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Gli amanti segreti del deficit, di Paul Krugman (New York Times, 9 ottobre 2014)

 

Secret Deficit Lovers

OCT. 9, 2014 Paul Krugman

What if they balanced the budget and nobody knew or cared?

O.K., the federal budget hasn’t actually been balanced. But the Congressional Budget Office has tallied up the totals for fiscal 2014, which ran through the end of September, and reports that the deficit plunge of the past several years continues. You still hear politicians ranting about “trillion dollar deficits,” but last year’s deficit was less than half-a-trillion dollars — or, a more meaningful number, just 2.8 percent of G.D.P. — and it’s still falling.

So where are the ticker-tape parades? For that matter, where are the front-page news reports? After all, talk about the evils of deficits and the grave fiscal danger facing America dominated Washington for years. Shouldn’t we be making a big deal of the fact that the alleged crisis is over?

Well, we aren’t, and once you understand why, you also understand what fiscal hysteria was really about.

First, ordinary Americans aren’t celebrating the deficit’s decline because they don’t know about it.

That’s not mere speculation on my part. Earlier this year, YouGov polled Americans on fiscal issues, asking among other things whether the deficit had increased or declined since President Obama took office. (In case you’re wondering, the pollsters carefully explained the difference between annual deficits and the level of accumulated debt.) More than half of those polled said it had gone up, while only 19 percent correctly said that it had gone down.

Why doesn’t the public know better? Probably because of the way much of the news media report this and other issues, with bad news played up and good news downplayed if it’s reported at all.

This has been glaringly obvious in the case of health reform, where every problem with the Affordable Care Act has been the subject of headlines, while in right-wing media — and to some extent in mainstream news sources — favorable developments go unremarked. As a result, many people — even, in my experience, liberals — have the impression that the rollout of Obamacare has been a disaster, and have no idea that enrollment is above expectations, costs are lower than expected, and the number of Americans without insurance has dropped sharply. Surely something similar has happened on the budget deficit.

But what about people who pay a lot of attention to the budget, the self-proclaimed deficit hawks? (Some of us prefer to call them deficit scolds.) They’ve spent the past few years telling us that budget shortfalls are the most important issue facing the nation, that terrible things will happen unless we act to stem the flow of red ink. Are they expressing satisfaction over the fading of that threat?

Not a chance. Far from celebrating the deficit’s decline, the usual suspects — fiscal-scold think tanks, inside-the-Beltway pundits — seem annoyed by the news. It’s a “false victory,” they declare. “Trillion dollar deficits are coming back,” they warn. And they’re furious with President Obama for saying that it’s time to get past “mindless austerity” and “manufactured crises.” He’s declaring mission accomplished, they say, when he should be making another push for entitlement reform.

All of which demonstrates a truth that has been apparent for a while, if you have been paying close attention: Deficit scolds actually love big budget deficits, and hate it when those deficits get smaller. Why? Because fears of a fiscal crisis — fears that they feed assiduously — are their best hope of getting what they really want: big cuts in social programs. A few years ago they almost managed to bully the nation into cutting Social Security and/or raising the Medicare eligibility age; they even had hopes of turning Medicare into an underfinanced voucher program. Now that window of opportunity is closing fast.

But isn’t the falling deficit just a short-term blip, with the long-run outlook as dire as ever? Actually, no. Falling deficits right now have a lot to do with a strengthening economy plus some of that “mindless austerity” the president condemned. But there has also been a dramatic slowdown in the growth of health spending — and if that continues, the long-run fiscal outlook is much better than anyone thought possible not long ago. Yes, current projections still show a rising ratio of debt to G.D.P. starting some years from now, and uncomfortable levels of debt a generation from now. But given all the clear and present dangers we face, it’s hard to see why dealing with that distant and uncertain prospect should be any kind of policy priority.

So let’s say goodbye to fiscal hysteria. I know that the deficit scolds are having a hard time letting go; they’re still trying to bring back the days when Bowles and Simpson bestrode the Beltway like colossi. But those days aren’t coming back, and we should be glad.

