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Gli zombie dell’austerità in Europa di Joseph Stiglitz (da Project Syndicate, 26 settembre 2014)

Joseph E. Stiglitz

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SEP 26, 2014

Europe’s Austerity Zombies

NEW YORK – “If the facts don’t fit the theory, change the theory,” goes the old adage. But too often it is easier to keep the theory and change the facts – or so German Chancellor Angela Merkel and other pro-austerity European leaders appear to believe. Though facts keep staring them in the face, they continue to deny reality.

Austerity has failed. But its defenders are willing to claim victory on the basis of the weakest possible evidence: the economy is no longer collapsing, so austerity must be working! But if that is the benchmark, we could say that jumping off a cliff is the best way to get down from a mountain; after all, the descent has been stopped.

But every downturn comes to an end. Success should not be measured by the fact that recovery eventually occurs, but by how quickly it takes hold and how extensive the damage caused by the slump.

Viewed in these terms, austerity has been an utter and unmitigated disaster, which has become increasingly apparent as European Union economies once again face stagnation, if not a triple-dip recession, with unemployment persisting at record highs and per capita real (inflation-adjusted) GDP in many countries remaining below pre-recession levels. In even the best-performing economies, such as Germany, growth since the 2008 crisis has been so slow that, in any other circumstance, it would be rated as dismal.

The most afflicted countries are in a depression. There is no other word to describe an economy like that of Spain or Greece, where nearly one in four people – and more than 50% of young people – cannot find work. To say that the medicine is working because the unemployment rate has decreased by a couple of percentage points, or because one can see a glimmer of meager growth, is akin to a medieval barber saying that a bloodletting is working, because the patient has not died yet.

Extrapolating Europe’s modest growth from 1980 onwards, my calculations show that output in the eurozone today is more than 15% below where it would have been had the 2008 financial crisis not occurred, implying a loss of some $1.6 trillion this year alone, and a cumulative loss of more than $6.5 trillion. Even more disturbing, the gap is widening, not closing (as one would expect following a downturn, when growth is typically faster than normal as the economy makes up lost ground).

Simply put, the long recession is lowering Europe’s potential growth. Young people who should be accumulating skills are not. There is overwhelming evidence that they face the prospect of significantly lower lifetime income than if they had come of age in a period of full employment.

Meanwhile, Germany is forcing other countries to follow policies that are weakening their economies – and their democracies. When citizens repeatedly vote for a change of policy – and few policies matter more to citizens than those that affect their standard of living – but are told that these matters are determined elsewhere or that they have no choice, both democracy and faith in the European project suffer.

France voted to change course three years ago. Instead, voters have been given another dose of pro-business austerity. One of the longest-standing propositions in economics is the balanced-budget multiplier – increasing taxes and expenditures in tandem stimulates the economy. And if taxes target the rich, and spending targets the poor, the multiplier can be especially high. But France’s so-called socialist government is lowering corporate taxes and cutting expenditures – a recipe almost guaranteed to weaken the economy, but one that wins accolades from Germany.

The hope is that lower corporate taxes will stimulate investment. This is sheer nonsense. What is holding back investment (both in the United States and Europe) is lack of demand, not high taxes. Indeed, given that most investment is financed by debt, and that interest payments are tax-deductible, the level of corporate taxation has little effect on investment.

Likewise, Italy is being encouraged to accelerate privatization. But Prime Minister Matteo Renzi has the good sense to recognize that selling national assets at fire-sale prices makes little sense. Long-run considerations, not short-run financial exigencies, should determine which activities occur in the private sector. The decision should be based on where activities are carried out most efficiently, serving the interests of most citizens the best.

Privatization of pensions, for example, has proved costly in those countries that have tried the experiment. America’s mostly private health-care system is the least efficient in the world. These are hard questions, but it is easy to show that selling state-owned assets at low prices is not a good way to improve long-run financial strength.

All of the suffering in Europe – inflicted in the service of a man-made artifice, the euro – is even more tragic for being unnecessary. Though the evidence that austerity is not working continues to mount, Germany and the other hawks have doubled down on it, betting Europe’s future on a long-discredited theory. Why provide economists with more facts to prove the point?

 

 

 

 

 

 

 

Gli zombie dell’austerità in Europa

di Joseph Stiglitz

NEW YORK – “Se i fatti non si adattano alla teoria, si cambi la teoria”, dice il vecchio adagio. Ma troppo spesso è più facile tenersi la teoria e cambiare i fatti – o così sembrano credere il Cancelliere tedesco Angela Merkel ed altri dirigenti europei favorevoli all’austerità. Sebbene i fatti continuino ad essere inequivoci, essi vanno avanti a negare la realtà.

L’austerità ha fallito. Ma i suoi difensori hanno intenzione di cantar vittoria sulla base di una prova che non potrebbe essere più inconsistente: l’economia non sta più precipitando, dunque l’austerità deve funzionare! Ma se questo è il metro di paragone, si potrebbe dire che saltar giù da un burrone è il modo migliore per scendere da una montagna; dopo tutto, la china si è interrotta.

Ma ogni declino ad un certo punto finisce. Il successo non dovrebbe essere misurato dal fatto che alla fine interviene una ripresa, ma da quanto ci mette ad affermarsi e dall’ampiezza del danno provocato dalla crisi.

