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Jean-Claude Yellen (dal blog di Krugman, 10 dicembre 2014)

 

Jean-Claude Yellen

December 10, 2014 2:34 pm

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The Fed definitely seems to be gearing up for monetary tightening, even though inflation remains below target. And I’m with Ryan Avent: this will, if it happens, be a big mistake — just as Jean-Claude Trichet’s decision to raise rates in Europe in 2011 was a big mistake, just as the Swedish Riksbank’s early rate hike was a mistake, just as Japan’s rate hike in 2000 was a mistake.

And you would think that the Fed would understand that. In fact, I suspect it does, and is somehow letting itself be bullied into doing the wrong thing anyway. More on that in a minute.

First, on the policy substance: The point is not that we know that we’re still far from full employment. I think we are, but the truth is that I don’t know, you don’t know, and Stan Fischer doesn’t know. So the question is one of weighing the risks. And the fact is that the damage the Fed would do if it hikes rates too soon vastly outweighs the damage it would do if it waits too long.

Suppose the Fed waits too long. Well, inflation ticks up — probably not much, since the short-run Phillips curve looks very flat. And the Fed has the tools to rein the economy in. It would be annoying, unpleasant, and no doubt there would be Congressional hearings berating the Fed for debasing the dollar etc.. But not a really big problem.

Suppose, on the other hand, that the Fed raises rates, and it turns out that it should have waited. This could all too easily prove disastrous. The economy could slide into a low-inflation trap in which zero interest rates aren’t low enough to achieve escape — which has happened in Japan and is pretty clearly happening in the euro area. Also, there is now very strong reason to suspect that a protracted slump will inflict large losses on the economy’s future productive capacity.

And if someone tells you that these risks aren’t that big, consider this: we used to be told that 2 percent inflation was enough to make the risks of hitting the zero lower bound minimal — less than 5 percent in any given year. In fact, however, of the roughly 20 years since inflation dropped to circa 2 percent, 6 years — 30 percent! — have been spent in a liquidity trap. This says that we should be very afraid of missing our chance to escape from the trap out of an urge to normalize monetary policy too soon.

The thing is, I know that Janet Yellen, Stan Fischer, and the Fed staff know this — they’re very familiar with recent history and all the relevant economic analysis. So why do they seem to be rhetorically preparing the ground for early rate hikes?

My guess — and it’s only that — is that they have, maybe without knowing it, been bludgeoned into submission by the constant attacks on easy money. Every day the financial press, many of the blogs, cable financial news, etc, are full of people warning that the Fed’s low-rate policy is distorting markets, building up inflationary pressure, endangering financials stability. Hard-money arguments, no matter how ludicrous, get respectful attention; condemnations of the Fed are constant. If I were a Fed official, I suspect that I would often find myself wishing that the bludgeoning would just stop, at least for a while — and perhaps begin looking for an opportunity to prove that I’m not an inflationary money-printer, that I can take away punchbowls too.

So my guess is that the Fed, given an improving US job market, is strongly tempted to buy some peace by hiking rates a little, just to quiet the critics for a few months.

But the objective case for a rate hike just isn’t there. The risks of premature tightening are huge, and should not be taken until we have a truly solid recovery that includes strong wage gains and inflation clearly on track to rise above target. We don’t have any of that, and if the Fed acts nonetheless, it has the makings of tragedy.

Jean-Claude Yellen [1]

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La Fed sembra stia definitivamente ingranando la marcia di una restrizione monetaria, anche se l’inflazione resta al di sotto dell’obbiettivo. Ed io concordo con Ryan Avent: questo, se accadrà, sarà un grave errore – proprio come la decisione di Jean-Claude Trichet di elevare i tassi nell’Europa del 2011 fu un grave errore, proprio come fu un errore il prematuro rialzo del tasso della Riksbank svedese, proprio come lo fu il rialzo del tasso in Giappone nel 2000.

E si penserebbe che la Fed sia nelle condizioni di capirlo. Di fatto, io ho il sospetto che lo capisca, e in qualche modo si sia intimorita da sola a fare in ogni caso la cosa sbagliata. Su questo verrò tra un attimo.

Anzitutto, la sostanza politica: il punto non è che noi sappiamo di essere ancora lontani dalla piena occupazione. Io penso che lo siamo, ma la verità è che non lo so, che non si sa, che Stan Fisher non lo sa. Cosicché la domanda è quella relativa a come si soppesano i rischi. E il fatto è che il danno che la Fed farebbe alzando i tassi troppo presto supera ampiamente il danno che farebbe se aspetta troppo a lungo.

