Blog di Krugman

La mancanza di saggezza della teoria dello ‘spiazzamento’ (15 novembre 2014)

 

The Unwisdom of Crowding Out (Wonkish)

November 15, 2014 1:48 pm

I am, to my own surprise, not too happy with the defense of Keynes by Peter Temin and David Vines in VoxEU. Peter and David are of course right that Keynes has a lot to teach us, and are also right that the anti-Keynesians aren’t just making really bad arguments; they’re making the very same really bad arguments Keynes refuted 80 years ago.

But the Temin-Vines piece seems to conflate several different bad arguments under the heading of “Ricardian equivalence”, and in so doing understates the badness.

The anti-Keynesian proposition is that government spending to boost a depressed economy will fail, because it will lead to an equal or greater fall in private spending — it will crowd out investment and maybe consumption, and therefore accomplish nothing except a shift in who spends. But why do the AKs claim this will happen? I actually see five arguments out there — two (including the actual Ricardian equivalence argument) completely and embarrassingly wrong on logical grounds, three more that aren’t logical nonsense but fly in the face of the evidence.

Here they are:

First, there’s the Say’s Law argument: because spending must equal income, any increase in government spending must be matched by a fall in private spending. “This is just accounting,” declared John Cochrane. No, it isn’t — and it was the remarkable fact that prominent economists were saying things like this, as if none of the debates of the 1930s had happened, that led me to proclaim a Dark Age of macroeconomics.

Second, there’s the misuse of Ricardian Equivalence. It’s important to understand that we’re not debating about whether Ricardian equivalence is right; even if it were (it isn’t), what the anti-Keynesians were saying was wrong, as I tried to explain a number of times. It’s crucial, I’d argue, to realize that what the people invoking Ricardo were saying was wrong even in terms of their own model. If you don’t get that, you don’t appreciate the depths to which all too many economists sank.

Third, there’s the standard textbook crowding out story, in which increased government spending in the face of a fixed money supply, or maybe a nominal income target, causes interest rates to rise and private investment to fall. The money supply argument doesn’t work when we’re at the zero lower bound, which is after all why we’re talking about fiscal policy in the first place; but there is a school of thought that insists that the Fed and the ECB and the BoJ could achieve full employment if only they wanted to. I disagree, and I think this is mostly wishful thinking, but at least it’s not the kind of raw nonsense involved in arguments #1 and #2.

Fourth, there’s the claim that we’re at full employment, or maybe always at full employment, that demand-side economics is wrong, so any government use of resources must divert them from other uses. I think this is empirically silly for the US and Europe in recent years, but again it’s not the kind of raw nonsense of the first two arguments.

Finally, there’s the confidence fairy: demand-side economics is valid, but business hates big government so much that any attempt to use fiscal policy will backfire. Oh, kay.

My point is that you do a disservice to the debate by calling all of these things Ricardian equivalence; and the nature of that disservice is that you end up making the really, really bad arguments sound more respectable than they are. We do not want to lose sight of the fact that many influential people, including economists with impressive CVs, responded to macroeconomic crisis with crude logical fallacies that reflected not just sloppy thinking but ignorance of history.

 

La mancanza di saggezza della teoria dello ‘spiazzamento’ (per esperti)

Non sono così soddisfatto, con mia personale sorpresa, della difesa di Keynes da parte di Peter Tamin e David Vines su VoxEU. Peter e David naturalmente hanno ragione nel dire che Keynes ha molto da insegnarci, ed hanno anche ragione nel dire che gli antikeynesiani non stanno soltanto avanzando cattivi argomenti; essi stanno proponendo esattamente gli stessi cattivi argomenti che Keynes confutò 80 anni fa.

Ma l’articolo di Temin e Vines pare fondere diversi cattivi argomenti sotto il titolo della “equivalenza ricardiana” [1], e con ciò sottovaluta la loro negatività.

Il concetto degli anti keynesiani è che la spesa pubblica in deficit per incoraggiare un’economia depressa è destinata a fallire, perché essa porterà ad una eguale o maggiore diminuzione nella spesa privata – essa ‘spiazzerà’ gli investimenti e forse i consumi, e di conseguenza non risolverà niente se non uno spostamento in chi spende. Ma perché gli anti keynesiani pretendono che le cose vadano in questo modo? In questo io vedo cinque argomenti – due (incluso quello sulla ‘equivalenza ricardiana’) sprovvisti in modo assoluto ed imbarazzante di basi logiche, gli altri tre che non sono insensati dal punto di vista della logica ma sfidano l’esperienza dei fatti.

