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La sindrome della agitazione da Keynes (dal blog di Krugman, 9 novembre 2014)

 

Nov 9 10:12 am

Keynes Derangement Syndrome

One of my favorite quotes in economics comes from Frank Graham, who wrote that disorder is the sole substitute in social science for the controlled experiments of the natural sciences. What he meant was that drastic events, outside the normal run of experience, offer a much better way to test competing theories than day-to-day events, which aren’t too hard to shoehorn into various dogmas.

So it was with the global economic crisis, and especially the monetary policy response. Broadly speaking there were two views about what would happen when central banks hugely expanded the monetary base. On one side, those with a more or less Keynesian viewpoint saw this action as harmless at worst, possibly somewhat helpful, because they expected most of the new bank reserves to just sit there given near-zero interest rates. After all, that is what happened during Japan’s attempt at quantitative easing after 2001:

z 253

 

 

 

 

 

 

 

 

On the other side, many people were quite sure that explosive inflation was just around the corner.

So this was as clear a test as you’re ever likely to get. But the side that got it wrong refuses to take no for an answer, because that would mean admitting that Keynes (and possibly other economists whose names begin with the same letter) was actually right about something, while they were wrong. And so we have denial on multiple levels.

The crudest level is that of the inflation truthers, who insist that the government is covering up real inflation. There’s also the “I never said that” faction, claiming that they haven’t been refuted, because they only said there was a “risk” of hyperinflation — I’m not sure which position is more contemptible.

At a higher level are those who claim that we would have had runaway inflation if only the Fed hadn’t decided to pay 0.25 percent, that’s right, 0.25 percent, interest on reserves. Aside from being highly implausible, this runs up against the example of Japan, which massively expanded the monetary base without paying interest, and got the same result.

And at the highest level we have the neo-Fisherite claim that everything we thought we knew about monetary policy is backwards, that low interest rates actually lead to lower inflation, not higher. At least this stuff is being presented in an even-tempered way.

But it’s still very strange. Nick Rowe has been working very hard to untangle the logic of these arguments, basically trying to figure out how the rabbit got stuffed into the hat; the meta-point here is that all of the papers making such claims involve some odd assumptions that are snuck by readers in a non-transparent way.

And the question is, why? What motivation would you have for inventing complicated models to reject conventional wisdom about monetary policy? The right answer would be, if there is a major empirical puzzle. But you know, there isn’t. The neo-Fisherites are flailing about, trying to find some reason why the inflation they predicted hasn’t come to pass — but the only reason they find this predictive failure so puzzling is because they refuse to accept the simple answer that the Keynesians had it right all along.

 

La sindrome della agitazione da Keynes

Una delle mie citazioni favorite in economia viene da Frank Graham, il quale scrisse che il disordine è il solo surrogato nelle scienze sociali degli esperimenti naturali nelle scienze naturali. Intendeva che gli eventi estremi, fuori dal normale andamento dell’esperienza, offrono un modo molto migliore di sperimentare le teorie in competizione che non gli eventi giorno per giorno, che non sono così difficili da adattare ai vari dogmatismi.

E’ stato così con la crisi economica globale, e specialmente per il responso della politica monetaria. Parlando in generale c’erano due punti di vista su ciò che può accadere quando le banche centrali ampliano grandemente la base monetaria. Da una parte, coloro che hanno un punto di vista più o meno keynesiano consideravano questa iniziativa nel peggiore dei casi innocua, probabilmente in qualche caso utile, perché si aspettavano che gran parte delle nuove riserve bancarie, a causa del limite inferiore dello zero nei tassi di interesse, semplicemente restassero ferme. Dopo tutto, questo è quanto accadde durante il tentativo di facilitazione quantitativa del Giappone dopo il 2001:

z 253

 

 

 

 

 

 

 

 

D’altra parte, in molti erano quasi certi che una inflazione improvvisa fosse proprio dietro l’angolo.

Dunque, questo è stato un chiaro test, come mai era accaduto di avere. Ma la parte che ha avuto torto si rifiuta di considerarla come una risposta, perché significherebbe ammettere che Keynes (e magari altri economisti il cui nome comincia con la stessa lettera) per qualche aspetto aveva effettivamente ragione, mentre loro si sbagliavano. Abbiamo così una negazione ad una molteplicità di livelli.

Il livello più grossolano è quello di coloro che credono in un complotto dell’inflazione e che insistono che il Governo stia nascondendo l’inflazione reale. Ci sono poi quelli della fazione del “io non l’ho mai detto”, che sostengono di non essere stati smentiti, perché avevano solo detto che c’era un “rischio” di iperinflazione – non sono sicuro di quale posizione sia più indegna.

Ad un livello più alto ci sono coloro che sostengono che avremmo una inflazione galoppante se solo la Fed non avesse deciso di pagare un interesse sulle riserve dello 0,25 per cento, proprio così, dello 0,25. A parte il fatto che è del tutto non plausibile, è poi smentito dall’esempio del Giappone, che ha ampliato massicciamente la base monetaria senza pagare interessi, ottenendo lo stesso risultato.

E ad un livello più elevato abbiamo la tesi neo-fisheriana [1], secondo la quale ogni cosa che pensavamo di sapere sulla politica monetaria è arretrata, che i bassi tassi di interesse conducono effettivamente ad una inflazione più bassa, non più alta. Almeno, questa roba viene presentata con un certo equilibrio.

Ma è ancora assai strano. Nick Rowe ha lavorato duramente per sbrogliare la logica di questi argomenti, fondamentalmente immaginandosi come il coniglio sia potuto entrare nel cappello; in questo caso l’aspetto generale è che tutti gli scritti che avanzano pretese simili contengono strani assunti che sono introdotti di soppiatto ai lettori in un modo non trasparente.

E la domanda è: perché? Quali motivazioni ci sarebbero per inventare complicati modelli che rigettano la sapienza tradizionale in fatto di politica monetaria? La risposta giusta sarebbe: se si è in presenza di un importante mistero che viene dai fatti. Ma si sa che non c’è. I neo-fisheriani si agitano su tale questione, cercando di trovare qualche ragione per la quale l’inflazione che avevano previsto non si è avverata – ma la sola ragione per la quale trovano questo fallimento previsionale così misterioso è il fatto che rifiutano di accettare la risposta che i keynesiani hanno correttamente adottato da molto tempo.

 

 

[1] Da Irving Fisher, importante economista americano del secolo scorso. Varie volte Krugman si è espresso per una più adeguata valutazione dell’importanza di questo economista, in modo particolare riferendosi alle sue intuizioni sui meccanismi che possono innescare una recessione/depressione originata dai debiti, o meglio da un contemporaneo brusco tentativo di riduzione dei debiti da parte dell’intero settore privato. Ma in questo caso sembrerebbe che ci siano di recente utilizzi di parti del pensiero di Fisher che vanno in una diversa direzione (e che non so a chi attribuire).

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