Nov 26 9:40 am
Back in 2010, I had a revelation about just how bad economic policy was about to get; I read the OECD Economic Outlook, which called not just for fiscal austerity but for interest rate hikes — 350 basis points on the Fed funds rate by the end of 2011! — because, well, because.
Now, the OECD is calling for fiscal and monetary stimulus in Europe. It’s not the same people; the OECD has a new chief economist, Catherine L. Mann, whose excellent research has always been pragmatic in orientation (and who wrote her dissertation, way back when, under Rudi Dornbusch and yours truly.) But by selecting Ms. Mann the OECD was making a statement, and my sense is that the ground is shifting all around the world.
It has taken a while. In early 2013, with the infamous growth cliff at 90 percent debt and the case for expansionary austerity collapsing, many of us thought we had the austerians on the run. But we underestimated the extent to which officials and, to some extent, the news media had a professional stake in the positions they had staked out over the previous three years, and their willingness to seize on anything — slight recovery in southern Europe, a pickup in the UK when the government stopped tightening for a while, Latvia — as supposed vindication of views that were, in reality, overwhelmingly at odds with the evidence.
This still goes on. Simon Wren-Lewis complains, and rightly, about “mediamacro” — and his government has learned nothing. The Bundesbank is still what it always was.
But the hawks seem in retreat at the Fed; Mario Draghi (another MIT Ph.D.) sounds an awful lot like Janet Yellen; the whole way we’re discussing Japan is very much on Keynesian turf. Three and a half years ago Businessweek was declaring that expansionary austerian Alberto Alesina was the new Keynes; now it tells us that Keynes is the new Keynes. And we have people like Paul Singer complaining about the “Krugmanization” of the debate.
Why does the tide finally seem to be turning? Partly, I think, it’s just a matter of time; after six years it’s becoming hard not to notice that the anti-Keynesians have been wrong about everything. Europe’s slide toward deflation makes it even harder to deny the realities of liquidity-trap economics. And the refusal of almost everyone on the anti-Keynesian side to admit any kind of error has gradually made them look ridiculous.
All of this may be coming too little and too late to avoid policy disaster, especially in Europe. But it’s something to cheer, faintly.
Keynes sta lentamente vincendo
Nel passato 2010 ebbi come una rivelazione al riguardo esattamente di cosa una cattiva politica economica stesse per provocare: lessi l’Economic Outlook dell’OCSE, che si pronunciava non solo per l’austerità della finanza pubblica, ma per aumenti nel tasso di interesse – 350 punti base sul tasso di riferimento della Fed per la fine del 2011 ! – perché, beh, perché sì.
In questo momento, l’OCSE ha preso posizione per misure di sostegno monetario e della spesa pubblica in Europa. Non si tratta delle stesse persone; l’OCSE ha una nuova dirigente in materia di economia. Catherine L. Mann, le cui ricerche sono state sempre eccellenti nei loro orientamenti (e che scrisse la sua tesi, a quei tempi, sotto la supervisione di Rudi Dornbusch e del sottoscritto). Ma nello scegliere la signorina Mann l’OCSE ha espresso un giudizio, e la mia sensazione è che il terreno si stia spostando dappertutto nel mondo.
C’è voluto un po’. Agli inizi del 2013, con la famigerata tesi del precipizio della crescita al 90 per cento del debito e l’altra tesi della austerità espansiva che stavano crollando, molti di noi pensavano che avremmo avuto i seguaci della scuola austriaca in fuga. Ma sovrastimavamo la misura nella quale i responsabili della cosa pubblica e, in qualche misura, i media avessero un interesse professionale nelle posizioni che avevano rivendicato nei tre anni precedenti, e la loro volontà di sfruttare ogni cosa – la leggera ripresa nell’Europa meridionale, una ripresa nel Regno Unito quando il Governo interruppe per un po’ le restrizioni, la Lettonia – come supposte conferme di punti di vista che erano, nella realtà, agli antipodi dei fatti reali.
Tutto questo sta ancora continuando. Simon Wren-Lewis si lamenta, a buona ragione, sulla ‘macroeconomia dei media’ – e il suo governo non ha imparato niente. La Bundesbank è quello che è sempre stata.
Ma i falchi sembrano in ritirata alla Fed; Mario Draghi (altro dottore di ricerca al MIT) assomiglia in modo impressionante a Janet Yellen; l’intera modalità con la quale si discute del Giappone sembra in gran parte svolgersi su un terreno keynesiano. Tre anni e mezzo fa Businessweek dichiarava che il propugnatore dell’austerità espansiva Alberto Alesina era il nuovo Keynes: oggi ci viene detto che Keynes è il nuovo Keynes [1]. E abbiamo soggetti come Paul Singer che si lamentano della “krugmanizzazione” del dibattito [2].
Perché la corrente sembra stia per cambiare indirizzo? In parte, penso, sia solo una questione di tempi; dopo sei anni sta diventando difficile non accorgersi che gli anti keynesiani hanno avuto torto su tutto. Lo scivolamento dell’Europa verso la deflazione rende anche più difficile negare le realtà dell’economia della trappola di liquidità. Ed il rifiuto di ammettere errori di ogni genere da parte di quasi tutti nello schieramento anti keynesiano, li ha fatti apparire ridicoli.
Tutto questo può essere troppo poco ed arrivare troppo tardi per evitare un disastro politico, in particolare in Europa. Ma è qualcosa di cui compiacersi, almeno un pochino.
[1] La connessione è con un articolo dello stesso Businessweek dal titolo “Keynes è l’economista di cui il mondo ha bisogno oggi”.
[2] Vedi il post d Krugman del 6 novembre dal titolo “Gli usi del ridicolo”.
By mm
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