alla crisi è stata seguita da una sbagliata ed ostinata svolta verso l’austerità e, in Europa, da una combinazione di una politica monetaria negativa e di un sistema valutario che in qualche modo si è mostrato peggiore del gold standard. Il risultato è stato che, mentre i primi anni della crisi sono stati migliori degli anni ’30, a questo punto l’andamento economico dell’Europa è nei fatti peggiore di quello che era nel 1935.

E lo scenario politico si sta erodendo. Una nazione europea ha già raggiunto il punto nel quale il suo leader dichiara apertamente la sua intenzione di abbandonare la democrazia liberale [1]; grazie all’austerità, i partiti estremisti stanno guadagnando terreno alle elezioni, con la Svezia (che ha dissipato i suoi iniziali successi) che appare come l’ultimo più impressionante esempio; e naturalmente i movimenti separatisti che spaventano tutti.

Politicamente non siamo ancora a niente di simile agli anni ’30. Ma si comincia a chiedersi se il reciproco congratularsi sulla gestione politica della Depressione “numero 2” alla fine non sembrerà altrettanto sciocco dell’ottimismo economico di pochi anni fa.

 

 

 

[1] Il riferimento è a Viktor Orban, Primo Ministro in Ungheria, che ha recentemente dichiarato di non ritenere che l’appartenenza all’Unione Europea impedisca all’Ungheria di “costruire un nuovo stato non liberale, basato su fondamenti nazionali”. Gli Stati liberali democratici, ha detto Orban, hanno mostrato di non saper essere “globalmente competitivi”, mentre esperienze di Stati non liberali e neanche democratici, come la Russia e la Turchia, sarebbero “di successo”.

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