December 26, 2014 11:08 am
Robert Waldmann is shocked, shocked, to find conservative economists not doing their homework:
Even now, I am shocked that economists didn’t bother to look up the data on FRED before making nonsensical claims of fact.
I’m shocked that he’s shocked.
Waldmann’s issue is the relationship between government spending and growth in recent years, which everyone on the right knows has been negative, but is actually positive. Why, he asks, didn’t they look up the data — which takes only a few seconds on FRED — before making their claims?
But this is typical; it applies to issues across the board. The same people know that growth has been much faster since financial deregulation and the Reagan tax cuts, except that it hasn’t; they know that Reagan was the only president to oversee the creation of millions of jobs, because there never was a Clinton boom; they know that there has been unprecedented growth in government spending under Obama, when the reality is the opposite. At this point you shouldn’t be surprised.
Still, why this failure to do even the simplest homework? In general, people on the right seem to do economic history (and probably history in general) using the principle of 1066 And All That: “history is what you remember”, often what you sort of think you remember. They hear everyone around them saying stuff, repeat it, and that becomes what everyone knows; the idea of checking the facts themselves never seems to arise, indeed is almost anathema. I’ve had conversations in which people belligerently assert “I’m not impressed by your charts — you’ll never convince me that government spending has fallen under Obama.” Don’t bother me with facts!
But why this attitude? Mainly, I suppose, it’s the epistemic closure that comes from serving the interests of big money. There’s a world of think tanks that don’t want too much thinking, partisan media that don’t do fact-checking, and for that matter professional journals that erect high barriers against anything even vaguely Keynesian while uncritically publishing new classical stuff.
There’s also a more specific, wonkish issue. New classical macroeconomics decisively failed the reality test in the early 1980s, but rather than accepting this result, that camp rejected empirical testing. Instead, “empirical” work consisted of “calibrating” models to fit (some of) the data, using ever more abstruse techniques. One result, I suspect, was that conservative economists got out of the habit of looking at raw data; they could tell you about the moments of the distribution, but if you asked them what happened to unemployment and inflation between 1979 and 1989 they probably had no idea.
I will say, by the way, that writing for the Times — and especially doing so in the face of so much right-wing animosity — has been a useful discipline. In general, the Times maintains standards for fact-checking — and for explicit corrections when you get it wrong — that nobody else seems to. And I am especially careful, because so many people are gunning for me. So every assertion of fact in my columns does come with a source, usually visible in the links embedded in the online version. Oh, and for the haters: saying something that doesn’t match your opinion is not an error of fact.
But all this only proves my depravity. After all, the facts have a well-known liberal bias.
Il 1980 e tutto il resto
Robert Waldmann [1] è meravigliato, meravigliato di scoprire che gli economisti conservatori non si preparano sui loro argomenti:
“Anche a questo punto, sono colpito che economisti non si curino di osservare le statistiche sul data-base della Fed, prima di avanzare affermazioni di fatto prive di logica”.
Io sono sorpreso che lui sia sorpreso.
Il tema di Waldmann è la relazione tra spesa pubblica e crescita negli anni recenti, che tutti a destra sanno essere stata negativa, ma per la verità è stata positiva. Perché, si chiede, non danno un’occhiata ai dati – la qualcosa richiede pochi secondi sul data-base della Fed – prima di avanzare le loro tesi?
Ma questo è tipico: si applica a tematiche le più svariate. Le stesse persone sanno che la crescita è stata molto più veloce dopo la deregolamentazione finanziaria e gli sgravi fiscali di Reagan, salvo che non è così; essi sanno che Ronald Reagan fu l’unico Presidente a governare nel contesto di una creazione di milioni di posti di lavoro, perché non ci fu mai un boom nell’epoca di Clinton; sanno che c’è stata una crescita senza precedenti nella spesa pubblica con Obama, quando la realtà è quella opposta. A questo punto non si dovrebbe essere sorpresi.
Eppure, perché questa incapacità di fare persino i più semplici compiti a casa? In generale, le persone di destra sembrano fare la storia economica (e probabilmente la storia in generale) applicando il principio del “1066 e tutto il resto” [2]: “la storia è quanto si ricorda”, spesso quello che in qualche modo si pensa di ricordare. Essi sentono dire in giro da tutti certe cose, le ripetono e quello diventa ciò che tutti sanno; l’idea stessa di controllare i fatti non sembra mai comparire, in sostanza è una specie di bestemmia. Ho avuto conversazioni nelle quali individui aggressivamente asserivano: “Non mi fanno impressione i tuoi diagrammi – non mi convincerai mai che la spesa pubblica è caduta sotto Obama”. Non infastiditemi con i fatti!
Perché questa tendenza? Suppongo che principalmente si tratti della chiusura epistemica che deriva dal servire gli interessi delle grandi ricchezze. C’è un mondo di gruppi di ricerca che non vuole pensar troppo, media faziosi che non fanno alcuna verifica dei fatti, e per la stessa ragione riviste professionali che erigono alte barriere contro ogni cosa che sia anche vagamente keynesiano, nel mentre pubblicano acriticamente roba neo classica.
C’è anche un tema più specifico, per esperti. La macroeconomia neo classica decisamente non ha superato il test di realtà degli inizi degli anni ’80, ma piuttosto che prendere atto di questo risultato, quel settore ha rigettato il metodo delle prove empiriche. Invece, il lavoro ‘empirico’ è consistito nell’adattare (un po’) i dati, utilizzando tecniche sempre più astruse. Ho il sospetto che il risultato sia stato che gli economisti conservatori hanno perso l’abitudine di osservare i dati elementari; potrebbero parlarvi sui vari passaggi della distribuzione, ma se chiedeste loro cosa accadde alla disoccupazione e all’inflazione tra il 1979 ed il 1989, probabilmente non ne avrebbero idea.
Per inciso, devo dire che scrivere per il Times – e in particolare farlo a fronte di tanta animosità della destra – è stata una disciplina utile. In generale, il Times mantiene livelli standard che nessun altro sembra mantenere quanto a controllo dei fatti, e quanto ad esplicite correzioni ogni volta che si fanno sbagli. Ed io sono particolarmente scrupoloso, perché c’è tanta gente in giro pronta a impallinarmi. Cosicché ogni riferimento ad un fatto nei miei articoli compare assieme ad una fonte, normalmente visibile nelle correzioni inserite nella versione online. Inoltre, destinato in particolare agli amanti delle risse: dire qualcosa che non corrisponde alla vostra opinione non è un errore fattuale.
Ma sono cose che provano soltanto la mia depravazione. Dopo tutto, i fatti hanno una ben nota tendenza progressista.
[1] Economista statunitense che, se la ricerca è giusta, parrebbe anche esperto di tematiche sanitarie (laureato in biologia, ha pubblicato lavori sulla mortalità infantile, assieme ad analisi economiche in collaborazione con J. Bradford DeLong e Lawrence Summer), nonché parrebbe docente all’Università di Roma – Tor Vergata.
[2] Pare sia un libro satirico sulla storia degli Scozzesi.
By mm
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