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Il monopsonio di Amazon non va bene, di Paul Krugman (New York Times 19 ottobre 2014)

Amazon’s Monopsony Is Not O.K.

OCT. 19, 2014 Paul Krugman

Amazon.com, the giant online retailer, has too much power, and it uses that power in ways that hurt America.

O.K., I know that was kind of abrupt. But I wanted to get the central point out there right away, because discussions of Amazon tend, all too often, to get lost in side issues.

For example, critics of the company sometimes portray it as a monster about to take over the whole economy. Such claims are over the top — Amazon doesn’t dominate overall online sales, let alone retailing as a whole, and probably never will. But so what? Amazon is still playing a troubling role.

Meanwhile, Amazon’s defenders often digress into paeans to online bookselling, which has indeed been a good thing for many Americans, or testimonials to Amazon customer service — and in case you’re wondering, yes, I have Amazon Prime and use it a lot. But again, so what? The desirability of new technology, or even Amazon’s effective use of that technology, is not the issue. After all, John D. Rockefeller and his associates were pretty good at the oil business, too — but Standard Oil nonetheless had too much power, and public action to curb that power was essential.

And the same is true of Amazon today.

If you haven’t been following the recent Amazon news: Back in May a dispute between Amazon and Hachette, a major publishing house, broke out into open commercial warfare. Amazon had been demanding a larger cut of the price of Hachette books it sells; when Hachette balked, Amazon began disrupting the publisher’s sales. Hachette books weren’t banned outright from Amazon’s site, but Amazon began delaying their delivery, raising their prices, and/or steering customers to other publishers.

You might be tempted to say that this is just business — no different from Standard Oil, back in the days before it was broken up, refusing to ship oil via railroads that refused to grant it special discounts. But that is, of course, the point: The robber baron era ended when we as a nation decided that some business tactics were out of line. And the question is whether we want to go back on that decision.

Does Amazon really have robber-baron-type market power? When it comes to books, definitely. Amazon overwhelmingly dominates online book sales, with a market share comparable to Standard Oil’s share of the refined oil market when it was broken up in 1911. Even if you look at total book sales, Amazon is by far the largest player.

So far Amazon has not tried to exploit consumers. In fact, it has systematically kept prices low, to reinforce its dominance. What it has done, instead, is use its market power to put a squeeze on publishers, in effect driving down the prices it pays for books — hence the fight with Hachette. In economics jargon, Amazon is not, at least so far, acting like a monopolist, a dominant seller with the power to raise prices. Instead, it is acting as a monopsonist, a dominant buyer with the power to push prices down.

And on that front its power is really immense — in fact, even greater than the market share numbers indicate. Book sales depend crucially on buzz and word of mouth (which is why authors are often sent on grueling book tours); you buy a book because you’ve heard about it, because other people are reading it, because it’s a topic of conversation, because it’s made the best-seller list. And what Amazon possesses is the power to kill the buzz. It’s definitely possible, with some extra effort, to buy a book you’ve heard about even if Amazon doesn’t carry it — but if Amazon doesn’t carry that book, you’re much less likely to hear about it in the first place.

So can we trust Amazon not to abuse that power? The Hachette dispute has settled that question: no, we can’t.

It’s not just about the money, although that’s important: By putting the squeeze on publishers, Amazon is ultimately hurting authors and readers. But there’s also the question of undue influence.

Specifically, the penalty Amazon is imposing on Hachette books is bad in itself, but there’s also a curious selectivity in the way that penalty has been applied. Last month the Times’s Bits blog documented the case of two Hachette books receiving very different treatment. One is Daniel Schulman’s “Sons of Wichita,” a profile of the Koch brothers; the other is “The Way Forward,” by Paul Ryan, who was Mitt Romney’s running mate and is chairman of the House Budget Committee. Both are listed as eligible for Amazon Prime, and for Mr. Ryan’s book Amazon offers the usual free two-day delivery. What about “Sons of Wichita”? As of Sunday, it “usually ships in 2 to 3 weeks.” Uh-huh.