Ecco quali sono:

Anzitutto, c’è l’argomento della Legge di Say: poiché la spesa deve eguagliare il reddito, ogni incremento della spesa pubblica deve essere compensato da una diminuzione della spesa privata. “Questa è solo contabilità”, dichiarò John Cochrane. No, non è così – e fu la circostanza significativa che importanti economisti dicessero una cosa del genere, come se tutti i dibattiti degli anni 30 non ci fossero stati, che mi portò a dichiarare il “Periodo Buio” della macroeconomia.

In secondo luogo, c’è l’uso improprio della ‘equivalenza ricardiana’. E’ importante rendersi conto che non stiamo discutendo se l’equivalenza ricardiana sia giusta; anche se lo fosse (e non lo è), quello che hanno sostenuto gli anti keynesiani è sbagliato, come ho cercato di spiegare ripetutamente. Direi che è cruciale comprendere che quello che le persone che invocando Ricardo hanno affermato era sbagliato persino nei termini del loro stesso modello. Se non lo si capisce, non si comprende in quali abissi anche troppi economisti sono affondati.

In terzo luogo c’è la tradizionale spiegazione della tesi dello ‘spiazzamento’ sui libri di testo, nella quale la spesa pubblica accresciuta a fronte di una offerta fissa di moneta, o magari ad un obbiettivo di reddito nominale, spinge i tassi di interesse a crescere e l’investimento privato a diminuire. L’argomento dell’offerta di moneta non funziona quando siamo a fronte del limite inferiore dello zero (nei tassi di interesse), che dopo tutto è la ragione per la quale stiamo parlando in primo luogo di politiche della spesa pubblica; eppure c’è una scuola di pensiero che insiste che la Fed e la BCE e la Banca del Giappone potrebbero ottenere la piena occupazione, soltanto se lo volessero. Io non sono d’accordo, e penso che si tratti soprattutto di forzato ottimismo, ma almeno non è il genere degli argomenti rozzi che sono impliciti nei punto 1 e 2.

In quarto luogo c’è la tesi che siamo in piena occupazione, o forse che siamo sempre in piena occupazione, cosicché ogni utilizzo di risorse da parte del Governo deve distrarle da altri usi. Penso che nel caso degli Stati Uniti e dell’Europa negli anni recenti sia un’idea sciocca, ma anche questa non è del genere della grossolana insensatezza dei primi due argomenti.

Infine, c’è la fata della fiducia [2]: l’economia dal lato della domanda è valida, ma le imprese odiano le grandi dimensioni delle funzioni pubbliche a tal punto, che ogni sforzo di usare la spesa pubblica ci si ritorcerà contro. Quanta arguzia!

La mia opinione è che si fa un disservizio al dibattito se si chiamano tutte queste cose “equivalenza ricardiana”; e la natura di quel cattivo servizio è che si finisce per far sembrare argomenti pessimi più rispettabili di quello che sono. Non possiamo perdere di vista il fatto che molte persone influenti, inclusi economisti con spettacolari curriculum, hanno risposto alla crisi economica con grossolani errori logici, che non riflettevano soltanto un pensiero superficiale ma una ignoranza della storia.

 

 

[1] L’equivalenza ricardiana è una teoria economica che suggerisce come i consumatori internalizzino i vincoli di bilancio e come quindi la tempistica dei cambiamenti della tassazione non influisca sul loro profilo di spesa. Di conseguenza l’equivalenza ricardiana suggerisce che la scelta di finanziare le spese governative attraverso il debito piuttosto che con un aumento delle tasse non abbia influenza sul livello della domanda. Era stata prima proposta e poi rifiutata dall’economista del diciannovesimo secolo David Ricardo. In termini semplici la teoria può venire descritta come segue: il governo può sia finanziare la spesa tassando i contribuenti oggi, oppure può prendere denaro in prestito emettendo obbligazioni. Nel secondo caso, questo debito dovrà venir alla fine ripagato aumentando in futuro le tasse al di sopra del livello che avrebbero altrimenti avuto. La scelta è dunque tra “tassare ora” o “tassare poi”.

 

[2] Vedi “confidence fairy” alle note sulla traduzione.

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