Blog di Krugman

Europanico 2 (11 ottobre 2014)

 

Oct 11 10:39 am

Europanic 2.0

Anyone who works in international monetary economics is familiar with Dornbusch’s Law:

The crisis takes a much longer time coming than you think, and then it happens much faster than you would have thought.

And so it is with the latest euro crisis. Not that long ago the austerians who had dictated macro policy in the euro area were strutting around, proclaiming victory on the basis of a modest uptick in growth. Then inflation plunged and the eurozone economy began to sputter — and perhaps more important, everyone looked at the fundamentals again and realized that the situation remains extremely dire.

Now, things looked very dire in the summer of 2012, too, and Mario Draghi pulled Europe back from the brink. And maybe, just maybe, he can do it again. But the task looks much harder.

In 2012, the problem was very high borrowing costs in the periphery — which we now know were driven more by liquidity issues than solvency concerns. That is, the markets basically feared that Spain or Italy might default in the near term because they would literally run out of money — and market fears threatened to turn into a self-fulfilling prophecy. And all it took to defuse that crisis was three words: “Whatever it takes”. Once the prospect of a cash shortage was taken off the table, the panic quickly subsided, and at this point both Spain and Italy have historically low borrowing costs.

What’s happening now, however, is very different. It’s a slower-motion crisis, involving the euro area as a whole, which is sliding into a deflationary trap with the ECB already essentially at the zero lower bound. Draghi can try to get traction through quantitative easing, but it’s by no means clear that this could do the trick even under the best of circumstances — and in reality he faces severe political constraints on what he can do.

What strikes me, also, is the extent of intellectual confusion that remains. Germany still seems determined to regard the whole thing as the wages of fiscal irresponsibility, which not only rules out effective fiscal stimulus but hobbles QE, since it’s anathema for them to consider buying government debt.

And it’s remarkable, too, how the logic of the liquidity trap remains elusive even after six years — six years! — at the zero lower bound. Not the worst example, but I read Reza Moghadam today:

Wages and other labour costs are simply too high, even by the standards of rich countries, let alone emerging markets competitors.

Augh! If it’s external competitiveness you’re worried about, depreciating the euro is what you want, not wage cuts. And cutting wages in a liquidity-trap economy almost surely deepens the slump. How can this not be part of what everyone understands by now?

Europe has surprised many people, myself included, with its resilience. And I do think the Draghi-era ECB has become a major source of strength. But I (and others I talk to) are having an ever harder time seeing how this ends — or rather, how it ends non-catastrophically. You may find a story in which Marine Le Pen takes France out of both the euro and the EU implausible; but what’s your scenario?

 

Europanico 2

Chiunque si occupi di economia monetaria internazionale ha familiarità con la Legge di Dornbusch [1]:

 

“La crisi prende un tempo molto più lungo di quello che si pensi a manifestarsi, e in seguito ciò accade molto più velocemente di quello che si era pensato.”

 

E dunque siamo all’ultima crisi dell’euro. Non quella rispetto alla quale da molto tempo i filoausteri che avevano imposto la politica economica nell’area euro si erano pavoneggiati, proclamando vittoria sulla base di un minimo ritocco alla crescita. Poi l’inflazione è crollata e l’economia dell’eurozona ha cominciato a batter colpi – e forse più importante ancora, tutti hanno nuovamente esaminato i dati fondamentali ed hanno realizzato che la situazione resta estremamente tragica.

Ora, le cose sembravano molto gravi anche nell’estate del 2012, e Mario Draghi tirò fuori l’Europa dall’abisso. Forse, solo forse, lo può fare ancora. Ma il compito appare molto più difficile.

Nel 2012, il problema erano gli alti costi dell’indebitamento nella periferia – che ora sappiamo furono determinati più da problemi di liquidità che da preoccupazioni sulla solvibilità. Vale a dire, i mercati temevano che la Spagna e l’Italia potessero andare in default nel breve termine perché sarebbero rimaste letteralmente senza moneta – e le paure dei mercati minacciarono di trasformarsi in una profezia che si autoavvera. E tutto quello che fu necessario per disinnescare la crisi furono queste parole: “Tutto quello che ci vuole”. Una volta che la prospettiva di una scarsità di contante venne tolta dal tavolo, il panico rapidamente passò e a questo punto sia la Spagna che l’Italia hanno costi di indebitamento ai minimi storici.

