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Ristrutturare un debito che si ristruttura di Barry Eichengreen (da Project Syndicate, 9 settembre 2014)

 

Barry Eichengreen

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Barry Eichengreen is Professor of Economics and Political Science at the University of California, Berkeley, and a former senior policy adviser at the International Monetary Fund. His most recent book is Exorbitant Privilege: The Rise and Fall of the Dollar and the Future of the International Monetary System.

SEP 9, 2014

Restructuring Debt Restructuring

BERKELEY – Sometimes the worst intentions yield the best results. So it is, unexpectedly, with Argentine debt.

The story begins with Argentina’s financial crisis in 2001-2002. There is no question that the crisis left the country unable to service its debts. But Argentina made no friends by waiting four years to negotiate with its creditors and then offering settlement terms that were stingy by the standards of previous debt restructurings.

Still, the terms were acceptable to the vast majority of the country’s creditors, who exchanged their old claims for new ones worth 30 cents on the dollar. All, that is, except for a few holdouts who bought up the remaining bonds on the cheap and went to court, specifically to the US District Court of the Southern District of New York, asking to be paid in full.

This quixotic strategy met with unexpected success when Federal Judge Thomas Griesa ruled in the holdouts’ favor. Griesa idiosyncratically reinterpreted the pari passu, or equal treatment, clause in the debt contracts to mean that “vulture” funds refusing to participate in the earlier debt exchange should receive not 30 but 100 cents on the dollar.

Griesa’s ruling threatened to hold the Bank of New York Mellon, the Argentine government’s agent, in contempt if it paid other bondholders without also paying the vultures. Effectively barred from servicing its debt on the renegotiated terms, Argentina had little choice but to default again.

This was not an episode from which anyone emerged smelling like a rose. Argentina’s hardball tactics and erratic policies did not endear it to investors. The vultures showed no scruples in profiting at the expense of Argentine taxpayers. They are now deploying the same strategy against the Democratic Republic of the Congo, one of the world’s poorest countries.

Griesa, for his part, showed no compunction about upending a financial order in which market-based exchanges of old bonds for new ones are used to restructure the debts of countries unable to pay. By making it impossible for sovereigns to restructure, he effectively rendered them unable to borrow in the United States. Ignoring previous precedent and all economic common sense, he threw international financial markets into turmoil.

This prompted various suggestions for reforming sovereign-debt markets. Resuscitating ideas advanced in the wake of Argentina’s earlier default, some experts proposed creating an international bankruptcy court in the IMF. Others suggested that Argentina might issue bonds under European – or even domestic – law.

But experience has shown that bondholders are not inclined to subordinate their claims to some untested international bankruptcy court. The only thing they would like less are obligations whose terms were enforced by courts as easy to manipulate as Argentina’s. As for borrowing in European currencies, Griesa was quick to declare that his rulings would cover such bonds as well.

Fortunately, there is a simple solution to these problems. Investors could agree to insert language into bond contracts that leaves no room for vulture funds.

First, they could clarify the pari passu clause, specifying that it guaranteed comparable treatment for existing bondholders, not for existing bondholders and earlier bondholders whose claims were already extinguished.

Second, issuers could add “aggregation clauses” specifying that an agreement supported by a qualified majority of a country’s bondholders, say, two-thirds, would bind one and all. There was already movement after Argentina’s earlier default to add “collective-action clauses” that allowed the holders of an individual bond issue to take a binding vote to accept a restructuring offer.

But this still allowed the vultures to block the process by buying up a third of a particular bond issue. By contrast, purchasing a third of a country’s entire debt stock, as required for a blocking position when all bondholders vote together, is an altogether more costly proposition.

In 2003, in an article in the American Economic Review, Ashoka Mody and I made the case for these provisions. They are basically what the International Capital Market Association of leading investors and issuers has now agreed to implement, subject to some additional details that need not be examined here.

Why didn’t it happen sooner? The answer is that getting investors to agree is like herding cats. In this case, it required strong behind-the-scenes leadership from the US Treasury.

The agreement is not perfect, and problems remain. Because new contractual provisions are not easily retrofitted into old bonds, it will take years before the clauses are included in the entire stock of debt. Establishing an international bankruptcy court would be a far more efficient solution, but that doesn’t make it feasible. Investors were wise to acknowledge that, in international capital markets, the perfect is the enemy of the good.

 

 

 

 

 

 

Ristrutturare un debito che si ristruttura

di Barry Eichengreen

BERKELEY – Talvolta, le peggiori intenzioni producono i migliori risultati. Così, inaspettatamente, accade col debito dell’Argentina.

La storia comincia con la crisi finanziaria in Argentina nel 2001-2002. Non c’è dubbio che la crisi lasciò il paese nell’impossibilità di provvedere ai suoi debiti. Ma l’Argentina non si fece amici aspettando quattro anni per negoziare con i suoi creditori e poi offrendo termini di accordo che erano assai avari per gli standard delle precedenti ristrutturazioni dei debiti.

Eppure, i termini risultarono accettabili per la grande maggioranza dei creditori del paese, che scambiarono i loro precedenti diritti con nuovi, che valevano 30 centesimi per dollaro. Ovvero, tutti ad eccezione di alcuni contrari che acquistarono i bond rimanenti in economia e andarono in giudizio, precisamente al Tribunale Distrettuale degli Stati Uniti del Distretto Meridionale di New York, con la richiesta di essere ripagati per intero.

