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Note sul Giappone (dal blog di Krugman, 28 ottobre 2014)

 

Oct 28 3:07 pm

Notes on Japan

I’m going to Japan soon, and have been putting some numbers and thoughts together, both about Abenomics and the longer-term lessons from the Japanese experience. Here are some notes on the way.

First, can we stop writing articles wondering whether Europe or the United States might have a Japanese-type lost decade? At this point the question should be whether there is any realistic possibility that we won’t. Both the US and Europe are approaching the 7th anniversary of the start of their respective Great Recessions; the US is far from fully recovered, and Europe not recovered at all. Japan is no longer a cautionary tale; in fact, in terms of human welfare it’s closer to a role model, having avoided much of the suffering the West has imposed on its citizens.

Part of the impression that Japan has been a bigger disaster comes, of course, from Japanese demography: if you look at total GDP, or even GDP per capita, you miss the fact that Japan’s working-age population has been declining since 1997. I’ve tried to update the numbers on real GDP per working-age adult, defined as 15-64; I start in 1993 because of annoying data problems, but it would look similar if I took it back a few more years. Here’s a comparison of the euro area, the US, and Japan:

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So even in growth terms Japan doesn’t look much worse than the US at this point, and is actually slightly ahead of the euro area. That doesn’t mean Japan did OK; it just means that we’ve done terribly.

What about Abenomics? The decision to go ahead with the consumption tax increase — which some of us pleaded with them not to do — dealt a serious blow to the plan’s momentum. There has been some recovery in growth:

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But losing momentum is a really bad thing here, since the whole point is to break deflationary expectations and get self-sustaining expectations of moderate inflation instead. For what it’s worth, the indicator of expected inflation I suggested, using US TIPS, interest differentials, and reversion to long-run purchasing power parity, is holding up:

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But I still worry that Japan may fall into the timidity trap.

The whole business with the consumption tax drives home a point a number of people have made: the conventional view that short-term stimulus must be coupled with action to produce medium-term fiscal stability sounds prudent, but has proved disastrous in practice. In the US context it means that any effort to help the economy now gets tied up in the underlying battle over the future of the welfare state, which means that nothing happens. But even where that isn’t true, talking about fiscal sustainability when deflationary pressure is the clear and present danger distracts policy from immediate needs, and can all too easily lead to counterproductive moves — as just happened in Japan. When I see, say, the IMF inserting into its latest Japan survey (pdf) a section titled “Maintaining focus on fiscal sustainability” my heart sinks (and so, maybe, does Abenomics); it’s hard to argue against sustainability, but under current conditions it means taking your eye off the ball, and Japan really, really can’t afford to do that.

More notes as my cramming for the coming quiz continues.

 

Note sul Giappone

Sto per andare in Giappone ed ho messo assieme alcuni dati e pensieri, sia sulla Abenomics che sulle lezioni a più lungo termine della esperienza giapponese. Ecco alcune note strada facendo.

In primo luogo, possiamo smetterla di scrivere articoli nei quali ci si chiede se l’Europa o gli Stati Uniti possano fare l’esperienza di un decennio perduto del tipo di quello del Giappone? A questo punto la domanda dovrebbe essere se c’è qualche seria possibilità che non accada. Sia gli Stati Uniti che l’Europa stanno raggiungendo il settimo anniversario dall’inizio della loro Grande Recessione; gli Stati Uniti sono lungi dall’essersi ripresi e l’Europa non si è ripresa affatto. Il Giappone non è più un racconto utile a mettere in guardia: di fatto, in termini di benessere umano è più vicino ad essere un modello guida, avendo evitato gran parte delle sofferenze che l’Occidente ha imposto ai suoi cittadini.

Naturalmente, in parte l’impressione che il Giappone sia stato un grande disastro viene dalla demografia di quel paese: se guardate al PIL totale, o anche al PIL procapite, non vi accorgete del fatto che la popolazione in età lavorativa del Giappone è calata a partire dal 1997. Ho cercato di aggiornare i dati sul PIL reale per le persone adulte in età di lavoro, considerate nella fascia tra i 15 ed i 54 anni; sono partito dal 1993 a causa di fastidiosi problemi statistici, ma avrei osservato lo stesso se fossi tornato indietro di alcuni anni. Ecco il confronto tra l’area euro, gli Stati Uniti ed il Giappone:

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Dunque, a questo punto, persino in termini di crescita il Giappone non sembra molto peggiore degli Stati Uniti, ed è effettivamente leggermente in avanti rispetto all’area euro. Non significa che il Giappone sia andato bene; significa soltanto che non è andato in modo terribile.

Che dire della Abenomics? La decisione di procedere con l’aumento delle tasse sui consumi – che alcuni di noi si erano raccomandati di non mettere in atto [1] – ha dato un colpo serio allo slancio del programma. C’è stata una qualche ripresa nella crescita:

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Ma in questo caso, perdere lo slancio è davvero una cosa negativa, dal momento che tutta la faccenda consiste nell’interrompere le aspettative deflazionistiche ed ottenere al loro posto aspettative di moderata inflazione che si autoalimentino. Per quello che conta, l’indicatore della inflazione attesa che ho indicato, utilizzando i Buoni del Tesoro protetti dall’inflazione degli Stati Uniti, i differenziali degli interessi, ed un ritorno alla parità del potere di acquisto nel lungo periodo, sta resistendo:

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Ma io sono ancora preoccupato che il Giappone possa cadere in quella che ho definito come ‘trappola della timidezza’ [2].

Tutta la questione della tassa sui consumi fa ben capire un aspetto che un certo numero di persone avevano avanzato: il punto di vista convenzionale secondo il quale misure di sostegno a breve termine debbano essere accompagnate da iniziative per ottenere nel medio periodo una stabilità della finanza pubblica sembra prudente, ma in pratica si è rivelato disastroso. Nel contesto degli Stati Uniti ciò significa che ogni sforzo per sostenere l’economia adesso viene collegato con la sottostante battaglia sul futuro dello stato assistenziale, il che comporta che non accade niente. Ma se anche così non fosse, parlare di sostenibilità della finanza pubblica nel mentre la pressione deflazionistica è il chiaro ed attuale pericolo, distrae la politica dalle necessità del momento, e può portare anche troppo facilmente a mosse controproducenti – come è accaduto nel Giappone. Quando io vedo, ad esempio, il FMI inserire nel suo ultimo sondaggio sul Giappone (disponibile in pdf) una sezione intitolata “Mantenere la concentrazione sulla sostenibilità della finanza pubblica”, provo un senso di scoramento (e forse lo stesso accade alla politica economica di Abe); è difficile esprimersi contro la stabilità, ma nelle attuali condizioni ciò comporta perdere la concentrazione, ed è proprio quello che il Giappone non può permettersi.

Seguiranno altre note a mano a mano che la mia sgobbata per il prossimo esame proseguirà.

 

 

[1] Il riferimento è ad un suo post del 9 settembre 2013, qua tradotto, dal titolo “Fa che il Giappone sia casto e continente, ma non ancora”.

[2] Vedi il post, qua tradotto, del 21 marzo 2014 “Analisi timida (per esperti)”.

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