Blog di Krugman

Il Giappone dinanzi al ciglio (4 novembre 2014)

 

Japan on the Brink

November 4, 2014 4:56 pm

When a nation is engaged in a real policy debate — the kind we’re not having in the United States, because America’s right wing knows what it knows, and never looks at evidence or admits mistakes — certain decisions take on significance that goes beyond their substantive importance, because they are symbols of the broader direction. So it is with Japan’s current plan to hike consumption taxes a second time. Not that this is a trivial decision on the substance; it would be a fairly big deal in any case. But right now it has become more — a sort of Rubicon for policy.

And let me admit that people I respect — like Adam Posen, and some officials at international organizations — believe that Abe should go through with the hike. But I strongly disagree.

The funny thing is that both sides of this debate believe that it’s about credibility; but they differ on what kind of credibility is crucial at this moment.

Right now, Japan is struggling to escape from a deflationary trap; it desperately needs to convince the private sector that from here on out prices will rise, so that sitting on cash is a bad idea and debt won’t be so much of a burden. At the same time, Japan has huge public debt and lousy demography, which implies large implicit liabilities too.

The pro-tax-hike side worries that if Japan doesn’t go through with the increase, it will lose fiscal credibility and that this will endanger the economy right now — basically, that the bond vigilantes will attack. Why don’t I share that view?

Partly because I don’t see how this supposed crisis of confidence is supposed to work. This was the point of my Mundell-Fleming lecture (pdf) at the IMF last year: when a country borrows in its own currency and doesn’t face inflationary pressure (quite the contrary), it’s very hard to see how a Greek-style crisis is even upossible. Short-term interest rates are controlled by the Bank of Japan; long-term rates mainly reflect expected short rates. Yes, investors could push the yen down, but that would be a good thing from Japan’s point of view. Posen says stocks could crash, but I guess I don’t see why if interest rates stay low and corporate Japan becomes more competitive thanks to a weaker yen.

Seriously: tell me how this is supposed to work. In fact, tell me how a loss in fiscal confidence — fear that Japan might eventually monetize some of its debt — isn’t actually a positive development.

Meanwhile, it seems to me that Japan should be very, very afraid of losing momentum in the fight against deflation. Suppose that a second tax hike causes another downturn in real GDP, as I predict it would, and that all the progress made against inflation so far evaporates, which is surely a real possibility. How likely is it that the Bank of Japan could come back after that, saying “Trust us — this time we really will get inflation up to 2 percent in two years, no, really” — and be believed? I’d argue that stalling the current drive would cause a fatal loss of credibility on the deflation front. And this would, by the way, do huge fiscal damage too.

Could I be wrong about all of this? Of course: life is complicated, and as I said, people I respect are on the other side (although I really don’t understand their logic here.) But it’s all about weighing the risks. Right now, the risk of losing anti-deflation credibility looks much worse than the risk of losing fiscal credibility.

Please, don’t hike those taxes!

 

Il Giappone dinanzi al ciglio

Quando una nazione è impegnata in un dibattito politico vero – di un genere che non stiamo avendo negli Stati Uniti, perché la destra americana è certa di quello che sa, e non guarda mai ai fatti né ammette mai errori – certe decisioni assumono un significato che va oltre la loro importanza reale, perché sono simboli di un indirizzo più generale. Così è nel caso dell’attuale progetto del Giappone di elevare per una seconda volta le tasse sui consumi. Non che nella realtà questa sia una decisione banale; in ogni caso si tratterebbe di una faccenda discretamente rilevante. Ma in questo momento è diventata di più – una sorta di Rubicone della politica.

E devo riconoscere che persone che rispetto – come Adam Posen ed altri dirigenti di organizzazioni internazionali – credono che Abe dovrebbe procedere con quel rialzo. Ma io sono in forte disaccordo.

La cosa buffa è che in questa discussione, entrambi gli schieramenti ritengono che essa riguardi la credibilità; ma divergono su quale genere di credibilità sia cruciale in questo momento.

In questo momento, il Giappone sta combattendo per sfuggire ad una trappola deflazionistica; ha disperatamente bisogno di convincere il settore privato che d’ora in avanti i prezzi cresceranno, cosicché restar seduti sui propri capitali è una pessima idea e il debito non sarà un peso così grande. Nello stesso tempo, il Giappone ha un grande debito pubblico ed un andamento demografico misero, il che intrinsecamente comporta anche grandi responsabilità.

Lo schieramento a favore dell’innalzamento delle tasse teme che se il Giappone non passerà da quell’aumento, perderà la sua credibilità in materia di finanza pubblica e che questo metterà da subito in pericolo l’economia – in sostanza, che ci sarà un’offensiva da parte dei ‘guardiani dei bond’. Perché non condivido questo punto di vista?

In parte perché non capisco come si ritenga che questa ipotetica crisi di fiducia si manifesti. Era questo l’oggetto della mia conferenza (disponibile in pdf [1]) alle celebrazioni per Mundell-Fleming del FMI dello scorso anno; quando un paese si indebita nella propria valuta e non si trova dinanzi ad una pressione inflazionistica (piuttosto il contrario), è molto difficile vedere come sia persino possibile una crisi del genere di quella della Grecia. I tassi di interesse a breve termine sono controllati dalla Banca del Giappone; i tassi di interesse a lungo termine riflettono principalmente le aspettative sui tassi a breve. E’ vero, gli investitori potrebbero spingere lo yen in basso, ma dal punto di vista del Giappone questa sarebbe una buona cosa. Posen dice che le azioni potrebbero crollare, ma io credo di non vederne il motivo, se i tassi di interesse restano bassi e le imprese giapponesi diventano più competitive grazie ad uno yen più debole.

Dico sul serio: spiegatemi come si pensa che questo possa accadere. In sostanza, spiegatemi come un perdita di fiducia nella finanza pubblica – la paura che alla fine il Giappone potrebbe monetizzare una parte del suo debito – non costituisca effettivamente uno sviluppo positivo.

Contemporaneamente, a me pare che il Giappone dovrebbe avere davvero tanta paura di perdere lo slancio nella lotta contro la deflazione. Supponiamo che un altro aumento delle tasse provochi una nuova diminuzione nel PIL reale, come io prevedo che accadrebbe, e che tutto il progresso sinora ottenuto contro la deflazione [2] svanisca, che è certamente nell’ordine delle cose possibili. Quanto è probabile che, dopo ciò, la Banca del Giappone torni a dire: “Credeteci, questa volta per davvero avremo un inflazione che salirà al 2 per cento nel giro di due anni, diciamo sul serio” – e sia creduta? Direi che interrompere l’indirizzo attuale provocherebbe una fatale perdita di credibilità sul fronte della deflazione. E questo, per inciso, provocherebbe anche un gran danno alle finanze pubbliche.

Potrei sbagliarmi in tutto ciò? Ovviamente: la vita è complicata e, come ho detto, ci sono persone che rispetto che sostengono il punto di vista opposto (sebbene, in questo caso, davvero non capisca la loro logica). Ma tutto dipende da come si soppesano i rischi. In questo momento, il rischio di perdere credibilità contro la deflazione appare assai peggiore del rischio di perdere credibilità nei conti pubblici.

Per favore, non rialzate quelle tasse!

 

 

[1] Il testo è qua tradotto, con il titolo “Regimi valutari, flussi di capitali e crisi, di Paul Krugman – 27 ottobre 2013”.

[2] “Inflation” mi pare un errore nel testo.

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