Questa eccentrica strategia incontrò un inaspettato successo allorché il Giudice Federale Thomas Griesa sentenziò a favore dei ricorrenti. Griesa reinterpretò in modo stravagante il “pari passu”, o eguale trattamento, una clausola nei contratti di debito che comporta che i fondi “avvoltoio” che rifiutano di partecipare ad una precedente ristrutturazione del debito non dovrebbero ricevere 30 centesimi, ma 100 centesimi per dollaro.

La sentenza di Griesa minacciava di prendere possesso della Banca di New York Mellon, l’agente del Governo argentino, per oltraggio, se essa avesse pagato gli altri possessori di obbligazioni senza pagare anche gli avvoltoi. In pratica impossibilitata di provvedere ai suoi debiti nei termini della rinegoziazione, l’Argentina aveva poche possibilità, se non quella di andare nuovamente in default.

Si è trattato di un episodio dal quale nessuno è uscito profumato come una rosa. Le tattiche del gioco duro e le politiche inaffidabili dell’Argentina non l’hanno resa amabile agli investitori. Gli avvoltoi non hanno mostrato scrupoli nel procurarsi profitti a spese dei contribuenti. In questo momento essi stano adottando la stessa strategia contro la Repubblica Democratica del Congo, uno dei paesi più poveri del mondo.

Griesa, per suo conto, non ha mostrato alcun rimorso nel sovvertire un ordine finanziario nel quale scambi basati sul mercato di vecchie obbligazioni per nuove sono usate per ristrutturare i debiti di paesi che non sono nelle condizioni di pagare. Rendendo impossibile la ristrutturazione dei debiti governativi, egli in pratica li metteva nella impossibilità di ottenere credito negli Stati Uniti. Ignorando precedenti del passato e qualsiasi sensatezza economica, gettava i mercati finanziari internazionali in uno sconvolgimento.

Tutto questo ha suggerito alcune indicazioni per riformare i mercati dei debiti sovrani. Alcuni esperti, resuscitando idee sulla scia del precedente default dell’Argentina, hanno proposto di creare un Corte internazionale dei fallimenti presso il FMI. Altri hanno suggerito che l’Argentina potrebbe emettere obbligazioni sotto la legislazione europea – o anche nazionale.

Ma l’esperienza ha dimostrato che i possessori di obbligazioni non sono inclini a subordinare le loro pretese a qualche non sperimentata corte internazionale dei fallimenti. Ciò che essi detesterebbero maggiormente sarebbero obbligazioni i cui termini venissero fatti applicare da tribunali facili da manipolare come quelli dell’Argentina. Quanto al prendere a prestito valute europee, Griesa è stato rapido nel dichiarare che la sua sentenza si applicherebbe anche a tali obbligazioni.

Fortunatamente, esiste una soluzione semplice per questo problemi. Gli investitori potrebbero concordare di inserire una espressione nei contratti di obbligazione che non lascerebbe alcuno spazio a fondi avvoltoio.

In primo luogo potrebbero chiarire la clausola pari passu, specificando che essa garantiva un trattamento simile ai possessori esistenti di obbligazioni, non per i possessori esistenti e per quelli precedenti, le cui obbligazioni fossero già estinte.

In secondo luogo, gli istituti di emissione dovrebbero aggiungere “clausole di aggregazione” che specificano che un accordo sostenuto da una maggioranza qualificata dei possessori delle obbligazioni di un paese, diciamo due terzi, è vincolante per tutti. C’era già stato un movimento, prima del precedente default dell’Argentina per aggiungere “clausole di azione collettiva” che consentissero ai possessori di una singola emissione di bond di assumere un impegno vincolante ad accettare una offerta di ristrutturazione.

Ma questo consentiva agli avvoltoi di bloccare il processo acquistando un terzo di una particolare emissione di bond. Diversamente, acquistare un terzo dell’intera riserva del debito di un paese, come richiesto ad una posizione di blocco qualora tutti i possessori di obbligazioni votino assieme, è un concetto del tutto più oneroso.

Nel 2003, in un articolo su American Economic Review, Ashoka Mody e il sottoscritto avanzammo l’ipotesi di queste misure. Esse erano fondamentalmente quello che l’International Capital Market Association dei principali investitori ed emittenti hanno ora concordato di mettere in atto, in subordine ad alcuni dettagli aggiuntivi che non è il caso di esaminare in questa sede.

Perché questo non è accaduto in precedenza? La risposta è che mettere gli investitori d’accordo è come mettere assieme dei gatti in un gregge. In questo caso, è stata necessaria una forte azione di guida da dietro le quinte del Tesoro degli Stati Uniti.

L’accordo non è perfetto e restano dei problemi. Dato che le nuove misure contrattuali non sono state agevolmente retro adattate ai vecchi bond, saranno necessari anni prima che le nuove clausole siano incluse nella intera riserva del debito. Stabilire una Corte internazionale dei fallimenti sarebbe stata una soluzione di gran lunga più efficace, eppure ciò non l’ha resa fattibile. Gli investitori sono stati saggi a riconosce che, nei mercati internazionali dei capitali, il perfetto è il nemico del buono.

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