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Chiedere scusa al Giappone, di Paul Krugman (New York Times 30 ottobre 2014)

 

Apologizing to Japan

OCT. 30, 2014 Paul Krugman

TOKYO — For almost two decades, Japan has been held up as a cautionary tale, an object lesson on how not to run an advanced economy. After all, the island nation is the rising superpower that stumbled. One day, it seemed, it was on the road to high-tech domination of the world economy; the next it was suffering from seemingly endless stagnation and deflation. And Western economists were scathing in their criticisms of Japanese policy.

I was one of those critics; Ben Bernanke, who went on to become chairman of the Federal Reserve, was another. And these days, I often find myself thinking that we ought to apologize.

Now, I’m not saying that our economic analysis was wrong. The paper I published in 1998 about Japan’s “liquidity trap,” or the paper Mr. Bernanke published in 2000 urging Japanese policy makers to show “Rooseveltian resolve” in confronting their problems, have aged fairly well. In fact, in some ways they look more relevant than ever now that much of the West has fallen into a prolonged slump very similar to Japan’s experience.

The point, however, is that the West has, in fact, fallen into a slump similar to Japan’s — but worse. And that wasn’t supposed to happen. In the 1990s, we assumed that if the United States or Western Europe found themselves facing anything like Japan’s problems, we would respond much more effectively than the Japanese had. But we didn’t, even though we had Japan’s experience to guide us. On the contrary, Western policies since 2008 have been so inadequate if not actively counterproductive that Japan’s failings seem minor in comparison. And Western workers have experienced a level of suffering that Japan has managed to avoid.

What policy failures am I talking about? Start with government spending. Everyone knows that in the early 1990s Japan tried to boost its economy with a surge in public investment; it’s less well-known that public investment fell rapidly after 1996 even as the government raised taxes, undermining progress toward recovery. This was a big mistake, but it pales by comparison with Europe’s hugely destructive austerity policies, or the collapse in infrastructure spending in the United States after 2010. Japanese fiscal policy didn’t do enough to help growth; Western fiscal policy actively destroyed growth.

Or consider monetary policy. The Bank of Japan, Japan’s equivalent of the Federal Reserve, has received a lot of criticism for reacting too slowly to the slide into deflation, and then for being too eager to raise interest rates at the first hint of recovery. That criticism is fair, but Japan’s central bank never did anything as wrongheaded as the European Central Bank’s decision to raise rates in 2011, helping to send Europe back into recession. And even that mistake is trivial compared with the awesomely wrongheaded behavior of the Riksbank, Sweden’s central bank, which raised rates despite below-target inflation and relatively high unemployment, and appears, at this point, to have pushed Sweden into outright deflation.

The Swedish case is especially striking because the Riksbank chose to ignore one of its own deputy governors: Lars Svensson, a world-class monetary economist who had worked extensively on Japan, and who had warned his colleagues that premature rate increases would have exactly the effects they did, in fact, have.

So there are really two questions here. First, why has everyone seemed to get this so wrong? Second, why has the West, with all its famous economists — not to mention the ability to learn from Japan’s woe — made an even worse mess than Japan did?

The answer to the first question, I think, is that responding effectively to depression conditions requires abandoning conventional respectability. Policies that would ordinarily be prudent and virtuous, like balancing the budget or taking a firm stand against inflation, become recipes for a deeper slump. And it’s very hard to persuade influential people to make that adjustment — just look at the Washington establishment’s inability to give up on its deficit obsession.

As for why the West has done even worse than Japan, I suspect that it’s about the deep divisions within our societies. In America, conservatives have blocked efforts to fight unemployment out of a general hostility to government, especially a government that does anything to help Those People. In Europe, Germany has insisted on hard money and austerity largely because the German public is intensely hostile to anything that could be called a bailout of southern Europe.

I’ll be writing more soon about what’s happening in Japan now, and the new lessons the West should be learning. For now, here’s what you should know: Japan used to be a cautionary tale, but the rest of us have messed up so badly that it almost looks like a role model instead.

 

Chiedere scusa al Giappone, di Paul Krugman

New York Times 3 ottobre 2014

TOKYO – Per quasi due decenni il Giappone è stato considerato come una storia che avrebbe dovuto mettere in guardia, un oggetto da manuale di come non governare una nazione avanzata. In fin dei conti, la nazione insulare era la superpotenza nascente che aveva fatto un passo falso. Un tempo, era sembrato, era in procinto di dominare l’economia mondiale delle alte tecnologie; successivamente era entrato in sofferenza per una stagnazione apparentemente infinita e per la deflazione. E gli economisti occidentali erano feroci nelle loro critiche sulla politica giapponese.

Io ero uno dei quei critici; Ben Bernanke, che stava per diventare Presidente della Fed, era un altro. E di questi tempi, mi ritrovo a pensare che dovremmo chiedere scusa.

