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I nostri invisibili ricchi, di Paul Krugman (New York Times 28 settembre 2014)

 

Our Invisible Rich

SEPT. 28, 2014 Paul Krugman

Half a century ago, a classic essay in The New Yorker titled “Our Invisible Poor” took on the then-prevalent myth that America was an affluent society with only a few “pockets of poverty.” For many, the facts about poverty came as a revelation, and Dwight Macdonald’s article arguably did more than any other piece of advocacy to prepare the ground for Lyndon Johnson’s War on Poverty.

I don’t think the poor are invisible today, even though you sometimes hear assertions that they aren’t really living in poverty — hey, some of them have Xboxes! Instead, these days it’s the rich who are invisible.

But wait — isn’t half our TV programming devoted to breathless portrayal of the real or imagined lifestyles of the rich and fatuous? Yes, but that’s celebrity culture, and it doesn’t mean that the public has a good sense either of who the rich are or of how much money they make. In fact, most Americans have no idea just how unequal our society has become.

The latest piece of evidence to that effect is a survey asking people in various countries how much they thought top executives of major companies make relative to unskilled workers. In the United States the median respondent believed that chief executives make about 30 times as much as their employees, which was roughly true in the 1960s — but since then the gap has soared, so that today chief executives earn something like 300 times as much as ordinary workers.

So Americans have no idea how much the Masters of the Universe are paid, a finding very much in line with evidence that Americans vastly underestimate the concentration of wealth at the top.

Is this just a reflection of the innumeracy of hoi polloi? No — the supposedly well informed often seem comparably out of touch. Until the Occupy movement turned the “1 percent” into a catchphrase, it was all too common to hear prominent pundits and politicians speak about inequality as if it were mainly about college graduates versus the less educated, or the top fifth of the population versus the bottom 80 percent.

And even the 1 percent is too broad a category; the really big gains have gone to an even tinier elite. For example, recent estimates indicate not only that the wealth of the top percent has surged relative to everyone else — rising from 25 percent of total wealth in 1973 to 40 percent now — but that the great bulk of that rise has taken place among the top 0.1 percent, the richest one-thousandth of Americans.

So how can people be unaware of this development, or at least unaware of its scale? The main answer, I’d suggest, is that the truly rich are so removed from ordinary people’s lives that we never see what they have. We may notice, and feel aggrieved about, college kids driving luxury cars; but we don’t see private equity managers commuting by helicopter to their immense mansions in the Hamptons. The commanding heights of our economy are invisible because they’re lost in the clouds.

The exceptions are celebrities, who live their lives in public. And defenses of extreme inequality almost always invoke the examples of movie and sports stars. But celebrities make up only a tiny fraction of the wealthy, and even the biggest stars earn far less than the financial barons who really dominate the upper strata. For example, according to Forbes, Robert Downey Jr. is the highest-paid actor in America, making $75 million last year. According to the same publication, in 2013 the top 25 hedge fund managers took home, on average, almost a billion dollars each.

Does the invisibility of the very rich matter? Politically, it matters a lot. Pundits sometimes wonder why American voters don’t care more about inequality; part of the answer is that they don’t realize how extreme it is. And defenders of the superrich take advantage of that ignorance. When the Heritage Foundation tells us that the top 10 percent of filers are cruelly burdened, because they pay 68 percent of income taxes, it’s hoping that you won’t notice that word “income” — other taxes, such as the payroll tax, are far less progressive. But it’s also hoping you don’t know that the top 10 percent receive almost half of all income and own 75 percent of the nation’s wealth, which makes their burden seem a lot less disproportionate.

Most Americans say, if asked, that inequality is too high and something should be done about it — there is overwhelming support for higher minimum wages, and a majority favors higher taxes at the top. But at least so far confronting extreme inequality hasn’t been an election-winning issue. Maybe that would be true even if Americans knew the facts about our new Gilded Age. But we don’t know that. Today’s political balance rests on a foundation of ignorance, in which the public has no idea what our society is really like.

 

I nostri invisibili ricchi, di Paul Krugman

New York Times 28 settembre 2014

Mezzo secolo fa, una classico saggio pubblicato da The New Yorker dal titolo “I nostri invisibili poveri” affrontava il mito, allora prevalente, secondo il quale l’America era una società benestante con solo “piccole sacche di povertà”. Per molti, i dati di fatto sulla povertà arrivarono come una rivelazione, e l’articolo di Dwight Macdonald probabilmente ebbe più effetto nel preparare il terreno alla Guerra alla Povertà di Lyndon Johnson, di ogni altro intervento di sostegno.

Io non penso che oggi i poveri siano invisibili, anche se qualche volta si sentono giudizi secondo i quali essi in realtà non vivrebbero in povertà – pensate, alcuni di loro hanno le Xbox [1]! Invece, sono i ricchi di questi tempi ad essere invisibili.

Ma, un attimo: la nostra programmazione televisiva non comprende una mezzora dedicata alla rappresentazione mozzafiato degli stili di vita, reali o immaginari, di individui ricchi e futili? Sì, ma quella è cultura della celebrità, e non comporta che l’opinione pubblica abbia una percezione appropriata di chi siano i ricchi e di quanti soldi facciano. Di fatto, la maggioranza degli americani non ha alcuna idea di quanto la nostra società sia diventata ineguale.

