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La società dell’ostentazione, di Paul Krugman (New York Times 25 settembre 2014)

 

The Show-Off Society

SEPT. 25, 2014 Paul Krugman

Liberals talk about circumstances; conservatives talk about character.

This intellectual divide is most obvious when the subject is the persistence of poverty in a wealthy nation. Liberals focus on the stagnation of real wages and the disappearance of jobs offering middle-class incomes, as well as the constant insecurity that comes with not having reliable jobs or assets. For conservatives, however, it’s all about not trying hard enough. The House speaker, John Boehner, says that people have gotten the idea that they “really don’t have to work.” Mitt Romney chides lower-income Americans as being unwilling to “take personal responsibility.” Even as he declares that he really does care about the poor, Representative Paul Ryan attributes persistent poverty to lack of “productive habits.”

Let us, however, be fair: some conservatives are willing to censure the rich, too. Running through much recent conservative writing is the theme that America’s elite has also fallen down on the job, that it has lost the seriousness and restraint of an earlier era. Peggy Noonan writes about our “decadent elites,” who make jokes about how they are profiting at the expense of the little people. Charles Murray, whose book “Coming Apart” is mainly about the alleged decay of values among the white working class, also denounces the “unseemliness” of the very rich, with their lavish lifestyles and gigantic houses.

But has there really been an explosion of elite ostentation? And, if there has, does it reflect moral decline, or a change in circumstances?

I’ve just reread a remarkable article titled “How top executives live,” originally published in Fortune in 1955 and reprinted a couple of years ago. It’s a portrait of America’s business elite two generations ago, and it turns out that the lives of an earlier generation’s elite were, indeed, far more restrained, more seemly if you like, than those of today’s Masters of the Universe.

“The executive’s home today,” the article tells us, “is likely to be unpretentious and relatively small — perhaps seven rooms and two and a half baths.” The top executive owns two cars and “gets along with one or two servants.” Life is restrained in other ways, too: “Extramarital relations in the top American business world are not important enough to discuss.” Actually, I’m sure there was plenty of hanky-panky, but people didn’t flaunt it. The elite of 1955 at least pretended to set a good example of responsible behavior.

But before you lament the decline in standards, there’s something you should know: In celebrating America’s sober, modest business elite, Fortune described this sobriety and modesty as something new. It contrasted the modest houses and motorboats of 1955 with the mansions and yachts of an earlier generation. And why had the elite moved away from the ostentation of the past? Because it could no longer afford to live that way. The large yacht, Fortune tells us, “has foundered in the sea of progressive taxation.”

But that sea has since receded. Giant yachts and enormous houses have made a comeback. In fact, in places like Greenwich, Conn., some of the “outsize mansions” Fortune described as relics of the past have been replaced with even bigger mansions.

And there’s no mystery about what happened to the good-old days of elite restraint. Just follow the money. Extreme income inequality and low taxes at the top are back. For example, in 1955 the 400 highest-earning Americans paid more than half their incomes in federal taxes, but these days that figure is less than a fifth. And the return of lightly taxed great wealth has, inevitably, brought a return to Gilded Age ostentation.

Is there any chance that moral exhortations, appeals to set a better example, might induce the wealthy to stop showing off so much? No.

It’s not just that people who can afford to live large tend to do just that. As Thorstein Veblen told us long ago, in a highly unequal society the wealthy feel obliged to engage in “conspicuous consumption,” spending in highly visible ways to demonstrate their wealth. And modern social science confirms his insight. For example, researchers at the Federal Reserve have shown that people living in highly unequal neighborhoods are more likely to buy luxury cars than those living in more homogeneous settings. Pretty clearly, high inequality brings a perceived need to spend money in ways that signal status.

The point is that while chiding the rich for their vulgarity may not be as offensive as lecturing the poor on their moral failings, it’s just as futile. Human nature being what it is, it’s silly to expect humility from a highly privileged elite. So if you think our society needs more humility, you should support policies that would reduce the elite’s privileges.

 

La società dell’ostentazione, di Paul Krugman

New York Times 25 settembre 2014

I progressisti parlano delle circostanze; i conservatori del carattere.

Questo spartiacque intellettuale è più evidente quando il tema è la povertà che non scompare dalle nazioni ricche. I progressisti mettono a fuoco la stagnazione dei salari reali e la scomparsa di impieghi che offrono redditi da classe media, così come la costante insicurezza che deriva da non avere posti di lavoro o beni in proprietà sui quali far conto. Per i conservatori, ciononostante, dipende tutto dallo scarso impegno. Il Presidente della Camera, John Boehner, dice che nella testa della gente è entrata l’idea che “non c’è bisogno di lavorare”. Mitt Romney rimprovera gli americani con i redditi bassi di non aver voglia di “assumersi responsabilità personali”. Pur dichiarando di avere a cuore i poveri, il membro del Congresso Paul Ryan attribuisce la persistente povertà ad una mancanza di “inclinazione a produrre”.