 

Gli amanti segreti del deficit, di Paul Krugman

New York Times, 9 ottobre 2014

Che dire se il bilancio fosse messo in equilibrio e nessuno lo sapesse o se ne curasse?

E’ vero, il bilancio federale in effetti non è in pareggio. Ma il Congressional Budget Office ha fatto le somme dell’anno fiscale 2014, che è in funzione sino alla fine di settembre, e informa che il calo del deficit continua, ormai da alcuni anni. Sentite ancora uomini politici strepitare sui “deficit da un migliaio di miliardi di dollari”, ma il deficit dell’anno scorso è stato meno di cinquecento miliardi di dollari – ovvero, con un dato più significativo, appena il 2,8 per cento del PIL – e sta ancora calando.

Dove sono, dunque, le sfilze dei nastri sulle telescriventi? Dove sono, su tale argomento, i resoconti sulle prime pagine? Dopo tutto, il discorrere dei mali dei deficit e del grave pericolo per la finanza pubblica dinanzi al quale si trova l’America ha imperversato a Washington per anni. Non dovremmo trattare come una cosa importante il fatto che la pretesa crisi sia superata?

Ebbene, non c’è niente del genere, ed una volta che ne capite il motivo, capite anche che cosa riguardava l’isteria sulla finanza pubblica.

Prima di tutto, gli americani comuni non stanno celebrando il declino del deficit perché non lo conoscono.

Non si tratta, da parte mia, di una semplice congettura. Agli inizi di quest’anno, YouGov [1] ha fatto un sondaggio tra gli americani sui temi della finanza pubblica, chiedendo tra le altre cose se il deficit era aumentato o diminuito dal momento in cui il Presidente Obama era entrato in carica (nel caso ve lo stiate domandando, i sondaggisti avevano spiegato accuratamente la differenza tra i deficit annuali e il livello del debito accumulato). Più della metà degli intervistati ha detto che era salito, mentre solo il 19 per cento aveva risposto correttamente che era sceso.

Perché l’opinione pubblica non è maggiormente al corrente? Probabilmente a causa del modo in cui molti notiziari dei media informano su questo e su altri temi, enfatizzando le cattive notizie e minimizzando quelle buone, ammesso che di queste ne parlino.

Questo è stato palesemente evidente nel caso delle riforma sanitaria, dove qualsiasi problema sulla Legge per una assistenza sostenibile è stato oggetto di titoli in prima pagina, mentre sui media della destra – e in qualche misura sulle principali fonti informative – gli sviluppi favorevoli sono passati inosservati. Come conseguenza, molte persone – persino, secondo la mia esperienza, progressiste – hanno l’impressione che il lancio della riforma di Obama sia stato un disastro, e non hanno idea del fatto che le iscrizioni siano sopra le aspettative, che i costi siano più bassi di quello che ci si aspettava e che il numero degli americani senza assicurazione sia sceso bruscamente. Qualcosa di simile è certamente successo per il deficit di bilancio.

Ma che dire degli individui che pongono molta attenzione al bilancio, dei sedicenti falchi del deficit (alcuni di noi preferiscono chiamarli le Cassandre del deficit). Hanno speso gli anni passati a raccontarci che gli ammanchi di bilancio erano il più importante problema dinanzi al quale si trovava la nazione, che sarebbero accadute cose tremende se non avessimo agito per fermare il flusso dei conti in rosso. Sono oggi soddisfatti che tale minaccia stia svanendo?

Tutt’altro. Lungi dal celebrare il declino del deficit, i soliti noti – i gruppi di ricerca delle Cassandre del deficit, i commentatori della Capitale [2] – sembrano disturbati dalla notizia. “E’ una falsa vittoria”, dichiarano, “il migliaio di miliardi di deficit sta tornando”, mettono in guardia. E sono furiosi con il Presidente Obama per aver detto che è tempo di andare oltre l’ “irragionevole austerità” e le “crisi pretestuose”. Sostengono che stia dichiarando la missione compiuta, nel mentre dovrebbe assumere altre iniziative per la riforma dei programmi di assistenza sociale.

