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Inquinamento e politica, di Paul Krugman (New York Times 27 novembre 2014)

 

Pollution and Politics

NOV. 27, 2014

Paul Krugman

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Earlier this week, the Environmental Protection Agency announced proposed regulations to curb emissions of ozone, which causes smog, not to mention asthma, heart disease and premature death. And you know what happened: Republicans went on the attack, claiming that the new rules would impose enormous costs.

There’s no reason to take these complaints seriously, at least in terms of substance. Polluters and their political friends have a track record of crying wolf. Again and again, they have insisted that American business — which they usually portray as endlessly innovative, able to overcome any obstacle — would curl into a quivering ball if asked to limit emissions. Again and again, the actual costs have been far lower than they predicted. In fact, almost always below the E.P.A.’s predictions.

So it’s the same old story. But why, exactly, does it always play this way? Of course, polluters will defend their right to pollute, but why can they count on Republican support? When and why did the Republican Party become the party of pollution?

For it wasn’t always thus. The Clean Air Act of 1970, the legal basis for the Obama administration’s environmental actions, passed the Senate on a bipartisan vote of 73 to 0, and was signed into law by Richard Nixon. (I’ve heard veterans of the E.P.A. describe the Nixon years as a golden age.) A major amendment of the law, which among other things made possible the cap-and-trade system that limits acid rain, was signed in 1990 by former President George H.W. Bush.

But that was then. Today’s Republican Party is putting a conspiracy theorist who views climate science as a “gigantic hoax” in charge of the Senate’s environment committee. And this isn’t an isolated case. Pollution has become a deeply divisive partisan issue.

And the reason pollution has become partisan is that Republicans have moved right. A generation ago, it turns out, environment wasn’t a partisan issue: according to Pew Research, in 1992 an overwhelming majority in both parties favored stricter laws and regulation. Since then, Democratic views haven’t changed, but Republican support for environmental protection has collapsed.

So what explains this anti-environmental shift?

You might be tempted simply to blame money in politics, and there’s no question that gushers of cash from polluters fuel the anti-environmental movement at all levels. But this doesn’t explain why money from the most environmentally damaging industries, which used to flow to both parties, now goes overwhelmingly in one direction. Take, for example, coal mining. In the early 1990s, according to the Center for Responsive Politics, the industry favored Republicans by a modest margin, giving around 40 percent of its money to Democrats. Today that number is just 5 percent. Political spending by the oil and gas industry has followed a similar trajectory. Again, what changed?

One answer could be ideology. Textbook economics isn’t anti-environment; it says that pollution should be limited, albeit in market-friendly ways when possible. But the modern conservative movement insists that government is always the problem, never the solution, which creates the will to believe that environmental problems are fake and environmental policy will tank the economy.

My guess, however, is that ideology is only part of the story — or, more accurately, it’s a symptom of the underlying cause of the divide: rising inequality.

The basic story of political polarization over the past few decades is that, as a wealthy minority has pulled away economically from the rest of the country, it has pulled one major party along with it. True, Democrats often cater to the interests of the 1 percent, but Republicans always do. Any policy that benefits lower- and middle-income Americans at the expense of the elite — like health reform, which guarantees insurance to all and pays for that guarantee in part with taxes on higher incomes — will face bitter Republican opposition.

And environmental protection is, in part, a class issue, even if we don’t usually think of it that way. Everyone breathes the same air, so the benefits of pollution control are more or less evenly spread across the population. But ownership of, say, stock in coal companies is concentrated in a few, wealthy hands. Even if the costs of pollution control are passed on in the form of higher prices, the rich are different from you and me. They spend a lot more money, and, therefore, bear a higher share of the costs.

In the case of the new ozone plan, the E.P.A.’s analysis suggests that, for the average American, the benefits would be more than twice the costs. But that doesn’t necessarily matter to the nonaverage American driving one party’s priorities. On ozone, as with almost everything these days, it’s all about inequality.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inquinamento e politica, di Paul Krugman

New York Times 27 novembre 2014

Agli inizi di questa settimana, l’Agenzia di Protezione dell’Ambiente ha annunciato i regolamenti proposti per mettere un freno alle emissioni dell’ozono, che provocano lo smog, per non dire l’asma, le malattie cardiache e le morti premature. E sapete quello che è successo: i repubblicani sono andati all’attacco, sostenendo che le nuove regole costringerebbero a costi enormi.

Non c’è ragione di prendere sul serio queste lamentele, almeno dal punto di vista della sostanza. Gli inquinatori ed i loro amici in politica hanno una esperienza comprovata nel creare allarmismo. Hanno ribadito in continuazione che le imprese americane – che di solito descrivono come infinitamente innovative, capaci di superare ogni ostacolo – si sarebbero come annodate in una intricata matassa [1] se si fosse loro chiesto di limitare le emissioni. Ogni volta, puntualmente, i costi effettivi sono stati più bassi di quelli che avevano previsto. Di fatto, quasi sempre al di sotto delle previsione dell’EPA.

Dunque, è la solita vecchia storia. Ma per quale precisa ragione essa si offre sempre in questa forma? E’ naturale che gli inquinatori difendano il loro diritto ad inquinare, ma perché possono contare sul sostegno repubblicano? Quando e perché il Partito Repubblicano è diventato il partito dell’inquinamento?

