Nov 28 11:50 am
Simon Wren-Lewis says most of what needs to be said about Tyler Cowen’s attempted riposte to my post about Keynes rising. I’d add that Cowen seems to have missed my point; I wasn’t talking about the merits of the Keynesian case, which I believe have always been overwhelming, but about the way macroeconomics is discussed in the media and among VSPs in general. My sense is that this is shifting in a Keynesian direction, while Cowen is arguing (wrongly, I’d say) that it shouldn’t shift because of Osborne or something. Wrong answer to the wrong question.
But I’d like to hone in on something else Simon notices: the reference to the “so-called liquidity trap.” This is something I still find, although less so: assertions that there is something odd or suspect about claims that the rules of economics change when policy interest rates hit the zero lower bound.
I can see how someone could have had that attitude in 2008 or even 2009, although not if he or she had paid any attention to Japan. But at this point we’ve been at the zero lower bound for six years; we’ve seen a 400 percent rise in the monetary base without a takeoff in inflation; we’ve seen record peacetime deficits go along with record low long-term interest rates. Liquidity trap economics aren’t a speculative hypothesis at this point, they’re the world we’ve been living in for years. How can that go unnoticed?
But there’s a lot of denial out there. Recently David Glasner deconstructed a WSJ op-ed calling for a return to the gold standard, which was as out of touch as you might expect. But what got me was the approving citation of Robert Mundell from 1971 (!) declaring that the Keynesian model was irrelevant to modern economies because it assumed pessimistic expectations and rigid wages. Right: no pessimism out there these days. And no sticky wages; oh, wait:
I mean, seriously, at this point even long-time skeptics about short-run wage and price stickiness are coming around in the face of overwhelming evidence.
Oh, and treating the monetary approach to the balance of payments as the epitome of modern macroeconomics is just hilarious. That was the new thing when I was an undergraduate econ major; to the extent that it was any use at all, its usefulness was restricted to countries with independent currencies but fixed exchange rates. It has been pretty much irrelevant since the collapse of Bretton Woods and is almost completely forgotten among serious international economists.
The resistance of much economic discussion to the facts of the world around us — the facts in front of our noses — is quite extraordinary, particularly if you compare it with what happened in the 1970s. The 70s of legend — the era of stagflation and all that — lasted maybe 7 years, from around 1973 to 1979 or 1980. Yet that stretch of time is constantly cited to this day as having refuted everything we supposedly knew about macroeconomics. So here we are, 40 years later, after six-plus years at the ZLB, with sticky prices and wages all around, etc., etc., and a large number of economic commentators haven’t noticed a thing.
Macroeconomicamente, l’avete dinanzi al naso
Simon Wren-Lewis dice gran parte di quello che andava detto sul tentativo di risposta di Tyler Cowen al mio post sulla crescita del keynesismo. Aggiungerei che a Cowen sembra sfuggire il mio argomento; io non stavo parlando dei meriti della tesi keynesiana, che io credo siano sempre stati schiaccianti, ma sui modi nei quali la macroeconomia è discussa nei media e tra le Persone Molto Serie in generale. La mia sensazione è che questo sia uno spostamento in direzione del keynesismo, mentre Cowen sta sostenendo (erroneamente, credo io) che non dovrebbe spostarsi, a causa di Osborne o di qualcosa del genere. La risposta sbagliata alla domanda sbagliata.
Ma vorrei affinare qualcosa di quello che Simon osserva: il riferimento alla cosiddetta “trappola di liquidità”. Sebbene in modo minore, trovo ancora giudizi secondo i quali c’è qualcosa di strano o di sospetto negli argomenti realativi alle regole dell’economia, quando i tessi di interesse di riferimento raggiungono il limite inferiore dello zero.
Posso capire come qualcuno possa aver avuto quella tendenza nel 2008 o nel 2009, per quanto non se avesse prestato un qualche attenzione al Giappone. Ma a questo punto siamo al limite inferiore di zero da sei anni; abbiamo visto un aumento del 400 per cento nella base monetaria senza alcun decollo dell’inflazione; abbiamo visto deficit record in tempi di pace andare di pari passo con tassi di interesse di lungo termine ai minimi storici. A questo punto l’economia della trappola di liquidità non è un’ipotesi speculativa, è il mondo nel quale stiamo vivendo da anni. Come può tutto questo restare inosservato?
Sennonché in giro c’è una gran quantità di ‘negazionismo’. Di recente David Glasner ha analizzato punto per punto un editoriale del Wall Street Journal che si pronunciava per un ritorno al gold standard, che era fuori dalla realtà come vi potete immaginare. Ma quello che mi ha lasciato perplesso è stata la citazione convinta di Robert Mundell del 1971 (!) che dichiarava che il modello keynesiano era irrilevante per le economie moderne perché assumeva aspettative pessimistiche e salari rigidi. E’ così: non c’è pessimismo in giro di questi tempi! E non c’è alcuna vischiosità nel salari. A meno che, aspettate:
[1]
Voglio dire, seriamente, che a questo punto persino gli scettici di lunga data sulla rigidità dei salari e dei prezzi nel breve periodo stanno tornando sui propri passi dinanzi alla schiacciante evidenza.
Infine, trattare l’approccio monetarista alla bilancia dei pagamenti alla stregua di un compendio dell’economia moderna è proprio comico. Quella era la novità quando ero uno studente universitario; nella misura in cui era di qualche utilità, tale utilità venne ristretta ai paesi con valute indipendenti ma con tassi di scambio fissi. E’ stata quasi del tutto irrilevante dal momento del crollo di Bretton Woods ed è quasi completamente dimenticata tra gli economisti internazionali seri.
La resistenza di gran parte del dibattito ai fatti del mondo che ci circonda – i fatti che stanno dinanzi ai nostri nasi – è abbastanza straordinaria, particolarmente se la confrontate con quello che accadde negli anni ’70. La leggenda degli anni ’70 – la stagflazione e tutto il resto – durò forse 7 anni, da circa il 1973 al 1979 o 1980. Tuttavia quel lasso di tempo è costantemente citato sino ad oggi come se avesse confutato tutto quello che supponiamo di conoscere sulla macroeconomia. Dunque siamo a questo punto, dopo quarant’anni, dopo sei anni e più al livello inferiore dello zero nei tassi di interesse, con i prezzi ed i salari rigidi, etc. etc., e un largo numero di commentatori economici che non si sono accorti di nulla.
[1] Questa tabella – che abbiamo trovato altre volte – mostra come persino nella brusca crisi spagnola i salari hanno avuto una andamento molto più ‘vischioso’ o rigido (sono i due modi nei quali si può tradurre, in questo caso, “sticky”). La tabella misura i cambiamenti che si sono determinati nei salari nei vari settori; attorno allo zero non c’è alcun cambiamento, mentre a sinistra ci sono riduzioni ed a destra incrementi. Come si vede, la differenza con il 2007-2008 è che allora vi furono solo incrementi, mentre nel 2012-2013 gran parte degli andamenti si concentrano sulla linea della assoluta assenza di modifiche.
By mm
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