Quello che sta avvenendo adesso, tuttavia, è molto diverso. C’è una crisi al rallentatore, che sta scivolando in un trappola deflazionistica con la BCE già sostanzialmente al limite inferiore dello zero con i tassi. Draghi può cercare di ottenere trazione attraverso la ‘facilitazione quantitativa’ [2], ma non è in nessun modo sicuro che questo possa servire allo scopo neppure nelle migliori circostanze – e in realtà egli deve far fronte a gravi condizionamenti politici quanto alle sue possibilità di agire.

Quello che mi stupisce, inoltre, è la misura della confusione intellettuale che resta in campo. La Germania sembra ancora determinata a considerare l’intera faccenda come il compenso per l’irresponsabilità finanziaria, la qualcosa non solo esclude efficaci misure di sostegno della spesa pubblica ma azzoppa la facilitazione quantitativa, dato che per essi considerare di comperare i debiti pubblici è un anatema.

Ed è anche considerevole come la logica della trappola di liquidità resti inafferrabile dopo sei anni – sei anni! – di limite inferiore dello zero nei tassi di interesse. Non è l’esempio peggiore, ma leggo Reza Moghadam oggi:

 

“I salari ed i costi del lavoro sono semplicemente troppo alti, persino per gli standard di paesi ricchi, per non dire dei competitori dei mercati emergenti.”

 

Per la miseria! Se è la competitività verso l’esterno che vi preoccupa, quello che vi serve è svalutare l’euro, non tagliare i salari. Tagliare i salari in una trappola di liquidità quasi certamente approfondisce la crisi. Come è possibile che, a questo punto, questo non faccia parte di quello che capiscono tutti?

L’Europa ha sorpreso molti, incluso il sottoscritto, con la sua flessibilità. Ed io penso per davvero che la BCE dell’era di Draghi sia diventata una fonte importante di forza. Ma io (ed altri con i quali parlo) siamo in una difficoltà sempre più grande nel capire come andrà a finire – o piuttosto, come possa finire in modo non catastrofico. Potete pensare che una storia per la quale Marine Le Pen porti la Francia fuori sia dall’euro che dall’Unione Europea non sia plausibile; ma quale è il vostro scenario?

 

 

[1] Rudiger “Rudi” Dornbusch (Krefeld, 8 giugno 1942Washington, 25 luglio 2002) è stato un economista tedesco. Ha studiato all’Università di Ginevra ed ha conseguito nel 1971 il Ph.D. presso l’Università di Chicago. Robert Mundell, premio Nobel dell’economia nel 1999, scoprì le sue grandi doti durante una visita all’Università di Ginevra e lo portò con sé all’Università di Chicago. Francesco Giavazzi, nel suo obituario apparso sul Corriere della Sera, così racconta l’episodio: “C’era stata una scintilla tra Rudi e Mundell, a Ginevra, nel 1968. Rudi era uno studente un po’ annoiato di Scienze politiche. Mundell, passando per Ginevra, si accorse di questa straordinaria intelligenza e lo portò con sé all’università di Chicago”. Ha insegnato tra le altre nelle Università di Chicago, di Rochester, di Londra (London School of Economics) prima di approdare al Massachusetts Institute of Technology di Boston. Al Mit è stato per 27 anni. La sua impronta alla moderna economia internazionale l’ha fornita oltre che con i suoi numerosi scritti sulle più importanti riviste scientifiche anche seguendo più di 125 tesi di Ph.D. I suoi contributi pubblicati su riviste ed in capitoli di libri ammontano a più di 300. Il suo testo universitario sulla macroeconomia scritto a quattro mani con Stanley Fischer è un manuale per i corsi di base di economia che negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso è stato il più diffuso a livello mondiale. (Wikipedia)

z 216

 

 

 

 

 

 

[2] Vedi a “quantitative easing” sulle note della traduzione.

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