Considerata in questi termini, l’austerità è stata un danno completo e senza attenuazioni, che è diventato sempre più evidente dal momento in cui le economie europee si sono ritrovate ancora dinanzi alla stagnazione, con una disoccupazione che persiste ai più alti livelli della storia e un PIL reale pro-capite (corretto per l’inflazione) che in molti paesi rimane al di sotto dei livelli precedenti la recessione. Persino nei paesi con andamenti migliori, come la Germania, la crescita a partire dalla crisi del 2008 è stata così lenta che, in ogni altra circostanza, sarebbe stata giudicata penosa.

I paesi più in difficoltà sono in una depressione. Non c’è altra parola per descrivere economie come quelle della Spagna e della Grecia, dove quasi una persona su quattro – e più del 50% dei giovani – non riesce a trovare lavoro. Dire che la medicina sta facendo effetto perché il tasso di disoccupazione è sceso di un paio di punti, o perché si può vedere un barlume di misera crescita, assomiglia a quello che sosteneva un barbiere del medioevo quando affermava che il salasso stava funzionando, perché il paziente non era ancora morto.

Estrapolando dalla modesta crescita dell’Europa dal 1980 in avanti, i miei calcoli mostrano che la produzione nell’eurozona di oggi è più del 15% al di sotto di quello che sarebbe stata se non fosse intervenuta la crisi finanziaria del 2008, con una perdita solo per quest’anno di 1.600 miliardi di dollari, ed una perdita complessiva di più di 6.500 miliardi di dollari. In modo ancora più inquietante, il gap si sta allargando, non chiudendo (come ci si aspetterebbe a seguito di una crisi, quando la ripresa è tipicamente più rapida del normale, come l’economia recupera il terreno perduto).

In parole semplici, la lunga recessione sta abbassando il potenziale di crescita dell’Europa. I giovani che dovrebbero accumulare competenze professionali non ci sono. C’è la prova schiacciante che essi siano di fronte alla prospettiva di un reddito complessivo, per la durata della loro esistenza, significativamente più basso che se fossero vissuti in un periodo di piena occupazione.

Nel frattempo, la Germania sta costringendo altri paesi a seguire politiche che stanno indebolendo le loro economie – e le loro democrazie. Quando i cittadini ripetutamente votano per una cambiamento delle politiche – e per i cittadini poche politiche hanno più valore di quelle che influenzano i loro standard di vita – ma gli viene detto che queste materie sono determinate altrove o che non hanno scelta, entrano in sofferenza sia la democrazia che la fiducia nel progetto europeo.

La Francia votò per cambiare indirizzi tre anni fa. Invece, gli elettori hanno ricevuto un’altra dose di austerità a favore delle imprese. Uno dei concetti di più vecchia data in economia è il moltiplicatore [1] di un bilancio in equilibrio – incrementare assieme tasse e spese stimola l’economia. E se le tasse hanno per obbiettivo i ricchi, e le spese hanno per obbiettivo i poveri, il moltiplicatore può essere particolarmente alto. Ma il cosiddetto Governo socialista sta abbassando le tasse alle imprese e sta tagliando le spese – una ricetta quasi sicura per indebolire l’economia, che però ottiene encomi dalla Germania.

La speranza è che più basse tasse sulle imprese stimoleranno gli investimenti. Si tratta di un puro nonsenso. Quello che sta trattenendo gli investimenti (sia negli Stati Uniti che in Europa) è la carenza della domanda, non le alte tasse. In effetti, dato che gran parte dell’investimento è finanziato col debito, e che i pagamenti degli interessi sono fiscalmente deducibili, il livello della tassazione sulle imprese ha un effetto modesto sull’investimento.

Similmente, l’Italia sta incoraggiando una accelerazione delle privatizzazioni. Ma il Primo Ministro Matteo Renzi ha il buon senso di riconoscere che mettere in liquidazione gli assets nazionali a prezzi di svendita ha poco senso. Considerazioni a lungo termine, non esigenze finanziarie a breve, dovrebbero determinare quali attività considerare per il settore privato. La decisione dovrebbe basarsi su dove le attività sono state evase nel modo più efficiente, servendo nel migliore dei modi l’interesse della maggioranza dei cittadini.

In quei paesi nei quali si è provato l’esperimento, ad esempio, la privatizzazione delle pensioni si è dimostrata costosa. Il sistema in larga parte privatistico della assistenza sanitaria in America è il meno efficiente al mondo. Si tratta di questioni difficili, ma è facile dimostrare che la vendita degli asset di proprietà dello Stato a bassi prezzi non è un buon modo per migliorare la solidità finanziaria di lungo periodo.

Tutta questa sofferenza in Europa – inflitta al servizio di un artificio umano come l’euro – è anche più tragica, considerato che non è necessaria. Sebbene le prove che l’austerità non stia funzionando continuino a crescere, la Germania e gli altri falchi hanno rilanciato la scommessa sul futuro dell’Europa, sulla base di una teoria discreditata da tempo. Quali altri fatti debbono fornire gli economisti per dimostrare questo argomento?

 

 

[1] Per il concetto di “multiplier”, vedi le note sulla traduzione.

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