Cerchiamo, tuttavia, d’esser giusti: alcuni conservatori sono anche disponibili a censurare i ricchi. Il tema di una classe dirigente americana che è anch’essa caduta in basso nel lavoro, che ha perso la serietà e la misura dei tempi passati, si ritrova in vari recenti scritti di conservatori. Peggy Noonan scrive delle nostre “élite decadenti”, che possono scherzare su quanto guadagnano alle spese delle persone normali. Anche Charles Murray, il cui libro “Cadere a pezzi” riguarda principalmente la pretesa decadenza dei valori tra i lavoratori bianchi, denuncia le “inopportunità” degli individui molto ricchi, con i loro stili di vita sfarzosi e le loro residenze gigantesche.

Ma c’è stata una esplosione della ostentazione da parte dell’ élite? E, se c’è stata, è indicativa di un declino morale, o di un cambiamento delle circostanze?

Ho appena riletto un notevole articolo dal titolo “Come vivono gli alti dirigenti”, originariamente pubblicato nel 1955 su Fortune e ripubblicato un paio d’anni fa. E’ il ritratto dell’elite economica di due generazioni passate, e si scopre che le esistenze dell’élite delle precedenti generazioni erano, in effetti, assai più misurate, molto più decorose se si vuole, degli attuali Padroni dell’Universo.

“La abitazione di un amministratore delegato di oggi”, ci racconta l’articolo, “si può dire che non sia pretenziosa e che sia relativamente piccola – “forse sette camere e due bagni e mezzo”. Gli alti dirigenti possiedono due automobili e “vanno avanti con uno o due domestici”. La vita è sobria anche in altri sensi: “Le relazioni extraconiugali al vertice del mondo degli affari non sono così importanti da diventare un elemento di discussione”. In verità, io sono sicuro che c’erano molte scappatelle, ma le persone non lo sbandieravano. Le persone nel 1955 facevano almeno finta di dare un buon esempio di comportamento responsabile.

Ma prima di lamentarci sul decadimento delle norme, c’è qualcosa che si dovrebbe sapere: nel celebrare la sobria e misurata élite americana, Fortune descriveva questa sobrietà e senso della misura come qualcosa di nuovo. Essa notava il contrasto tra le case modeste ed i fuoribordo del 1955 e le grandi ville [1] e gli yacht della precedente generazione. E perché l’élite aveva abbandonato l’ostentazione del passato? Perché non si poteva più permettere di vivere in quel modo. I grandi yacht, raccontava Fortune, “erano affondati nel mare della tassazione progressiva”.

Ma da allora quel mare si è ritirato.  Sono tornati gli yacht giganteschi e gli enormi alloggi. Di fatto, in luoghi come Greenwhich, nel Connecticut, alcune delle “sproporzionate grandi ville” che Fortune descriveva come relitti del passato sono state rimpiazzate con ville ancora più grandi.

E non c’è alcun mistero di quello che è successo alla modestia delle élite dei bei tempi andati. Sono tornate le ineguaglianze estreme e le basse tasse in cima alla scala sociale. Per esempio, nel 1955 gli americani con le maggiori fortune pagavano più della metà dei loro redditi in tasse federali, mentre di questi tempi quel dato è meno di un quinto. E il ritorno della grande ricchezza leggermente tassata ha comportato, inevitabilmente, un ritorno della ostentazione dell’Età dell’oro.

C’è qualche speranza che le esortazioni morali, gli appelli a fornire esempi migliori, possano indurre i ricchi a smetterla con tanta esibizione? No.

Non solo perché le persone che possono permettersi di vivere nell’abbondanza tendono semplicemente a farlo. Come Thorstein Veblen ci raccontava molto tempo fa, in una società altamente ineguale i ricchi si sentono tenuti ad impegnarsi in “consumi cospicui”, spendendo in modi del tutto visibili per mostrare la propria ricchezza. E la moderna scienza sociale conferma la sua intuizione. Ad esempio, i ricercatori della Federal Reserve hanno dimostrato che le persone che vivono in quartieri altamente ineguali è più probabile acquistino vetture di lusso di coloro che vivono in ambienti più omogenei. Abbastanza comprensibilmente, l’elevata diseguaglianza comporta la percezione del bisogno di spendere soldi in modi che segnalino uno status.

Il punto è che se rimproverare i ricchi per la loro volgarità non sarebbe offensivo come fare prediche ai poveri sui loro fallimenti morali, resta il fatto che è una cosa inutile. Dato che la natura umana è quel che è, è sciocco aspettarsi umiltà da una élite altamente privilegiata. Se si pensa che la nostra società abbia bisogno di maggiore umiltà, si dovrebbero sostenere quelle politiche capaci di ridurre i privilegi dell’élite.

 

 

 

[1] Traduco “mansion” con “grande villa”, ma si tratta di un termine del tutto specifico della architettura americana, caratterizzato dell’isolamento in parchi più o meno grandi e da una struttura che si distingue per la tipica sommatoria barocca di varie componenti:

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