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La ripresa, finalmente? di Paul Krugman (New York Times 7 dicembre 2014)

 

Recovery at Last?

DEC. 7, 2014

Paul Krugman

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Last week we got an actually good employment report — arguably the first truly good report in a long time. The U.S. economy added well over 300,000 jobs; wages, which have been stagnant for far too long, picked up a bit. Other indicators, like the rate at which workers are quitting (a sign that they expect to find new jobs), continue to improve. We’re still nowhere near full employment, but getting there no longer seems like an impossible dream.

And there are some important lessons from this belated good news. It doesn’t vindicate policies that permitted seven years and counting of depressed incomes and employment. But it does put the lie to some of the nonsense you hear about why the economy has lagged.

Let’s talk first about reasons not to celebrate.

Things are finally looking better for American workers, but this improvement comes after years of suffering, with long-term unemployment in particular lingering at levels not seen since the 1930s. Millions of families lost their homes, their savings, or both. Many young Americans graduated into a labor market that didn’t want their skills, and will never get back onto the career tracks they should have had.

And the long slump hasn’t just scarred families; it has done immense damage to our long-run prospects. Estimates of the economy’s potential — the amount it can produce if and when it finally reaches full employment — have been steadily marked down in recent years, and many researchers now believe that the slump itself damaged future potential.

So it has been a terrible seven years, and even a string of good job reports won’t undo the damage. Why was it so bad?

You often hear claims, sometimes from pundits who should know better, that nobody predicted a sluggish recovery, and that this proves that mainstream macroeconomics is all wrong. The truth is that many economists, myself included, predicted a slow recovery from the very beginning. Why?

The answer, in brief, is that there are recessions and then there are recessions. Some recessions are deliberately engineered to cool off an overheated, inflating economy. For example, the Fed caused the 1981-82 recession with tight-money policies that temporarily sent interest rates to almost 20 percent. And ending that recession was easy: Once the Fed decided that we had suffered enough, it relented, interest rates tumbled, and it was morning in America.

But “postmodern” recessions, like the downturns of 2001 and 2007-9, reflect bursting bubbles rather than tight money, and they’re hard to end; even if the Fed cuts interest rates all the way to zero, it may find itself pushing on a string, unable to have much of a positive effect. As a result, you don’t expect to see V-shaped recoveries like 1982-84 — and sure enough, we didn’t.

This doesn’t mean that we were fated to experience a seven-year slump. We could have had a much faster recovery if the U.S. government had ramped up public investment and put more money in the hands of families likely to spend it. But the Obama stimulus was much too small and short-lived — as many of us warned, in advance, it would be — and since 2010 what we have actually seen, thanks to scorched-earth Republican opposition on all fronts, are unprecedented cutbacks in government spending, especially investment, and in government employment.

O.K., at this point I’m sure many readers are thinking that they’ve been hearing a very different story about what went wrong — the conservative story that attributes the sluggish recovery to the terrible, horrible, no-good attitude of the Obama administration. The president, we’re told, scared businesspeople by talking about “fat cats” on Wall Street and generally looking at them funny. Also, Obamacare has killed jobs, right?

Which is where the new job numbers come in. At this point we have enough data points to compare the job recovery under President Obama with the job recovery under former President George W. Bush, who also presided over a postmodern recession but certainly never insulted fat cats. And by any measure you might choose — but especially if you compare rates of job creation in the private sector — the Obama recovery has been stronger and faster. Oh, and its pace has picked up over the past year, as health reform has gone fully into effect.

Just to be clear, I’m not calling the Obama-era economy a success story. We needed faster job growth this time around than under Mr. Bush, because the recession was deeper, and unemployment stayed far too high for far too long. But we can now say with confidence that the recovery’s weakness had nothing to do with Mr. Obama’s (falsely) alleged anti-business slant. What it reflected, instead, was the damage done by government paralysis — paralysis that has, alas, richly rewarded the very politicians who caused it.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La ripresa, finalmente?, di Paul Krugman

New York Times 7 dicembre 2014

La scorsa settimana abbiamo avuto un rapporto sull’occupazione effettivamente buono – probabilmente il primo realmente buono da molto tempo. L’economia americana è cresciuta di 300.000 posti di lavoro; i salari, che erano stati stagnanti per troppo tempo, sono un po’ saliti. Altri indicatori, come il tasso al quale i lavoratori lasciano il posto di lavoro (un segno che si aspettano di trovarne di nuovi), continua a migliorare. Non siamo ancora per nulla vicini alla piena occupazione, ma arrivarci non sembra più un sogno impossibile.

E ci sono alcune importanti lezioni da queste tardive buone notizie. Esse non risarciscono le politiche che ci hanno costretto per sette anni e passa a redditi e occupazione depressi. Ma sbugiardano alcune delle sciocchezze in circolazione sulle ragioni per le quali l’economia era in ristagno.

Parliamo dunque anzitutto delle ragioni per la quali non è il caso di festeggiare.

Le cose si stanno mettendo meglio per i lavoratori americani, ma questo miglioramento viene dopo anni di sofferenza, in particolare con una disoccupazione di lungo periodo che persiste a livelli che non si erano visti dagli anni ’30. Milioni di famiglie hanno perso le loro case, il loro risparmi, o tutte e due le cose. