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Il Partito della deflazione, di Paul Krugman (New York Times 4 settembre 2014)

 

The Deflation Caucus

By PAUL KRUGMANSEPT. 4, 2014

On Thursday, the European Central Bank announced a series of new steps it was taking in an effort to boost Europe’s economy. There was a whiff of desperation about the announcement, which was reassuring. Europe, which is doing worse than it did in the 1930s, is clearly in the grip of a deflationary vortex, and it’s good to know that the central bank understands that. But its epiphany may have come too late. It’s far from clear that the measures now on the table will be strong enough to reverse the downward spiral.

And there but for the grace of Bernanke go we. Things in the United States are far from O.K., but we seem (at least for now) to have steered clear of the kind of trap facing Europe. Why? One answer is that the Federal Reserve started doing the right thing years ago, buying trillions of dollars’ worth of bonds in order to avoid the situation its European counterpart now faces.

You can argue, and I would, that the Fed should have done even more. But Fed officials have faced fierce attacks all the way. Pundits, politicians and plutocrats have accused them, over and over again, of “debasing” the dollar, and warned that soaring inflation is just around the corner. The predicted surge in inflation has never arrived, but despite being wrong year after year, hardly any of the critics have admitted being wrong, or even changed their tune. And the question I’ve been trying to answer is why. What is it that makes a powerful faction in our body politic — call it the deflation caucus — demand tight money even in a depressed, low-inflation economy?

One thing is clear: Like so much else these days, monetary policy has become very much a partisan issue. It’s not just that talk of dollar debasement comes pretty much exclusively from the right of the political spectrum; inflation paranoia has, to a remarkable extent, become a matter of conservative political correctness, so that even economists who should know better have joined in the chorus. So we can focus the question further: Why do people on the right hate monetary expansion, even when it’s desperately needed?

One answer is the power of truthiness — Stephen Colbert’s justly famed term for things that aren’t true, but feel true to some people. “The Fed is printing money, printing money leads to inflation, and inflation is always a bad thing” is a triply untrue statement, but it feels true to a lot of people. And, yes, a tendency to prefer truthiness to more complicated truth is and pretty much always has been associated with political conservatism, and this tendency is especially strong in an era when leading politicians get their monetary theory from Ayn Rand novels.

Another answer is class interest. Inflation helps debtors and hurts creditors, deflation does the reverse. And the wealthy are much more likely than workers and the poor to be creditors, to have money in the bank and bonds in their portfolio rather than mortgages and credit-card balances outstanding. Back in the Gilded Age, the elite mobilized en masse to defeat William Jennings Bryan, who threatened to take the United States off the gold standard; campaign spending as a percentage of G.D.P. was far higher in 1896 than in any presidential election before or since. Are the wealthy similarly mobilized against easy-money policies today?

As far as I know, we don’t have rigorous evidence to that effect. There are certainly a lot of wealthy investors in the debasing-the-dollar crowd, but we don’t know for sure how representative they are — and you could argue that big investors should like the Fed’s expansionary policies, which have been very good for the stock market. But the wealthy may not trust that connection, in part because the inflationary ’70s were very bad for stocks. And we do know that the very wealthy are much more likely than the general public to consider budget deficits our biggest problem, even though fiscal austerity is probably bad for profits. So perceived class interest is probably also a key motivation for the deflation caucus.

A side note: Europe’s wealthy aren’t as wealthy or influential as their American counterparts, but creditor interests are nonetheless even more powerful than they are here because creditor nations, Germany in particular, have ended up dictating policy for the whole of Europe.

And the important thing to understand is that the dominance of creditor interests on both sides of the Atlantic, supported by false but viscerally appealing economic doctrines, has had tragic consequences. Our economies have been dragged down by the woes of debtors, who have been forced to slash spending. To avoid a deep, prolonged slump, we needed policies to offset this drag. What we got instead was an obsession with the evils of budget deficits and paranoia over inflation — and a slump that has gone on and on.

 

Il Partito della deflazione, di Paul Krugman

New York Times 4 settembre 2014

Giovedì la Banca Centrale Europea ha annunciato una serie di nuove iniziative che sta assumendo nello sforzo di incoraggiare l’economia europea. In quell’annuncio c’era come il segno di una disperazione, a suo modo rassicurante. L’Europa, che sta andando peggio degli anni ’30, è chiaramente nella stretta di un vortice deflattivo, ed è una cosa positiva sapere che la banca centrale lo capisce. Ma questa rivelazione può darsi che arrivi troppo tardi. Non è affatto chiaro se le misure che ora sono sul tavolo saranno sufficientemente energiche da invertire la spirale verso il basso.

Ed è lì che saremmo finiti, se non fossimo stati graziati da Bernanke. Le cose negli Stati Uniti sono lungi dall’essere positive, ma sembra (almeno per adesso) che noi abbiamo scansato chiaramente quel genere di trappola che l’Europa sta affrontando. Per quale motivo? In parte, la risposta è che la Federal Reserve ha cominciato a fare la cosa giusta anni orsono, acquistando bond per il valore di migliaia di miliardi allo scopo di evitare la situazione che ora hanno di fronte i nostri partner europei.