Supponiamo che la Fed aspetti troppo a lungo. Ebbene, l’inflazione avrebbe un ritocco – probabilmente non elevato, dato che la curva di Phillips nel breve periodo appare piatta. E la Fed ha gli strumenti per tenere l’economia sotto controllo. Sarebbe fastidioso, spiacevole, e non c’è dubbio che ci sarebbero audizioni presso il Congresso nella quali si rimprovererebbe la Fed di svalutare il dollaro etc. Ma davvero non sarebbe un gran problema.

Supponiamo, d’altra parte, che la Fed elevi i tassi, e si scopra che avrebbe dovuto attendere. Potrebbe anche troppo facilmente dimostrarsi disastroso. L’economia potrebbe scivolare in una trappola di bassa inflazione nella quale i tassi di interesse allo zero non sono abbastanza bassi da ottenere una via d’uscita – che è quello che è accaduto nel Giappone ed abbastanza chiaramente sta accadendo nell’area euro. Inoltre, c’è oggi una ragione assai forte per sospettare che una crisi perdurante infliggerà ampie perdite alla futura capacità produttiva dell’economia.

E se qualcuno vi dice che questi rischi non sono così grandi, si consideri questo: eravamo abituati a sentir dire che un 2 per cento di inflazione era sufficiente a ridurre al minimo i rischi di sbattere sul limite inferiore dello zero – meno del cinque per cento per ogni anno [2]. Di fatto, tuttavia, nei grosso modo venti anni nel quali l’inflazione è scesa a circa il 2 per cento, 6 anni – il trenta per cento! – li abbiamo spesi in una trappola di liquidità. Questo ci dice che dovremmo essere molto intimoriti di perdere la nostra possibilità di sfuggire dalla trappola e del bisogno di normalizzare la politica monetaria in modo troppo rapido.

Il punto è che io so che Janet Yellen, Stan Fisher e lo staff della Fed sono al corrente di tutto questo – essi hanno familiarità con la storia recente e con tutte le analisi economiche importanti. Dunque, perché sembrano star preparando con la retorica del caso il terreno a prematuri rialzi del tasso?

La mia impressione – si tratta solo di questo – è che essi, magari senza accorgersene, siano stati forzati a sottomettersi dai continui attacchi sulla moneta facile. Ogni giorno la stampa finanziaria, molti blog, le reti dei notiziari finanziari etc. sono pieni di individui che mettono in guardia che la politica dei bassi tassi della Fed sta distorcendo i mercati, creando una pressione inflazionistica, mettendo a rischio la stabilità finanziaria. Gli argomenti per una valuta forte, non conta quanto ridicoli, ottengono una rispettosa attenzione; le condanne alla Fed sono continue. Se io fossi un dirigente della Fed, suppongo che mi ritroverei spesso a desiderare che quel martellamento semplicemente si interrompa, almeno per un po’ – e forse comincerei a cercare una opportunità per dimostrare che non sono un inflazionista creatore di moneta, che alla bisogna posso togliere di mezzo la tazza del ponce [3].

Dunque, la mia impressione è che la Fed, dato un miglioramento del mercato del lavoro statunitense, sia fortemente tentata di acquistarsi un po’ di pace innalzando un po’ i tassi, quello che basta per calmare i critici per alcuni mesi.

Ma la situazione oggettiva per un rialzo del tasso proprio non c’è. I rischi di una restrizione prematura sono ampi, e non si dovrebbe correre quei rischi sinché non si abbia una ripresa veramente solida che includa forti aumenti salariali ed una inflazione chiaramente prossima a salire oltre l’obbiettivo. Noi non abbiamo niente del genere, e se la Fed in ogni caso agisce, ci sono tutte le premesse di una tragedia.

 

 

[1] Come è evidente, l’ironia del titolo consiste nel combinare il nome del passato Presidente della BCE Trichet – Jean-Claude – con il cognome di Janet Yellen; ovvero di ipotizzare che la presidentessa della Fed, pur venendo da tutt’altra cultura economica, stia correndo lo stesso rischio che portò in Europa nel 2011 ad un abbastanza incredibile aumento del tasso di riferimento.

[2] Cioè, meno del 5 per cento di rischio.

[3] Espressione del gergo finanziario americano, che indica come il compito consueto di una banca centrale, quando l’economia si riprende, sia quello di restringere e di frenare gli entusiasmi (ovvero, togliere di mezzo gli alcoolici quando la festa si riscalda).

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