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L’economia alle basse, di Paul Krugman New York Times 23 novembre 2014

 

Rock Bottom Economics

The Inflation and Rising Interest Rates That Never Showed Up

NOV. 23, 2014

Paul Krugman

z 259

 

 

 

 

 

 

 

 

Six years ago the Federal Reserve hit rock bottom. It had been cutting the federal funds rate, the interest rate it uses to steer the economy, more or less frantically in an unsuccessful attempt to get ahead of the recession and financial crisis. But it eventually reached the point where it could cut no more, because interest rates can’t go below zero. On Dec. 16, 2008, the Fed set its interest target between 0 and 0.25 percent, where it remains to this day.

The fact that we’ve spent six years at the so-called zero lower bound is amazing and depressing. What’s even more amazing and depressing, if you ask me, is how slow our economic discourse has been to catch up with the new reality. Everything changes when the economy is at rock bottom — or, to use the term of art, in a liquidity trap (don’t ask). But for the longest time, nobody with the power to shape policy would believe it.

What do I mean by saying that everything changes? As I wrote way back when, in a rock-bottom economy “the usual rules of economic policy no longer apply: virtue becomes vice, caution is risky and prudence is folly.” Government spending doesn’t compete with private investment — it actually promotes business spending. Central bankers, who normally cultivate an image as stern inflation-fighters, need to do the exact opposite, convincing markets and investors that they will push inflation up. “Structural reform,” which usually means making it easier to cut wages, is more likely to destroy jobs than create them.

This may all sound wild and radical, but it isn’t. In fact, it’s what mainstream economic analysis says will happen once interest rates hit zero. And it’s also what history tells us. If you paid attention to the lessons of post-bubble Japan, or for that matter the U.S. economy in the 1930s, you were more or less ready for the looking-glass world of economic policy we’ve lived in since 2008.

But as I said, nobody would believe it. By and large, policy makers and Very Serious People in general went with gut feelings rather than careful economic analysis. Yes, they sometimes found credentialed economists to back their positions, but they used these economists the way a drunkard uses a lamppost: for support, not for illumination. And what the guts of these serious people have told them, year after year, is to fear — and do — exactly the wrong things.

Thus we were told again and again that budget deficits were our most pressing economic problem, that interest rates would soar any day now unless we imposed harsh fiscal austerity. I could have told you that this was foolish, and in fact I did, and sure enough, the predicted interest rate spike never happened — but demands that we cut government spending now, now, now have cost millions of jobs and deeply damaged our infrastructure.

We were also told repeatedly that printing money — not what the Fed was actually doing, but never mind — would lead to “currency debasement and inflation.” The Fed, to its credit, stood up to this pressure, but other central banks didn’t. The European Central Bank, in particular, raised rates in 2011 to head off a nonexistent inflationary threat. It eventually reversed course but has never gotten things back on track. At this point European inflation is far below the official target of 2 percent, and the Continent is flirting with outright deflation.

But are these bad calls just water under the bridge? Isn’t the era of rock-bottom economics just about over? Don’t count on it.

It’s true that with the U.S. unemployment rate dropping, most analysts expect the Fed to raise interest rates sometime next year. But inflation is low, wages are weak, and the Fed seems to realize that raising rates too soon would be disastrous. Meanwhile, Europe looks further than ever from economic liftoff, while Japan is still struggling to escape from deflation. Oh, and China, which is starting to remind some of us of Japan in the late 1980s, could join the rock-bottom club sooner than you think.

So the counterintuitive realities of economic policy at the zero lower bound are likely to remain relevant for a long time to come, which makes it crucial that influential people understand those realities. Unfortunately, too many still don’t; one of the most striking aspects of economic debate in recent years has been the extent to which those whose economic doctrines have failed the reality test refuse to admit error, let alone learn from it. The intellectual leaders of the new majority in Congress still insist that we’re living in an Ayn Rand novel; German officials still insist that the problem is that debtors haven’t suffered enough.

This bodes ill for the future. What people in power don’t know, or worse what they think they know but isn’t so, can very definitely hurt us.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’economia alle basse. L’inflazione e la crescita dei tassi di interesse che non ci sono mai stati. Di Paul Krugman

New York Times 23 novembre 2014

Sei anni fa la Federal Reserve toccò il fondo. Stava tagliando più o meno febbrilmente il tasso di riferimento sui finanziamenti federali, il tasso di interesse che si utilizza per indirizzare l’economia, nel vano tentativo di superare la recessione e la crisi finanziaria. Ma era arrivata al punto nel quale non si poteva più fare tagli, perché i tassi di interesse non possono andare sotto lo zero. Il 16 dicembre del 2008 la Fed stabilì il suo tasso di interesse fissato come obbiettivo tra lo 0 e lo 0,25 per cento, dove rimane ancora oggi.

Il fatto che si siano spesi sei anni al cosiddetto limite inferiore dello zero è sorprendente e deprimente. Quello che è ancora di più sorprendente e deprimente, se volete la mia opinione, è con quanta lentezza il nostro dibattito economico si sia messo al passo con la nuova realtà. Ogni cosa cambia quando l’economia è al suo livello più basso – o, per usare il termine tecnico, in una trappola di liquidità (tralasciamo la spiegazione). Ma per lunghissimo tempo, nessuno tra quelli che avevano il potere di fare le scelte politiche l’avrebbe creduto.

