NOV. 20, 2014
The Tenement Museum, on the Lower East Side, is one of my favorite places in New York City. It’s a Civil War-vintage building that housed successive waves of immigrants, and a number of apartments have been restored to look exactly as they did in various eras, from the 1860s to the 1930s (when the building was declared unfit for occupancy). When you tour the museum, you come away with a powerful sense of immigration as a human experience, which — despite plenty of bad times, despite a cultural climate in which Jews, Italians, and others were often portrayed as racially inferior — was overwhelmingly positive.
I get especially choked up about the Baldizzi apartment from 1934. When I described its layout to my parents, both declared, “I grew up in that apartment!” And today’s immigrants are the same, in aspiration and behavior, as my grandparents were — people seeking a better life, and by and large finding it.
That’s why I enthusiastically support President Obama’s new immigration initiative. It’s a simple matter of human decency.
That’s not to say that I, or most progressives, support open borders. You can see one important reason right there in the Baldizzi apartment: the photo of F.D.R. on the wall. The New Deal made America a vastly better place, yet it probably wouldn’t have been possible without the immigration restrictions that went into effect after World War I. For one thing, absent those restrictions, there would have been many claims, justified or not, about people flocking to America to take advantage of welfare programs.
Furthermore, open immigration meant that many of America’s worst-paid workers weren’t citizens and couldn’t vote. Once immigration restrictions were in place, and immigrants already here gained citizenship, this disenfranchised class at the bottom shrank rapidly, helping to create the political conditions for a stronger social safety net. And, yes, low-skill immigration probably has some depressing effect on wages, although the available evidence suggests that the effect is quite small.
So there are some difficult issues in immigration policy. I like to say that if you don’t feel conflicted about these issues, there’s something wrong with you. But one thing you shouldn’t feel conflicted about is the proposition that we should offer decent treatment to children who are already here — and are already Americans in every sense that matters. And that’s what Mr. Obama’s initiative is about.
Who are we talking about? First, there are more than a million young people in this country who came — yes, illegally — as children and have lived here ever since. Second, there are large numbers of children who were born here — which makes them U.S. citizens, with all the same rights you and I have — but whose parents came illegally, and are legally subject to being deported.
What should we do about these people and their families? There are some forces in our political life who want us to bring out the iron fist — to seek out and deport young residents who weren’t born here but have never known another home, to seek out and deport the undocumented parents of American children and force those children either to go into exile or to fend for themselves.
But that isn’t going to happen, partly because, as a nation, we aren’t really that cruel; partly because that kind of crackdown would require something approaching police-state rule; and, largely, I’m sorry to say, because Congress doesn’t want to spend the money that such a plan would require. In practice, undocumented children and the undocumented parents of legal children aren’t going anywhere.
The real question, then, is how we’re going to treat them. Will we continue our current regime of malign neglect, denying them ordinary rights and leaving them under the constant threat of deportation? Or will we treat them as the fellow Americans they already are?
The truth is that sheer self-interest says that we should do the humane thing. Today’s immigrant children are tomorrow’s workers, taxpayers and neighbors. Condemning them to life in the shadows means that they will have less stable home lives than they should, be denied the opportunity to acquire skills and education, contribute less to the economy, and play a less positive role in society. Failure to act is just self-destructive.
But speaking for myself, I don’t care that much about the money, or even the social aspects. What really matters, or should matter, is the humanity. My parents were able to have the lives they did because America, despite all the prejudices of the time, was willing to treat them as people. Offering the same kind of treatment to today’s immigrant children is the practical course of action, but it’s also, crucially, the right thing to do. So let’s applaud the president for doing it.
“Fate che i bambini vengano a me” [1], di Paul Krugman
New York Times 20 novembre 2014
Il Tenement Museum, sul Lower East Side [2], è uno dei miei posti preferiti a New York City. E’ un edificio dell’epoca della Guerra Civile che ha ospitato ondate successive di emigranti, e un certo numero di appartamenti sono stati restaurati nell’aspetto che avevano esattamente nelle varie epoche, dagli anni ’60 dell’ottocento agli anni ’30 del novecento (quando l’edificio venne dichiarato inidoneo ad essere abitato). Quando visitate il museo, ne uscite con la sensazione vivida della immigrazione come una esperienza umana che – nonostante un quantità di avversie, nonostante un clima culturale nel quale ebrei, italiani ed altri ancora erano spesso considerati come razze inferiori – fu fondamentalmente positivo.
Mi viene in particolare un nodo alla gola dinanzi all’Appartamento Baldizzi, del 1934. Quando descrissi ai mie genitori la disposizione di quell’appartamento, dissero entrambi: “Ci sono cresciuto in quell’appartamento!” E gli emigranti di oggi sono gli stessi che erano i miei nonni, nelle aspirazioni e nel comportamento – gente alla ricerca di una vita migliore, che in generale la trova.
Questa è la ragione per la quale sostengo la nuova iniziativa sull’immigrazione del Presidente Obama. E’ solo una questione di umanità.