Ora, non sto dicendo che la nostra analisi economica fosse sbagliata. Il saggio che pubblicai nel 1998 sulla ‘trappola di liquidità’ del Giappone, o il saggio che Bernanke pubblicò nel 2000 per spingere gli operatori politici giapponesi a mostrare una “risolutezza rooseveltiana” nell’affrontare i loro problemi, hanno sopportato abbastanza bene l’usura del tempo. Di fatto, in un certo senso essi sembrano più rilevanti che mai, adesso che gran parte dell’Occidente è caduta in una prolungata congiuntura negativa molto simile all’esperienza giapponese.

Il punto, tuttavia, è che in sostanza l’Occidente è caduto in una crisi simile a quella del Giappone – ma peggiore. Ed è quello che non ci si aspettava accadesse. Negli anni ’90 si pensava che se gli Stati Uniti o l’Europa Occidentale si fossero trovati a fare i conti con problemi come quelli del Giappone, avremmo risposto molto più efficacemente. Ma non è andata così, anche se avevamo l’esperienza del Giappone che ci poteva indirizzare. Al contrario, a partire dal 2008 le politiche occidentali sono state talmente inadeguate se non effettivamente controproducenti, che a confronto i fallimenti del Giappone appaiono una cosa minore. Ed i lavoratori occidentali hanno conosciuto un livello di sofferenza che il Giappone ha cercato di evitare.

Di quali fallimenti sto parlando? Cominciamo dalla spesa pubblica. Tutti sanno che nei primi anni ’90 il Giappone cercò di incoraggiare la sua economia con una crescita dell’investimento pubblico; è meno noto che l’investimento pubblico diminuì rapidamente dopo il 1996 proprio mentre il Governo aveva elevato le tasse, mettendo a repentaglio il progresso verso la ripresa. Fu un grave errore, ma esso impallidisce a confronto con le politiche di austerità ampiamente distruttive dell’Europa, o al collasso della spesa in infrastrutture negli Stati Uniti dopo il 2010. La politica della finanza pubblica in Occidente ha distrutto con pieno impegno la crescita.

Oppure, si consideri la politica monetaria. La Banca del Giappone, l’equivalente giapponese della Federal Reserve, ricevette molte critiche per una reazione troppo lenta allo scivolamento nella deflazione, e successivamente per essere stata troppo impaziente nell’elevare i tassi di interesse ai primi cenni di ripresa. Quelle critiche erano giuste, ma la banca centrale del Giappone non prese mai una decisione talmente avventata come quella della Banca centrale Europea di elevare i tassi nel 2011, contribuendo a rispedire l’Europa nella recessione. E quell’errore fu addirittura banale se paragonato alla impressionante condotta insensata della Riksbank, la banca centrale della Svezia, che ha innalzato i tassi nonostante una inflazione al di sotto dell’obbiettivo programmato ed una disoccupazione relativamente elevata, al punto che adesso sembra aver spinto la Svezia in una in una chiara deflazione.

Il caso svedese è particolarmente impressionante perché la Riksbank ha scelto di ignorare uno dei suoi stessi vicegovernatori: Lars Svensson, un economista monetario di prim’ordine che aveva approfonditamente lavorato sul Giappone, e che aveva messo in guardia i suoi colleghi sul fatto che prematuri incrementi dei tassi avrebbero precisamente prodotto gli effetti che in pratica hanno avuto.

Dunque, si pongono davvero due domande. La prima, perché tutti sono sembrati incapaci di capire tutto questo? La seconda, perché l’Occidente, con tutti i suoi famosi economisti – per non dire della possibilità di imparare dalle avversità del Giappone – si è comportata in modo persino peggiore?

La risposta alla prima domanda, penso, è che per reagire efficacemente alla condizioni della depressione richiede che si abbandoni il tradizionale perbenismo. Politiche che sarebbero ordinariamente prudenti e virtuose, come mettere in pareggio i bilanci o assumere una ferma posizione contro l’inflazione, diventano ricette per una crisi più profonda. Ed è molto difficile persuadere le persone influenti a correggersi – si guardi soltanto all’incapacità dei gruppi dirigenti di Washington a rinunciare alla loro ossessione del deficit.

E per quanto riguarda il fatto che l’Occidente abbia persino fatto peggio del Giappone, ho il sospetto che questo dipenda dalle profonde divisioni all’interno delle nostre società. In America, i conservatori hanno bloccato gli sforzi per combattere la disoccupazione per una generale ostilità verso il Governo, specialmente un Governo che fa di tutto per aiutare “Quella Gente” [1]. In Europa, la Germania ha insistito sulla moneta forte e sull’austerità, in gran parte perché l’opinione pubblica tedesca è vivamente ostile a tutto quello che possa sembrare un salvataggio dell’Europa meridionale.

Tornerò presto a scrivere di cosa sta accadendo adesso in Giappone, e delle nuove lezioni che l’Occidente dovrebbe apprendere. Per adesso, ecco quello che dovreste sapere: il Giappone era solito essere considerato un esempio ammonitore, ma tutti gli altri hanno in modo talmente negativo messo a soqquadro ogni cosa, da farlo invece quasi apparire un modello positivo.

 

 

 

[1] Nel linguaggio dei conservatori americani, “Quella Gente” sono gli assistiti, i poveri, in particolare la gente di colore.

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