Cosa intendo dicendo che tutto cambia? Come scrissi a quei tempi, in una economia al punto più basso “le normali regole dell’economia non si applicano più: la virtù diventa vizio, la cautela è rischiosa e la prudenza è folle”. La spesa pubblica non è in competizione con l’investimento privato – in effetti essa promuove la spesa delle imprese. I banchieri centrali, che normalmente coltivano una immagine di rigidi combattenti contro l’inflazione, hanno bisogno di fare esattamente l’opposto, convincendo i mercati e gli investitori che spingeranno in alto l’inflazione. Le “riforme strutturali”, che solitamente significano rendere più semplice il taglio dei salari, è più probabile che distruggano posti di lavoro, invece di crearne.

Tutto questo può sembrare esagerato e radicale, ma non è così. Di fatto, è quello che l’analisi economica convenzionale dice che accade quando i tassi di interesse raggiungono lo zero. Ed è anche quello che ci racconta la storia. Se avevate prestato attenzione alle lezioni del Giappone dopo la bolla, o nello stesso senso all’economia americana negli anni ’30, eravate più o meno pronti per quella sorta di mondo speculare della politica economica nel quale abbiamo vissuto a partire dal 2008.

Ma, come ho detto, nessuno volle crederci. In linea di massima, coloro che hanno responsabilità nella cosa pubblica e le Persone Molto Serie [1], sono più soliti procedere sulla base di presentimenti che di una analisi economica scrupolosa. E’ vero, talvolta hanno trovato economisti accreditati che sostenevano le loro posizioni, ma li hanno usati un po’ come gli ubriachi si servono dei pali della luce; come sostegni, non per l’illuminazione. E quello che le viscere di queste persone serie, anno dopo anno, dicevano loro era di temere – e di fare – precisamente le cose sbagliate.

Di conseguenza abbiamo sentito ripetere in continuazione che i deficit di bilancio erano il nostro problema economico più pressante, che i tassi di interesse sarebbero schizzati alle stelle da un momento all’altro se non avessimo imposto una severa austerità alle finanze pubbliche. Avrei potuto ben spiegarvi che si trattava di una scemenza, e in effetti lo feci, e di fatto il rialzo dei tassi di interesse non c’è mai stato – ma le richieste di tagliare la spesa pubblica senza un attimo di esitazione sono costate milioni di posti di lavoro ed hanno danneggiato profondamente le nostre infrastrutture.

C’è stato anche raccontato di continuo che stampare moneta – non è quello che in verità la Fed stava facendo, ma lasciamo perdere – avrebbe condotto “ad una perdita di valore della valuta ed all’inflazione”. La Fed, va detto a suo credito, resistette a queste pressioni, ma altre banche centrali non lo fecero. La Banca Centrale Europea, in particolare, elevò i tassi nel 2011 per sbarrare la strada ad una inesistente minaccia inflazionistica. Alla fine cambiò indirizzo, ma senza riuscire a rimettersi in carreggiata. A questo punto l’inflazione europea è assai al di sotto dell’obbiettivo ufficiale del 2 per cento, e il continente è a tu per tu con una aperta deflazione.

Ma questi pessimi annunci sono soltanto acqua che scorre sotto il ponte? L’epoca dell’economia ai minimi termini non sta per l’appunto tramontando? Non contateci.

E’ vero che con il tasso di disoccupazione in calo negli Stati Uniti, la maggioranza degli analisti si aspetta che la Fed prima o poi alzi i tassi di interesse, nel corso del prossimo anno. Ma l’inflazione è bassa, i salari sono deboli, e la Fed sembra comprendere che elevare i tassi troppo presto sarebbe disastroso. Nel frattempo, l’Europa sembra più lontana che mai da un decollo dell’economia, mentre il Giappone sta ancora lottando per venir fuori dalla deflazione. Per non dire che la Cina, che ad alcuni di noi comincia a rassomigliare al Giappone degli ultimi anni ’80, potrebbe unirsi al club delle economie ai minimi termini più presto di quanto si pensi.

Dunque, le realtà inaspettate della politica economica quando si raggiunge il limite inferiore dello zero è probabile che restino rilevanti per lungo tempo, il che fa diventare molto importante che le persone influenti le comprendano. Sfortunatamente, sono in pochi a farlo; uno degli aspetti più stupefacenti del dibattito economico negli anni recenti è stata la misura nella quale coloro le cui dottrine economiche hanno fatto fallimento dinanzi alla prova dei fatti, si rifiutano di ammettere gli errori, tanto meno di imparare da essi. I leader intellettuali della nuova maggioranza del Congresso continuano a ragionare come se fossimo in un racconto di Ayn Rand [2]; i dirigenti tedeschi ripetono che il problema dei debitori è che non hanno sofferto abbastanza.

Tutto ciò non è di buon auspicio per il futuro. Quello che le persone al potere non conoscono, o peggio quello che credono di conoscere ma non sanno, può con assoluta certezza farci del male.

 

 

[1] Questa espressione scherzosa, come si può vedere nelle note sulla traduzione, è usata da Krugman da anni. Indica appunto quelli che nel dibattito politico si atteggiano alla massima pensosità, senza sapere esattamente di cosa parlano. L’espressione precedente, invece, “policy makers”, che alla lettera si tradurrebbe ‘operatori politici’, sta a significare l’intera categoria di coloro che fanno le scelte economiche e politiche, ma con un riferimento più rivolto a coloro che hanno particolari ruoli operativi – compresi, ad esempio, i banchieri centrali – che non ai dirigenti di partito.

[2] Scrittrice russo-americana del novecento, icona della destra americana. Vedi le note sulla traduzione.

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