Which brings us back to the key question. Don’t tell me that Amazon is giving consumers what they want, or that it has earned its position. What matters is whether it has too much power, and is abusing that power. Well, it does, and it is.

 

Il monopsonio [1] di Amazon non va bene, di Paul Krugman

New York Times 19 ottobre 2014

Amazon.com, il gigante delle vendite on line, ha troppo potere e usa quel potere in modi che recano danno all’America.

E’ vero, so che come partenza è un po’ brusca. Ma la mia intenzione è prendere subito di petto il punto centrale, perché le discussioni su Amazon tendono, anche troppo spesso, a perdersi su tematiche secondarie.

Ad esempio, i critici della società a volte la dipingono come un mostro prossimo a impossessarsi dell’intera economia. Tesi del genere sono sopra le righe – Amazon non domina il complesso delle vendite on line, per non dire le vendite in generale, e probabilmente non lo farà mai. Ma che c’entra? Amazon sta, purtuttavia, assumendo una funzione problematica.

Nello stesso tempo, i sostenitori di Amazon frequentemente divagano sugli elogi della vendita dei libri on line, che in effetti è stata una cosa positiva per molti americani, oppure pubblicizzano i servizi ai clienti di Amazon – e, nel caso ve lo stiate chiedendo, ammetto di avere Amazon Prime e di usarlo molto. Ma, ancora: cosa c’entra? Il tema non è la desiderabilità di una nuova tecnologia, e neanche l’uso efficace da parte di Amazon di quella tecnologia. Dopo tutto, anche John D. Rockefeller ed i suoi soci erano abbastanza bravi nell’affare del petrolio – nondimeno la Standard Oil [2] ha avuto un potere eccessivo, e l’iniziativa pubblica per mettere un freno a quel potere fu fondamentale.

E la stessa cosa è vera ai nostri giorni per Amazon.

Se non aveste seguito le ultime novità di Amazon: il maggio scorso c’è stato un contrasto tra Amazon ed Hachette, una importante casa editrice, che è deflagrato in una aperta guerra commerciale. Amazon stava chiedendo un taglio maggiore al prezzo dei libri di Hachette che essa mette in vendita; allorché Hachette si è tirata indietro, Amazon ha cominciato ad interrompere le vendite della casa editrice. I libri di Hachette non sono stati apertamente messi al bando dal sito di Amazon, ma Amazon ha cominciato a ritardare le loro consegne, ad alzare i prezzi e/o ad indirizzare i clienti verso altre case editrici.

Potreste essere tentati di dire che questi sono solo affari – non diversamente da Standard Oil, nel passato, i giorni prima di essere smembrata, con il rifiuto di trasportare il petrolio tramite ferrovie che rifiutavano di accordarle sconti particolari. Ma il punto è proprio questo: le prepotenze dei ‘padroni del vapore’ [3] furono messe fuori gioco quando decidemmo come nazione che alcune tattiche delle imprese erano fuori dalle regole. E la domanda è se vogliamo ritornare su quella decisione.

Amazon ha realmente un potere sul mercato del tipo di quello dei ‘padroni del vapore’? Quando si tratta di libri, certamente. Amazon domina completamente le vendite di libri on line, con una quota di mercato paragonabile alla quota del mercato del petrolio raffinato di Standard Oil, al momento in cui essa fu smembrata nel 1911. Anche se guardate alle vendite totali di libri, Amazon è di gran lunga il protagonista più rilevante.

Sino ad ora Amazon non ha cercato di sfruttare i consumatori. Di fatto, per rafforzare il suo dominio, ha tenuto sistematicamente bassi i prezzi. Quello che ha fatto, piuttosto, è stato utilizzare il suo potere sul mercato per spremere le case editrici, abbassando sostanzialmente i prezzi che paga sui libri – da qua la guerra con Hachette. In gergo economico, Amazon non sta, almeno sinora, agendo come un monopolista, un venditore che domina tramite il potere di innalzare i prezzi. Sta invece agendo come un monopsonista, un acquirente che domina tramite il potere di abbassare i prezzi.