Il che non significa che io, o la maggioranza dei progressisti, sosteniamo l’apertura delle frontiere. Vi potete rendere conto di una importante ragione di ciò proprio nell’appartamento Baldizzi: la foto appesa alla parete di Franklin Delano Roosevelt. Il New Deal fece dell’America un post enormemente migliore, tuttavia ciò probabilmente non sarebbe stato possibile senza le restrizioni sull’immigrazione che furono messe in atto dopo la Prima Guerra Mondiale. Da una parte, in assenza di queste restrizioni, ci sarebbero state molte proteste, giustificate o meno, per la gente che si riversava in America per approfittare dei programmi assistenziali.
Inoltre, le porte aperte all’immigrazione significarono che molti dei lavoratori peggio pagati non erano cittadini e non potevano votare. Una volta che vennero messe in atto le restrizioni sull’immigrazione, e che gli immigranti ebbero il diritto di cittadinanza, questa classe senza diritti civili che stava in fondo alla scala sociale si ridusse rapidamente, contribuendo a creare le condizioni per un sistema più forte di sicurezza sociale. E, per quanto sia vero che l’immigrazione di persone prive di professionalità abbia un effetto deprimente sui salari, tuttavia l’esperienza suggerisce che tale effetto è abbastanza modesto.
Dunque, ci sono alcune questioni difficili nella politica sull’immigrazione. Mi viene da dire che se non vi sentite in conflitto su queste tematiche, avete qualcosa di sbagliato dentro. Ma una cosa sulla quale non ci si dovrebbe sentire in conflitto è l’idea che dovremmo offrire un trattamento decente ai bambini che sono già qua – e sono già americani in tutti i sensi che contano. E l’iniziativa di Obama riguarda questo.
Di chi stiamo parlando? In primo luogo, c’è più di un milione di giovani in questo paese che sono venuti – sì, illegalmente – quando erano bambini e hanno vissuto qua sino a questo punto. In secondo luogo, c’è un gran numero di bambini che sono nati qua – il che li rende cittadini degli Stati Uniti, con tutti gli stessi diritti che io e voi abbiamo – ma i cui genitori vennero illegalmente, e per la legge sono soggetti ad essere estradati.
Cosa dovremmo fare di queste persone e delle loro famiglie? Ci sono alcune forze nel nostro ambiente politico che vogliono che tiriamo fuori il pugno di ferro – cercare ed estradare i giovani residenti che non son nati qua ma non hanno mai conosciuto un altro alloggio, cercare ed estradare i genitori privi di documenti di bambini americani e costringere quei bambini ad andare in esilio o a cavarsela da soli.
Ma non succederà, in parte perché, come nazione, non siamo poi così crudeli; in parte perché un giro di vite di quel genere richiederebbe qualcosa che si avvicina al governo di uno stato di polizia; e in gran parte, è spiacevole dirlo, perché il Congresso non vorrà spendere il denaro che un piano del genere richiederebbe. In pratica, i bambini senza documenti ed i genitori senza documenti di bambini in regola con la legge non sono destinati ad andare da nessuna parte.
La vera domanda, dunque, è come siamo orientati a trattarli. Continueremo nell’attuale pratica di maligna negligenza, negando loro i diritti elementari e lasciandoli sotto la costante minaccia della deportazione? O li tratteremo come concittadini del nostro paese, quali già sono?
La verità è che il puro e semplice interesse personale ci dice che dovremmo fare la cosa più umana. I figli degli emigranti odierni saranno i lavoratori, i contribuenti ed i nostri vicini di domani. Condannarli a vivere nell’ombra significa che avranno vite domestiche meno stabili di quello che dovrebbero, che gli sarà negato di acquisire professionalità ed istruzione, che daranno un contributo inferiore all’economia e che avranno un ruolo meno positivo nella società. Non agire sarebbe solo auto distruttivo.
Ma, parlando per me, io non mi curo poi tanto del denaro, o persino degli aspetti sociali. I miei genitori furono capaci di avere le esistenze che ebbero, nonostante tutti i pregiudizi del tempo, perché l’America fu disponibile a trattarli come persone. Offrire lo stesso trattamento ai figli degli immigranti di oggi è la linea d’azione che ha senso pratico, ma è anche, da un punto di vista fondamentale, la cosa giusta da fare. Dunque, un applauso al Presidente per la sua scelta.
[1] “Suffer” penso che in questo caso sia nel senso di “permettere”, ed è una espressione arcaica di origine evangelica: “Suffer the little children to come unto me” (“Fate che i bambini vengano a me”), in questo caso suppongo espressa in modo sintetico.
[2] Il Lower East Side è un quartiere della “circoscrizione” o “distretto” (borough) di Manhattan, nella città di New York. È situato lungo l’East River (uno stretto braccio di mare che separa Manhattan ad est da Brooklyn e dal Queens), all’incirca tra Canal Street ed Houston Street. Ad ovest è approssimativamente delimitato dalla Bowery.
È uno dei quartieri più vivaci e più ricchi di storia di Manhattan, perché da sempre accoglie i nuovi immigrati. Nel corso del tempo vi si è stabilito un vero mosaico di popolazioni: irlandesi, neri, ebrei, italiani, cinesi, tedeschi e latino-americani, per citarne solo alcuni. Ogni etnia ha impresso il proprio segno distintivo nel tessuto urbano e si è adoperata per organizzarsi in comunità, creando proprie associazioni di mutuo soccorso.
E questa è una immagine di un appartamento del Tenement Museum.
By mm
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