Da questo punto di vista, l’ultima prova è un sondaggio che ha chiesto ai cittadini di vari paesi quanti soldi pensano che gli amministratori delegati delle imprese importanti percepiscano, a confronto dei lavoratori generici. Negli Stati Uniti un intervistato medio ha risposto di credere che gli amministratori abbiano compensi pari a circa 30 volte quelli dei loro addetti, il che era grosso modo vero negli anni ’60 – ma da allora in poi il gap è schizzato alle stelle, cosicché oggi gli amministratori delegati guadagnano qualcosa come 300 volte i lavoratori ordinari.

Dunque gli americani non hanno idea di quanto siano pagati i Padroni dell’Universo, una scoperta che è del tutto in linea con il fatto che gli americani sottostimano enormemente la concentrazione della ricchezza in cima alla scala sociale.

E’ solo un riflesso della inettitudine alla matematica della gente comune? No, perché i presunti bene informati sembrano spesso egualmente non aggiornati. Sino a che il movimento Occupy non trasformò “l’1 per cento” in uno slogan, era del tutto comune ascoltare commentatori ed uomini politici eminenti parlare di ineguaglianza come se fosse una faccenda cha riguardava le differenze tra i laureati ed i meno istruiti, o tra un quinto della popolazione benestante e il restante l’80 per cento che sta nelle zone più basse.

E persino l’1 per cento è una categoria troppo ampia; i veri grandi guadagni sono andati ad una élite persino più minuscola. Ad esempio, stime recenti indicano non solo che la ricchezza dell’1 per cento più in alto è cresciuta a confronto di tutti gli altri – aumentando dal 25 per cento della ricchezza totale nel 1973 al 40 per cento di oggi – ma che la maggior parte della crescita ha avuto luogo nello 0,1 per cento di chi sta in cima, il migliaio degli americani più ricchi.

Come può, dunque, la gente essere inconsapevole di questa novità, o almeno inconsapevole delle sue dimensioni? Direi che la risposta principale è che coloro che sono davvero ricchi sono talmente rimossi dall’esistenza della gente comune che non ci accorgiamo mai di quello che hanno. Possiamo notare, e sentirci lesi, da ragazzotti dell’università che guidano macchine lussuose; ma non vediamo i dirigenti delle private equity [2] spostarsi dall’elicottero alle loro immense ville negli Hamptons [3]. Coloro che comandano nei posti più alti la nostra economia sono invisibili perché sono scomparsi nelle nuvole.

Le eccezioni sono le celebrità, che vivono le loro esistenze in pubblico. E le difese della estrema ineguaglianza quasi sempre invocano gli esempi delle stelle del cinema e dello sport. Ma le celebrità realizzano una frazione minuscola dei ricchi, e persino le stelle più grandi guadagnano assai meno dei baroni della finanza che davvero dominano i livelli superiori. Per esempio, secondo Forbes, Robert Downey Jr. è l’attore più pagato in America, ed ha realizzato 75 milioni di dollari l’anno passato. Secondo la stessa pubblicazione, nel 2013 i 25 maggiori manager di hedge fund portavano a casa, in media, quasi un miliardo di dollari ciascuno.

Conta qualcosa l’invisibilità degli straricchi? In termini politici, conta molto. Gli esperti talora si chiedono per quale motivo gli elettori americani non si preoccupino molto dell’ineguaglianza; in parte la risposta è che non si rendono conto di quanto sia enorme. Ed i difensori dei super ricchi si avvantaggiano di questa ignoranza. Quando la Fondazione Heritage ci racconta che il dieci per cento più ricco di tutti i contribuenti è gravato in modo spietato, perché pagano il 68 per cento di tasse sul reddito, spera che non vi accorgiate della parola “reddito” – le altre tasse, come quelle sulle compensi, sono molto meno progressive. Ma spera anche che non sappiate che il dieci per cento dei più ricchi riceve quasi la metà di tutto il reddito ed è proprietario del 75 per cento della ricchezza nazionale, la qual cosa fa sembrare il loro onere molto meno sproporzionato.

La maggioranza degli americani dice, se richiesta, che l’ineguaglianza è troppo alta e che si dovrebbe fare qualcosa a proposito – c’è un sostegno schiacciante a favore di minimi salariali più elevati, ed una maggioranza a favore di maggiori tasse ai più ricchi. Ma almeno sinora il confronto sull’ineguaglianza estrema non è stato un tema vincente nelle elezioni. Forse sarebbe lo stesso anche se gli americani fossero informati sulla nostra nuova Età dell’Oro. Ma non lo sappiamo. Ad oggi l’equilibrio politico si basa su un fondamento di ignoranza, con una opinione pubblica che non ha idea a cosa realmente assomigli la nostra società.

 

 

 

 

[1] Consolle per videogiochi della Microsoft, sesta generazione.

[2] Il private equity è un’attività finanziaria mediante la quale un investitore istituzionale rileva quote di una società definita target (ossia obiettivo) sia acquisendo azioni esistenti da terzi sia sottoscrivendo azioni di nuova emissione apportando nuovi capitali all’interno della target. (Wikipedia)

[3] L’espressione geografica Hamptons si riferisce specificatamente alle towns di Southampton e East Hampton che si trovano all’estremità orientale di Long Island, sulla penisola nota come South Fork. Southampton e East Hampton fanno parte della Contea di Suffolk. Gli Hamptons sono famosi per ospitare le residenze in cui molti benestanti di New York trascorrono le vacanze estive e i fine settimana. (Wikipedia)

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