E su quel fronte, il suo potere è realmente immenso – di fatto persino più grande di quanto indichino i dati sulla sua quota di mercato. Le vendite dei libri dipendono fondamentalmente dal clamore e dal passaparola (che è la ragione per la quale di solito gli autori dei libri vengono spediti in estenuanti tour); si compra un libro perché se ne è sentito parlare, perché altre persone lo stanno leggendo, perché è un argomento di conversazione, perché è nella lista dei best-seller. E quello che Amazon possiede è il potere di annichilire quel clamore. Di certo è possibile, con un certo impegno aggiuntivo, acquistare un libro del quale si è sentito parlare anche se Amazon non lo distribuisce – ma se Amazon non lo distribuisce, è anzitutto molto meno probabile sentirne parlare.

Possiamo dunque confidare che Amazon non abusi di quel potere? La diatriba con Hachette ha risolto quella questione: no, non possiamo.

Non si tratta soltanto di soldi, sebbene siano importanti: mettendo sotto pressione le case editrici, Amazon fondamentalmente fa un danno agli autori ed ai lettori. Ma c’è anche la questione della ‘violenza morale’ [4].

In particolare, la penalizzazione che Amazon sta imponendo ad Hachette è negativa in se stessa, ma c’è anche una curiosa selettività nei modi nei quali quella penalizzazione viene applicata. Il mese scorso, il blog Bits del Times ha documentato il caso di due libri di Hachette che hanno ricevuto un trattamento molto diverso. Uno è “I figli di Wichita” di Daniel Schulman, un profilo dei Fratelli Koch; l’altro è “La soluzione” di Paul Ryan, che era il candidato alla vicepresidenza con Mitt Romney ed è Presidente della Commissione Bilancio della Camera. Sono entrambi rappresentati nelle liste di Amazon Prime, e per il libro di Paul Ryan Amazon offre la consueta consegna gratuita in due giorni. Cosa accade per “I figli di Wichita”? A partire da domenica, esso “di norma viene spedito in due, tre settimane”. Ma guarda!

La qualcosa mi riporta alla questione principale. Non raccontatemi che Amazon sta dando ai consumatori quello che vogliono, oppure che si è guadagnata la sua posizione. Ciò che conta è se ha troppo potere e se sta abusando di quel potere. Ebbene: ne ha troppo e ne sta abusando.

 

 

[1] Il termine monopsonio designa una particolare forma di mercato caratterizzata dalla presenza di un solo acquirente a fronte di una pluralità di venditori. Il vocabolo trae le proprie origini dal greco μονος monos (“solo”) e ὀψωνία opsonia (“acquisto”). Sebbene la pratica di monopsonista sia raramente riscontrabile nella sua forma pura, non è raro osservarla in talune situazioni localizzate. In alcune aree, una grande azienda industriale può creare un distretto di piccole aziende che la forniscono di componenti, ma che hanno per definizione un unico e solo acquirente. In tale forma si ricreano le condizioni di monopsonio. Queste situazioni si verificano particolarmente nelle regioni meno industrializzate o in aree depresse, dove avvengano interventi di sostegno allo sviluppo.

Il monopsonista origina una situazione speculare a quella del monopolista. In primis può decidere se e in quali quantità acquistare il prodotto o servizio di cui è l’unico acquirente. Una volta fissata la quantità, fissa il prezzo in modo da massimizzare la propria funzione di profitto, originando una materializzazione di prezzi diversa da quella che si verificherebbe in condizioni di concorrenza perfetta. (Wikipedia)

 

[2] Per un storia della Standard Oil (e per una maggiore comprensione del riferimento, nell’articolo, al suo smembramento nel 1911), si legga questa ricostruzione da Wikipedia:

