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Quello che vuole il mercato, di Paul Krugman (New York Times 16 ottobre 2014)

 

What Markets Will

OCT. 16, 2014 Paul Krugman

In the Middle Ages, the call for a crusade to conquer the Holy Land was met with cries of “Deus vult!” — God wills it. But did the crusaders really know what God wanted? Given how the venture turned out, apparently not.

Now, that was a long time ago, and, in the areas I write about, invocations of God’s presumed will are rare. You do, however, see a lot of policy crusades, and these are often justified with implicit cries of “Mercatus vult!” — the market wills it. But do those invoking the will of the market really know what markets want? Again, apparently not.

And the financial turmoil of the past few days has widened the gap between what we’re told must be done to appease the market and what markets actually seem to be asking for.

To get more specific: We have been told repeatedly that governments must cease and desist from their efforts to mitigate economic pain, lest their excessive compassion be punished by the financial gods, but the markets themselves have never seemed to agree that these human sacrifices are actually necessary. Investors were supposed to be terrified by budget deficits, fearing that we were about to turn into Greece — Greece I tell you — but year after year, interest rates stayed low. The Fed’s efforts to boost the economy were supposed to backfire as markets reacted to the prospect of runaway inflation, but market measures of expected inflation similarly stayed low.

How have policy crusaders responded to the failure of their dire predictions? Mainly with denial, occasionally with exasperation. For example, Alan Greenspan once declared the failure of interest rates and inflation to spike “regrettable, because it is fostering a false sense of complacency.” But that was more than four years ago; maybe the sense of complacency wasn’t all that false?

All in all, it’s hard to escape the conclusion that people like Mr. Greenspan knew as much about what the market wanted as medieval crusaders knew about God’s plan — that is, nothing.

In fact, if you look closely, the real message from the market seems to be that we should be running bigger deficits and printing more money. And that message has gotten a lot stronger in the past few days.

I’m not mainly talking about plunging stock prices, although that’s surely telling us something (but as the late Paul Samuelson famously pointed out, stocks are not a reliable indicator of economic prospects: “Wall Street indexes predicted nine out of the last five recessions!”) Instead, I’m talking about interest rates, which are flashing warnings, not of fiscal crisis and inflation, but of depression and deflation.

Most obviously, interest rates on long-term U.S. government debt — the rates that the usual suspects keep telling us will shoot up any day now unless we slash spending — have fallen sharply. This tells us that markets aren’t worried about default, but that they are worried about persistent economic weakness, which will keep the Fed from raising the short-term interest rates it controls.

Interest rates on much European debt are even lower, because Europe’s economic outlook is so bad, and we’re not just talking about Germany. France is currently in conflict with the European Commission, which says that the projected French deficit is too big, but investors — who are still buying French bonds despite a 10-year interest rate of only 1.26 percent — are evidently much more worried about European stagnation than French default.

It’s also instructive to look at interest rates on “inflation-protected” or “index” bonds, which are telling us two things. First, markets are practically begging governments to borrow and spend, say on infrastructure; interest rates on index bonds are barely above zero, so that financing for roads, bridges, and sewers would be almost free. Second, the difference between interest rates on index and ordinary bonds tells us how much inflation the market expects, and it turns out that expected inflation has fallen sharply over the past few months, so that it’s now far below the Fed’s target. In effect, the market is saying that the Fed isn’t printing nearly enough money.

One question you might ask is why the market’s pro-spending, print-more-money message has suddenly gotten louder. My guess is that it’s mainly driven by events in Europe, where the slide into deflation and the growing public backlash against austerity have reached a tipping point. And it’s very reasonable to worry that Europe’s problems may spill over to the rest of us.

In any case, the next time you hear some talking head opining on what we must do to satisfy the markets, ask yourself, “How does he know?” For the truth is that when people talk about what markets demand, what they’re really doing is trying to bully us into doing what they themselves want.

 

Quello che vuole il mercato, di Paul Krugman

New York Times 16 ottobre 2014

Nel Medio Evo, la chiamata alla crociata per conquistare la Terra Santa veniva accolta con grida di “Deus Vult!” – Dio lo vuole. Ma i crociati sapevano veramente cosa Dio volesse? Stando agli esiti dell’avventura, si direbbe che non lo sapessero.

Ora, questo avveniva molto tempo fa e, nei territori dei quali sto scrivendo, le invocazioni sulla presunta volontà di Dio sono rare. Tuttavia, si vedono in giro una quantità di crociati della politica, e spesso trovano giustificazione con grida sottintese di “Mercatus vult!” – il mercato lo vuole. Ma quelli che invocano il mercato sanno per davvero cosa esso voglia? Anche in questo caso, sembra di no.

E il turbine finanziario dei giorni scorsi ha allargato la distanza tra quello che ci viene raccontato di dover fare per placare il mercato e quello che i mercati effettivamente sembrano chiedere.