Si può sostenere, ed è la mia opinione, che la Fed avrebbe dovuto fare ancora di più. Ma i dirigenti della Fed hanno dovuto fare i conti sino in fondo con attacchi accaniti. I commentatori, gli uomini politici ed i plutocrati li hanno accusati ripetutamente di “svalutare” il dollaro, ed hanno messo in guardia che in un qualsiasi momento l’inflazione avrebbe potuto salire alle stelle. La pretesa crescita dell’inflazione non è mai arrivata, ma nonostante che un anno dietro l’altro abbiano avuto torto, nessuno dei critici l’ha ammesso volentieri, e neppure ha modificato la sua impostazione. Ho cercato di trovare una risposta a questa domanda. Che cosa rende così potente quella fazione che, nella nostra rappresentanza politica, chiede una restrizione monetaria pure in una economia depressa e caratterizzata da bassa inflazione (chiamiamolo il partito della deflazione)?

Una cosa è chiara: come molte altre cose di questi tempi, la politica monetaria è diventata un tema di divisioni faziose. Non si tratta solo del fatto che il parlare di svalutazione del dollaro caratterizza quasi esclusivamente la destra dello schieramento politico; la paranoia dell’inflazione è diventata, in misura considerevole, un tema della correttezza politica dei conservatori, al punto che persino gli economisti che dovrebbero avere qualche migliore nozione si sono uniti al coro. Dunque, possiamo mettere meglio a fuoco la domanda: perché le persone di destra odiano l’espansione monetaria, persino quando è disperatamente necessaria?

In parte la risposta consiste nel potere della verosimiglianza – Stephen Colbert con buona ragione rese famosa quella espressione per le cose che non sono vere, ma sono sentite tali da un certo numero di persone. “La Fed sta stampando moneta, stampare moneta porta all’inflazione, l’inflazione è sempre una cosa pessima” è una affermazione tre volte non vera, ma viene sentita come vera da una quantità di persone. Ed è così: una tendenza a preferire la verosimiglianza alla più complicata verità è quasi sempre andata di pari passo col conservatorismo politico, e questa tendenza è specialmente forte in un’epoca nella quale uomini politici di spicco prendono in prestito le loro teoria monetarie dai romanzi di Ayn Rand [1].

Un’altra risposta sta negli interessi di classe. L’inflazione aiuta chi ha debiti e colpisce chi ha crediti, la deflazione fa il contrario. Ed è molto più probabile che i ricchi siano creditori, piuttosto che i lavoratori ed i poveri; che abbiano soldi in banca e bond nei loro portafogli, piuttosto che mutui e saldi in sospeso nelle carte di credito. All’epoca dell’Età dell’Oro del capitalismo americano, le classi dirigenti si mobilitarono in massa per sconfiggere William Jennings Bryan [2], che minacciava di portare gli Stati Uniti fuori dal gold standard; la spesa per i sostegni elettorali come percentuale del PIL fu molto più elevata nel 1896 che in ogni altra elezione presidenziale, precedente o successiva. Si può dire che i ricchi siano altrettanto mobilitati oggi, contro le politiche della moneta facile?

Per quanto posso comprendere, non abbiamo prove indiscutibili di questo. Ci sono certamente molti ricchi investitori nella folla di coloro che strepitano contro la svalutazione del dollaro, ma non sappiamo con certezza quanto siano rappresentativi – e si può supporre che ai grandi investitori dovrebbero essere risultate gradite le politiche espansive della Fed, che sono risultate assolutamente positive per il mercato azionario. Ma i ricchi potrebbero non fidarsi di questa connessione, anche perché gli inflazionistici anni ’70 furono molto negativi per le azioni. E noi sappiano che coloro che sono davvero ricchi è più probabile che considerino, assai più dell’opinione pubblica in generale, i deficit di bilancio come il nostro problema più grande, anche se l’austerità delle finanze pubbliche è probabilmente negativa per i profitti. Dunque gli interessi di classe, così come vengono percepiti, sono probabilmente una motivazione fondamentale per il partito della deflazione.

Una osservazione al margine: i ricchi in Europa non sono così ricchi o influenti come i loro omologhi americani. Ma gli interessi dei creditori sono ciononostante anche più potenti di quanto siano da noi, perché le nazioni creditrici, la Germania in particolare, si ritrovano a dettare la politica per l’intera Europa.

E la cosa importante da comprendere è che il dominio degli interessi dei creditori su entrambe le sponde dell’Atlantico, sostenuto da dottrine economiche false ma visceralmente attraenti, ha conseguenze tragiche. Le nostre economie sono state trascinate in basso dai guai dei debitori, che sono stati costretti a tagliare le spese. Per evitare una recessione profonda e duratura, avevamo bisogno di politiche che bilanciassero questo effetto di trascinamento. Quello che, invece, abbiamo avuto è stata una ossessione per i malefici dei deficit di bilancio ed una paranoia per l’inflazione – ed una crisi che è andata sempre più avanti.

 

 

 

[1] Per questa scrittrice-filosofa, vedi le note sulla traduzione.

[2] Bryan fu un esponente della componente ‘populista’ del Partito Democratico americano sulla fine dell’Ottocento e nel primo Novecento. Il populismo comportava una energica opposizione alle banche ed al gold standard (il cosiddetto “free silver”, ovvero l’idea di ridurre il potere politico economico del denaro, dando spazio alla moneta argentea, ovvero ai soldi accessibili dalle tasche di tutti), così come comportò in seguito una posizione pacifista alla vigilia della Prima Guerra Mondiale (era Segretario di Stato con il Presidente Wilson, ma si dimise nel 1915 quando gli Stati Uniti cominciarono ad orientarsi all’intervento). Ma comportava anche una posizione fortemente favorevole al proibizionismo ed ostile all’insegnamento nelle scuole delle teorie evoluzionistiche darwiniane.

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