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Un paese può essere troppo competitivo? di Simon Wren-Lewis (da Mainly Macro, 13 settembre 2014)

Saturday, 13 September 2014

Simon Wren-Lewis

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Can a country be too competitive?

In my earlier post on the failure of the Eurozone to understand the lessons of the Great Depression, I talked about Germany becoming ‘too competitive’. From some comments it seemed this was a contradiction in terms: how can a country ever be too competitive? I think it was obvious then that I was talking only about relative prices: being competitive in quality is something else. The problem is that Germany did become too competitive in price terms from 2000 to 2007 relative to pretty well all its Eurozone partners.

 

Graphs that compare some measure like unit labour costs over this period in Germany and some periphery country are ubiquitous. The discussion normally moves on to talk about how this was a problem of the periphery country’s own making alone: for whatever reason demand was too strong, which put upward pressure on inflation. However, as Francesco Saraceno points out, the really notable outlier here is Germany. Germany did not just increase its competitiveness relative to particular periphery countries; it also became more competitive with its immediate neighbours. From 1999 to 2008, whole economy unit labour costs were flat in Germany, compared to average annual increases in France of 2%, in Italy 3%, in Belgium 2.1%, in the Netherlands 2.3%. (Source OECD Economic Outlook Annex Table 22.)

 

The reason for this was a remarkable degree of real wage restraint in Germany. The chart below plots annual increases in real wages in Germany (either relative to the CPI or the GDP deflator) compared to labour productivity. Although these two series do not always move together, divergence between real wages measured relative to the GDP deflator and labour productivity are unusual because they imply a changing share of labour income.

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German real wages and productivity: source OECD Economic Outlook

 

Whatever the reason behind this unusual wage restraint, it is bound to cause problems within a monetary union if other countries do not do the same. Unless Germany entered the Euro at an exchange rate that was unsustainably uncompetitive (and there are good reasons for doubting this possibility), and unless there is a structural deterioration in Germany’s non-price competitiveness that needs to be offset (which seems unlikely given its huge current account surplus), then these competitiveness gains have to be reversed. German inflation, which was below the rest of the Eurozone, will have to be above inflation in the rest of the Eurozone for some time. These are the rules of the game for a monetary union.

As Germany is the outlier, this is a problem of Germany’s making. I’m normally reluctant to mix macroeconomics with morality, but those that suggest that it should be other countries that have to adjust towards Germany have things completely wrong here. Even if you believe that German real wages had to fall to reduce structural unemployment, Germany has no right to impose the same policy on other countries. A price it should pay for undercutting its neighbours is to experience a period of above ECB target inflation (e.g. 3% CPI inflation, which probably means nominal wage increases of something between 4% and 5%). If that is not going to happen, Germany should stimulate its economy to ensure it does. Anything else is the monetary union equivalent of anti-social behaviour.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un paese può essere troppo competitivo?

di Simon Wren-Lewis

 

In un mio precedente post sul fallimento dell’eurozona nel comprendere le lezioni della Grande Depressione, avevo parlato del fatto che la Germania stava diventando ‘troppo competitiva’. Secondo alcuni commenti, questa sembrava essere una contraddizione in termini: come può un paese essere mai troppo competitivo? Penso che fosse evidente che stavo parlando solo dei prezzi relativi: essere competitivi nella qualità è un’altra cosa. Il problema è che la Germania è diventata troppo competitiva in termini di prezzi dal 2000 al 2007, in relazione praticamente a tutti i suoi partner dell’eurozona.

I grafici che confrontano alcune misure come i costi di lavoro unitari in questo periodo in Germania e in qualche paese della periferia sono molto diffusi. La discussione normalmente procede con il dire di come questo fosse un problema che si erano procurati da sé i paesi della periferia: per una ragione imprecisata la domanda era stata troppo forte, la qualcosa aveva spinto l’inflazione verso l’alto. Tuttavia, come sottolinea Francesco Saraceno [1], la vera notevole deviazione in questo caso era quella tedesca. La Germania non solo incrementò la propria competitività rispetto ai paesi della periferia; essa divenne più competitiva anche con i propri vicini più prossimi. Dal 1999 al 2008, i costi per unità lavorativa dell’intera economia, in Germania, furono piatti, a confronto di incrementi medi annuali del 2% in Francia, del 3% in Italia, del 2,1% in Belgio, del 2,3% in Olanda (Fonte, Economic Outlook Annex dell’OCSE, Tabella 22).

La ragione di questo fu un considerevole grado di restrizione dei salari reali in Germania. Il successivo diagramma rappresenta gli incrementi nei salari reali in Germania (relativi sia all’indice dei prezzi al consumo che al deflatore del PIL) a confronto con la produttività del lavoro. Sebbene queste due serie non si muovano sempre assieme, le divergenze tra i salari reali misurati in relazione al deflatore del PIL e la produttività del lavoro sono inusuali perché implicano un mutamento nella quota di reddito del lavoro.

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Salari reali e produttività in Germania: fonte, Economic Outlook, OCSE

Qualsiasi fosse la ragione di questa inusuale restrizione salariale, è inevitabile che essa provochi problemi all’interno dell’unione monetaria, se gli altri paesi non fanno lo stesso. A meno che la Germania non sia entrata nell’euro ad un tasso di cambio insostenibilmente non competitivo (e ci sono buone ragioni per dubitarlo [2]), e a meno che non ci sia un deterioramento strutturale della competitività non dipendente dai prezzi che ha bisogno di essere equilibrato (il che sembra improbabile dato il suo ampio surplus di conto corrente), questi incrementi di competitività debbono essere compensati. L’inflazione tedesca, che rimase al di sotto del resto dell’eurozona, per un qualche periodo si deve collocare al di sopra del resto dell’eurozona. In una unione monetaria, queste sono le regole del gioco.

Dato che la Germania è stato il fattore deviante, questo è un problema che la Germania deve risolvere. Normalmente io sono riluttante a confondere la macroeconomia e la moralità, ma in questo caso coloro che suggeriscono che dovrebbero essere gli altri paesi a dover operare le correzioni verso la Germania hanno completamente torto. Persino se si crede che i salari reali della Germania dovevano scendere per ridurre la disoccupazione strutturale, la Germania non ha alcun diritto di imporre la stessa politica agli altri paesi. Un prezzo che essa dovrebbe pagare per aver venduto sottocosto ai suoi vicini è sperimentare un periodo nel quale l’inflazione si collochi sopra l’obbiettivo della BCE (ad esempio: un 3% di inflazione nell’indice dei prezzi al consumo, che probabilmente comporta incrementi dei salari nominali di qualcosa tra il 4 ed il 5%). Se questo non avviene, la Germania dovrebbe stimolare la sua economia per assicurare che avvenga. Ogni altra cosa è equivalente, in una unione monetaria, ad un comportamento anti sociale.

 

 

[1] Il riferimento è ad un post di Francesco Saraceno dal titolo “Chi è il vero responsabile della deviazione?” dell’11 settembre scorso.

[2] Il riferimento è ad un post di Wren-Lewis del 20 dicembre 2011, dal titolo “C’è un problema di competitività all’interno dell’eurozona?”.

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