“La Standard Oil nacque come una società tra il noto industriale John D. Rockefeller, suo fratello William Rockefeller, William Flagler, il chimico Samuel Andrews, e Stephen V. Arkness. Usando strategie efficaci, ma anche assai criticate, la compagnia assorbì e distrusse molti dei suoi concorrenti prima a Cleveland, nell’Ohio; poi nel resto del Nordest degli Stati Uniti facendo così fallire molti suoi concorrenti più piccoli. Nei primi anni, John Rockefeller guidava questo gruppo, infatti era lui la figura di spicco della nascente industria petrolifera americana. Aveva delegato rapidamente poteri decisionali, finanziari e industriali a vari comitati, benché possedesse il maggior numero di azioni della compagnia. L’autorità era accentrata nell’ufficio centrale di Cleveland, tuttavia in tale ufficio le decisioni erano prese in modo cooperativo. In risposta alle leggi che miravano a limitare le dimensioni delle compagnie Rockefeller e i suoi soci svilupparono un approccio innovativo alla gestione della loro società che riuscirono a far crescere rapidamente. Nel 1882 infatti, tutte le loro varie compagnie, sparse tra una dozzina di stati americani, si trovavano al di sotto di un solo trust. Il successo di tale organizzazione determinò in seguito il ricorso a tale forma societaria di tutte le grosse compagnie americane. Allo stesso tempo negli Stati Uniti, proprio per contrastare questo fenomeno, nacquero leggi federali e dei statali. Lo stato dell’Ohio con successo citò la Standard Oil imponendo la dissoluzione del trust nel 1892. Tuttavia però la compagnia eluse tale sentenza semplicemente separando la gestione dal resto della società le sole attività nell’Ohio ma conservandone di fatto il controllo. Alla fine lo stato del New Jersey modificò la sua legge sul controllo societario per consentire ad una compagnia di possedere azioni in società negli altri stati degli Stati Uniti. Nel 1899 la Standard Oil, i cui uffici erano al numero 26 di Broadway a New York, ha mutato la sua ragione sociale diventando una holding – una corporation chiamata Standard Oil Company of New Jersey (SONJ), che possedeva azioni in quarantuno società, che controllava altre compagnie che a loro volta controllavano altre società, formando una conglomerata che era percepita dall’opinione pubblica come estremamente pervasiva della società americana, controllata da un gruppo ristretto di manager, che era completamente libera da controlli esterni. Tale potere finì per destare l’attenzione della giustizia americana e il Dipartimento Americano di Giustizia sottopose la holding alla legislazione federale antitrust, lo Sherman Act del 1890. Così nel 1911 la corte suprema confermò il giudizio del primo grado d’appello e decretò lo smembramento della holding in trentaquattro distinte società ciascuna con un proprio distinto management. Tra le più importanti si ricordano: Exxon, Mobil, Chevron, Sohio, Amoco, Conoco, Arco e Sun Il presidente e fondatore della Standard Oil, John D. Rockefeller da allora si ritirò in silenzio da ogni carica della compagnia pur possedendo ancora azioni della compagnia. Il valore di tali azioni dopo la divisione della Standard Oil aumentò notevolmente e questo fece di Rockefeller l’uomo più ricco del mondo.”

 

[3] Letteralmente, “robber baron” significa ‘barone brigante’. Pare che il termine abbia origine dalle pratiche medioevali degli antichi principi tedeschi, che esercitavano, con le buone o con le cattive, dei diritti di prelievo su chiunque attraversasse i loro territori, o i tratti di corsi d’acqua che li attraversavano. Noi diremmo che erano dei Ghini di Tacco. L’espressione, però, fu rinovellata dagli americani, con riferimento alle prepotenze dei capitalisti ottocenteschi. Per questo “padroni del vapore” mi pare una traduzione più adeguata.

z 240

 

 

 

 

 

 

 

 

[4] “Undue influence” (letteralmente ‘influenza non dovuta/impropria’), in giurisprudenza, è un concetto che riguarda tutti i casi nei quali una persona prende vantaggio nei confronti di un’altra persona da una posizione di potere. Può accadere tra un burocrate ed un cittadino, tra un genitore ed un figlio, tra un sacerdote ed un credente etc. Credo che nel linguaggio giuridico italiano si possa definire “violenza morale”.

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