Tutto questo dimostra una verità che da tempo è chiara, se ci avete fatto attenzione in modo accurato: le Cassandre del deficit in effetti amano i bilanci con grandi deficit, e li odiano quando quei deficit diventano più piccoli. Perché? Perché le paure di una crisi della finanza pubblica – paure che alimentano assiduamente – costituiscono la loro massima speranza per ottenere quello che realmente vogliono: grandi tagli nei programmi sociali. Pochi anni fa essi quasi riuscirono a intimidire la nazione sui tagli alla Sicurezza Sociale [3] e/o sull’innalzamento dell’età di ammissione a Medicare; avevano persino la speranza di trasformare Medicare in un programma sottofinanziato di buoni di pagamento [4]. Ora la finestra di quella occasione si sta chiudendo rapidamente.

Ma il calo del deficit non è soltanto un piccolo ritocco di breve momento, mentre la prospettiva a lungo termine resta terribile come sempre? Per la verità, no. In questo momento la caduta dei deficit ha molto a che fare con un rafforzamento dell’economia, in aggiunta a quella “irragionevole austerità” che il Presidente ha condannato. Ma c’è anche stato uno spettacolare rallentamento nella crescita della spesa sanitaria – e se questo continua, la previsione finanziaria a lungo termine è molto migliore di quella che chiunque riteneva possibile sino a poco tempo fa. E’ vero, le previsioni del deficit mostrano una percentuale in crescita del debito sul PIL a partire da alcuni anni da adesso, e livelli di debito sgradevoli per la prossima generazione. Ma considerati tutti gli evidenti pericoli che stiamo affrontando al presente, è difficile capire per quale ragione misurarci con quella prospettiva distante ed incerta dovrebbe essere in qualche modo una priorità della politica.

Possiamo dunque salutare l’isteria della finanza pubblica. So che le Cassandre dei deficit stanno passando un momento difficile da superare; cercherebbero ancora di tornare ai giorni nei quali Bowles e Simpson [5] stavano seduti a cavalcioni sulla Capitale come colossi. Ma quei giorni non ritornano, e dovremo esserne contenti.

 

 

[1] E’ una società di ricerche internazionale, fondata nel 2000 con sede nel Regno Unito.

[2] “Beltway” significa ‘circonvallazione, tangenziale”, ma nel linguaggio politico americano è sinonimo della Capitale, dato che entro la circonvallazione di Washington sono collocate gran parte delle sedi delle istituzioni del potere, per non dire dei media e delle lobby.

[3] Vedi le note sulla traduzione; “social security” è il programma pensionistico federale.

[4] La proposta venne dal Partito Repubblicano. Consisteva nel demolire il programma di assistenza sanitaria pubblica per gli anziani e nel sostituirla con la corresponsione di voucher che le persone anziane avrebbero dovuto gestire per tutte le loro necessità sanitarie. A parte l’incredibile idea di lasciare alle persone singole la scelta di cosa ‘acquistare’ per la propria salute, l’idea sostanzialmente si basava su un meccanismo di riduzione della spesa.

[5] I due Copresidenti, il primo democratico ed il secondo repubblicano, di una commissione bipartisan sulla riduzione dei deficit e del debito pubblico insediata agli inizi della seconda Amministrazione Obama. La commissione concluse i suoi lavori con previsioni molto negative sulle prospettive finanziarie, e con l’immancabile proposta di una riduzione dei programmi federali di assistenza sociale. In realtà, quella Commissione fu fortemente voluta dallo stesso Presidente, in un’epoca nella quale inseguiva l’idea di un ‘grande accordo’ tra i due partiti, sostanzialmente ispirato a tagli alla spesa.

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