Dec 30 3:41 pm
Right-wing economists like Stephen Moore and John Cochrane — it’s becoming ever harder to tell the difference — have some curious beliefs about history. One of those beliefs is that the experience of disinflation in the 1980s was a huge shock to Keynesians, refuting everything they believed. What makes this belief curious is that it’s the exact opposite of the truth. Keynesians came into the Volcker disinflation — yes, it was mainly the Fed’s doing, not Reagan’s — with a standard, indeed textbook, model of what should happen. And events matched their expectations almost precisely.
I’ve been cleaning out my library, and just unearthed my copy of Dornbusch and Fischer’s Macroeconomics, first edition, copyright 1978. Quite a lot of that book was concerned with inflation and disinflation, using an adaptive-expectations Phillips curve — that is, an assumed relationship in which the current inflation rate depends on the unemployment rate and on lagged inflation. Using that approach, they laid out at some length various scenarios for a strategy of reducing the rate of money growth, and hence eventually reducing inflation. Here’s one of their charts, with the top half showing inflation and the bottom half showing unemployment:
Not the cleanest dynamics in the world, but the basic point should be clear: cutting inflation would require a temporary surge in unemployment. Eventually, however, unemployment could come back down to more or less its original level; this temporary surge in unemployment would deliver a permanent reduction in the inflation rate, because it would change expectations.
And here’s what the Volcker disinflation actually looked like:
A temporary but huge surge in unemployment, with inflation coming down to a sustained lower level.
So were Keynesian economists feeling amazed and dismayed by the events of the 1980s? On the contrary, they were feeling pretty smug: disinflation had played out exactly the way the models in their textbooks said it should.
Indeed, it was the other side of the macro divide that was left scrambling for answers. The models Chicago was promoting in the 1970s, based on the work of Robert Lucas and company, said that unemployment should have come down quickly, as soon as people realized that the Fed really was bringing down inflation. By a few years into the 80s it was obvious that those models were unsustainable in the face of the data. But rather than admit that their dismissal of Keynes was premature, most of those guys went into real business cycle theory — basically, denying that the Fed had anything to do with recessions. And from there they just kept digging ever deeper into the rabbit hole.
But anyway, what you need to know is that the 80s were actually a decade of Keynesian analysis triumphant.
I keynesiani e la disinflazione di Volcker
Economisti di destra come Stephen Moore e John Cochrane – sta diventando sempre più difficile dire la differenza tra i due – hanno alcuni curiosi convincimenti sulla storia. Uno di essi è che l’esperienza della disinflazione degli anni ’80 fu un grande colpo per i keynesiani, confutando tutto quello in cui credevano. Quello che rende questo convincimento curioso è che esso è l’esatto opposto della verità. I keynesiani si approcciarono alla disinflazione di Volcker – che fu, in effetti, principalmente un risultato della Fed, non di Reagan – secondo un modello consueto, in effetti da libro di testo, su quello che sarebbe successo. E gli eventi corrisposero alle loro aspettative quasi precisamente.
Sto mettendo a posto la mia biblioteca ed ho appena disseppellito la mia copia della prima edizione del 1978 della Macroeconomia di Dornbusch e Fischer. Un bel po’ di quel libro riguardava l’inflazione e la disinflazione, utilizzando una curva di Phillips sulla base di aspettative che si adattano – vale a dire una supposta relazione per la quale il tasso attuale di inflazione dipende dal tasso di disoccupazione e dalla inflazione ritardata. Utilizzando quell’approccio, essi in qualche misura stendono vari scenari per una strategia di riduzione del tasso di crescita della moneta, e di conseguenza alla fine di riduzione dell’inflazione. Ecco alcuni dei loro diagrammi, con la metà superiore che mostra l’inflazione e la metà inferiore che mostra la disoccupazione [1]:
Non sono le dinamiche più limpide in assoluto, ma l’aspetto sostanziale dovrebbe essere chiaro: tagliare l’inflazione comporta un temporaneo incremento della disoccupazione. Alla fine, tuttavia, la disoccupazione si riabbassa più o meno al livello originario; questa temporanea crescita della disoccupazione provocherebbe una riduzione permanente del tasso di inflazione, giacché modificherebbe le aspettative.
Ed ecco a cosa la disinflazione di Volcker effettivamente assomigliò:
Una temporanea ma vasta crescita della disoccupazione [2], con una inflazione che scende in modo prolungato ad un livello più basso.
Dunque, gli economisti keynesiani furono sbigottiti e turbati per gli eventi degli anni ’80? Al contrario, furono abbastanza compiaciuti: la disinflazione aveva operato esattamente nei modi nei quali era previsto nei loro libri di testo.
In verità, fu l’altro versante dello schieramento macroeconomico che dovette arrampicarsi sugli specchi per le risposte. I modelli che la scuola di Chicago proponeva negli anni ’80, basati sul lavoro di Robert Lucas e compagni, dicevano che la disoccupazione avrebbe dovuto tornare in basso rapidamente, appena le persone avessero compreso che la Fed stata effettivamente abbassando l’inflazione. In un breve periodo, nel corso degli anni ’80, fu evidente che dinanzi ai dati quei modelli erano insostenibili. Ma piuttosto che ammettere che la loro liquidazione di Keynes era prematura, gran parte di quegli individui passarono alle teoria del ciclo economico reale – fondamentalmente negando che la Fed avesse niente a che fare con le recessioni. E da allora stanno mettendo sempre di più la testa nella sabbia [3].
Ma in ogni modo, quello che si deve sapere è che gli anni ’80 furono in verità un decennio trionfale per l’analisi keynesiana.
[1] Nei due diagrammi, la linea nera definita “cold turkey” è indicativa della soluzione più brusca. Nel gergo del trattamento delle dipendenze, “cold Turkey” (“tacchino freddo”) indica la soluzione basata su una improvvisa rottura delle abitudini di dipendenza precedenti, in contrasto con soluzioni più graduali ed assistite da farmaci.
[2] La linea rossa.
[3] Letteralmente l’espressione idiomatica è: “stanno scavando sempre più profondamente nella buca del coniglio”.
By mm
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