Sep 4 3:33 pm
“It is ideas, not vested interests, which are dangerous for good or evil.” So declared Keynes at the end of The General Theory; although I don’t think he appreciated the extent to which vested interests can buy the ideas they want to hear. Anyway, this seems relevant to Brad DeLong’s flashback to 2009, when I was lamenting bad ideas from freshwater economists and Justin Fox was dismissing them as having no influence on policy.
As Brad says, it turned out that the bad ideas mattered a lot; Henry Farrell and John Quiggin (pdf) explain why. The reality was that the Keynesian policy consensus of early 2009, such as it was — and it wasn’t much, even then — was fragile. Key actors with real power — Republicans in the US, Germany, and the Trichet-era ECB — were strongly anti-Keynesian by instinct. They were temporarily bowled over by the vocal Keynesian consensus among economists who had strong public platforms, but were ready to grab hold of seemingly credentialed people willing to offer justifications for austerity and hard money.
And a quorum of economists obliged. Alesina-Ardagna expansionary austerity never got a lot of traction among policy-oriented macroeconomists, but the Harvard connection meant that it was good enough to give the austerians an intellectual fig leaf; the same for Reinhart-Rogoff and the 90 percent of doom. Having John Cochrane insist that Keynesian economics had been proved wrong and nobody was teaching it helped the austerian case even though it was completely untrue; so did having Robert Lucas accuse Christy Romer of being intellectually corrupt. Bad economic ideas didn’t really drive bad policy, but they acted as enablers for bad policy instincts.
And the people who promulgated these bad ideas therefore have a lot to answer for.
Pericolose nel senso peggiore
“Sono le idee, non gli interessi costituiti, ad essere pericolose nel bene o nel male”. Così affermava Keynes alla fine di The General Theory; sebbene io creda che non si potesse render conto di quanto gli interessi costituti possano foraggiare le idee che vogliono sentirsi dire. In ogni modo, questo pare rilevante per la retrospettiva al 2009 di Brad DeLong, quando io mi lamentavo per le cattive idee degli economisti dell’ “acqua dolce” [1] e Justin Fox le liquidava come se non avessero peso nella politica.
Come dice Brad, si è scoperto che la cattive idee contavano molto; Henry Farrell e John Quiggin (disponibile in pdf) spiegano perché. La realtà era che il consenso alle politiche keynesiane degli inizi del 2009, per quello che era – e non era molto, neppure allora – era fragile. Protagonisti fondamentali con un potere effettivo – i repubblicani negli Stati Uniti, la Germania e la BCE dell’epoca di Trichet – erano fortemente antikeynesiani per istinto. Essi furono provvisoriamente atterrati dal dichiarato consenso al keynesismo tra gli economisti che avevano potenti tribune pubbliche, ma furono pronti ad afferrarsi a persone apparentemente dotate di credenziali che erano disponibili ad offrire giustificazioni per l’austerità e la moneta forte.
Ed un numero sufficiente di economisti fecero il favore. L’austerità espansiva di Alesina-Ardagna non ha mai avuto molto seguito tra i macroeconomisti orientati alla politica, ma la “Harvard connection” comportò che fosse buona a sufficienza per dare ai filo-austeri una foglia di fico intellettuale; lo stesso accadde per Reinhart-Rogoff e per il tragico destino di chi superava il 90 per cento del debito. (Lo comportò) consentendo a John Cochrane di insistere che l’economia keynesiana si era manifestata sbagliata mentre nessuno insegnava che questo aiutava la tesi dei filo austeri, anche se era completamente sbagliata; così come lo comportò consentendo a Robert Lucas di accusare Christy Romer di essere intellettualmente non onesta.
E di conseguenza, le persone che misero in giro queste pessime idee hanno molte risposte da dare.
[1] Per “freshwater economics” vedi le note sulla traduzione.
By mm
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