Per andare allo specifico: ci viene detto ripetutamente che il governi debbono interrompere e desistere dai loro sforzi per mitigare le sofferenze dell’economia, affinché la loro esagerata pietà non sia punita dalle divinità della finanza, ma gli stessi mercati non è mai sembrato che ritenessero che questi sacrifici umani siano per davvero necessari. Gli investitori si supponeva fossero terrorizzati dai deficit di bilancio, per il timore di finire come la Grecia – nientedimeno che la Grecia – ma, anno dopo anno, i tassi di interesse sono rimasti bassi. Si supponeva che gli sforzi della Fed per incoraggiare l’economia si sarebbero ritorti contro allorché i mercati avessero reagito alla prospettiva di una inflazione galoppante, ma anche le stime di mercato sulla inflazione attesa sono rimaste basse.

In che modo i crociati hanno dato risposte per il fallimento delle loro previsioni terribili? Principalmente negando, talora con dispetto. Ad esempio, una volta Alan Greenspan definì la mancata impennata dei tassi di interesse e dell’inflazione come “incresciosa, perché sta incoraggiando una falsa sensazione di compiacimento”. Ma ciò accadeva più di quattro anni orsono; forse il senso di compiacimento non era così infondato?

Come che sia, è difficile sfuggire alla conclusione che persone come Alan Greenspan conoscessero le volontà del mercato altrettanto di quello che i crociati del Medioevo sapevano della volontà di Dio – ovvero, niente.

Di fatto, se si guarda con attenzione, il vero messaggio del mercato sembra essere che si dovrebbero realizzare deficit maggiori e stampare più moneta. E quel messaggio è arrivato con molta maggiore forza nei giorni scorsi.

Non sto parlando principalmente della caduta dei prezzi delle azioni, sebbene essa ci sta sicuramente dicendo qualcosa (ma, come mise benissimo in evidenza l’ultimo Paul Samuelson, le azioni non sono un indicatore affidabile delle prospettive dell’economia: “Gli indici Wall Street avevano previsto nove delle ultime cinque recessioni!” Piuttosto sto parlando dei tassi di interesse, che stanno mandando segnali di messa in guardia, non per la crisi della finanza pubblica e l’inflazione, ma per la depressione e la deflazione.

Nel modo più evidente, i tassi di interesse a lungo termine sul debito pubblico statunitense – i tassi che i soliti noti continuano a raccontarci che un giorno o l’altro si impenneranno se non si abbatte la spesa – sono caduti bruscamente. Questo ci dice che i mercati non sono preoccupati per il default, ma che sono preoccupati per la persistente debolezza dell’economia, la qual cosa impedirà alla Fed di alzare i tassi di interesse a breve termine che sono sotto il suo controllo.

I tassi di interesse su gran parte del debito europeo sono persino più bassi, perché le previsioni economiche per l’Europa sono sino a tal punto negative, e non stiamo solo parlando della Germania. La Francia è attualmente in conflitto con la Commissione Europea, che sostiene che il previsto deficit francese è troppo alto, ma gli investitori – che stanno ancora acquistando bond francesi, nonostante un tasso di interesse sui decennali all’1,26 per cento – sono evidentemente molto più preoccupati della stagnazione europea che del default francese.

E’ anche interessante osservare i tassi di interesse sui bond “protetti dall’inflazione” (gli ‘index’ bond), che ci stanno dicendo due cose. La prima, che i mercati praticamente stanno scongiurando i governi di indebitarsi e spendere, ad esempio sulle infrastrutture; i tassi di interesse sugli ‘index bond’ sono appena sopra lo zero, cosicché il finanziamento di strade, ponti e fognature sarebbe quasi gratuito. In secondo luogo la differenza tra i tassi di interesse sugli ‘index’ e quelli sui bond ordinari ci dice quanta inflazione il mercato si aspetti, e si scopre che l’inflazione attesa è caduta bruscamente nel corso dei mesi passati, cosicché adesso è assai al di sotto dell’obbiettivo della Fed. In sostanza, il mercato ci sta dicendo che la Fed non sta stampando neanche lontanamente moneta sufficiente.

Una domanda che vi dovreste porre è come mai il segnale del mercato favorevole alla spesa pubblica e alla creazione di maggiore moneta sia all’improvviso diventato più forte, La mia risposta è che esso è principalmente guidato dagli eventi europei, dove lo slittamento nella deflazione e la crescente reazione dell’opinione pubblica contro l’austerità ha raggiunto un punto critico. Ed è molto ragionevole nutrire il timore che i problemi dell’Europa abbiano ricadute su tutti noi.

In ogni caso, la prossima volta che sentirete qualche conduttore televisivo esprimersi su quello che dovremmo fare per soddisfare i mercati, chiedetevi “Lui come lo sa?” Perché la verità è che quando le persone parlano di cosa chiedono i mercati, quello che realmente stanno facendo è cercare di intimidirci a fare quello che vogliono loro.

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