Perché non è sempre stato così. La Legge sull’Aria Pulita del 1970, il fondamento legale per le iniziative in materia di ambiente della Amministrazione Obama, passò al Senato con un voto bipartisan di 73 a 0, e fu trascritta in legge da Richard Nixon (ho sentito anziani funzionari dell’EPA descrivere gli anni di Nixon come un periodo aureo). Un importante emendamento alla legge, che tra le altre cose rese possibile il sistema ‘cap-and-trade’ [2] che limita le piogge acide, fu sottoscritto nel 1990 dal passato Presidente George H.W. Bush [3].

Ma questo accadeva allora. Il Partito Repubblicano odierno sta mettendo un seguace della teoria del complotto, che considera la scienza del clima come una “bufala gigantesca”, come responsabile della commissione ambiente del Senato. E questo non è un caso isolato. L’inquinamento è diventato un tema di divisioni profondamente faziose.

E la ragione per la quale l’inquinamento è diventato un tema di parte è che i repubblicani si sono spostati a destra. Si scopre che una generazione fa l’ambiente non era un tema di parte: secondo Pew Research, nel 1992 una schiacciante maggioranza in entrambi i partiti era a favore di leggi e regolamenti più severi. Da allora i punti di vista dei democratici non sono cambiati, ma il sostegno dei repubblicani alla protezione dell’ambiente è crollato.

Cosa spiega, dunque, questo spostamento su posizioni anti ambientaliste?

Si sarebbe semplicemente tentati di dar la colpa al ruolo dei soldi nella politica, e non c’è dubbio che flussi di denaro contante hanno alimentato il movimento anti ambientalista in tutti i modi. Ma questo non spiega perché i soldi da parte delle industrie maggiormente dannose da punto di vista ambientale, che normalmente andavano a entrambi i partiti, oggi vadano in modo schiacciante in un’unica direzione. Si prenda, ad esempio, l’estrazione del carbone. Ai primi anni ’90, secondo il Center for Responsive Politics [4], l’industria era a favore, con un margine modesto, dei repubblicani, dando circa il 40 per cento dei suoi soldi ai democratici. Oggi quella cifra è solo il 5 per cento. Le spese per la politica dell’industria del petrolio e del gas hanno seguito un andamento simile. Di nuovo, cosa è cambiato?

Una risposta potrebbe essere, l’ideologia. I libri di testo in economia non sono anti ambientalisti; dicono che l’inquinamento dovrebbe essere limitato, sebbene in modi favorevoli al mercato tutte le volte che è possibile. Ma il moderno movimento conservatore è fermo nel considerare che il governo è sempre il problema, mai la soluzione, la qualcosa determina la disponibilità a credere che i problemi ambientali siano falsi e che la politica dell’ambiente colpirà pesantemente l’economia.

La mia impressione, tuttavia, è che l’ideologia sia solo una parte della spiegazione – o, più precisamente, che essa sia un sintomo di una causa più profonda dello spartiacque: la crescente ineguaglianza.

La storia sostanziale della polarizzazione politica dei decenni passati è che una minoranza di ricchi di è economicamente distanziata dal resto del paese, e si è portata con sé uno dei partiti principali. E’ vero, spesso i democratici sono proni agli interessi dell’1 per cento dei più ricchi, ma i repubblicani lo sono sempre. Ogni politica che reca beneficio agli americani con i redditi più bassi e medi a spese della élite – come la riforma sanitaria, che garantisce a tutti l’assicurazione e paga in parte tale garanzia con tasse sui redditi più elevati – dovrà misurarsi con l’opposizione più aspra dei repubblicani.

E la protezione dell’ambiente è, in parte, un tema di classe, anche se non siamo soliti pensarlo in tal modo. Tutti respirano la stessa aria, cosicché i benefici del controllo dell’inquinamento sono più o meno equamente distribuiti sulla popolazione. Ma la proprietà delle azioni, ad esempio, nelle società del carbone è concentrata in poche mani di ricchi. Persino se i costi del controllo dell’inquinamento fossero approvati nella forma di prezzi più elevati, un ricco sarebbe differente da voi e da me. Essi spendono molto più denaro e, di conseguenza, sopportano una quota più elevata di costi.

Nel caso del nuovo programma per l’ozono, l’EPA indica che, per l’americano medio, i benefici sarebbero più che doppi rispetto ai costi. Ma questo non è necessariamente importante per l’americano non-medio che sostiene le priorità di un partito. Sull’ozono, come quasi su ogni cosa di questi tempi, tutto ha a che fare con l’ineguaglianza.

 

 

[1] Vado un po’ a senso, non avendo trovato una soluzione a questa espressione chiaramente idiomatica. “Curl” sta per avvilupparsi; “quivering” per fremente, tremante; “ball” anche per gomitolo.

[2] Ovvero, un sistema mirante alla limitazione delle emissioni che si basa sulla definizione di un limite (“cap”) e sulla possibilità successiva di aprire un commercio tra le imprese, facendo diventare il rispetto o il superamento qualitativo di tale limite un valore, ed il non-rispetto un costo. Vale a dire che chi realizza buone prestazioni può “venderle” a chi non le realizza, per consentire a questi ultimi di continuare ad operare. In altre parole, ci sarebbero limiti e su quei limiti si avvierebbe una competizione economica reale, essendo interesse di tutti – almeno in teoria – di comportarsi nel migliore dei modi, per guadagnare ed evitare costi, ed anche – se virtuosi – di ‘rivendere’ i propri buoni risultati.

[3] Ovvero, Bush padre.

[4] E’ un gruppo di ricerca indipendente, con sede a Washington, che studia i flussi dei contributi finanziari e delle attività delle lobby ai partiti politici americani. Si può tradurre con: Centro per una politica consapevole.

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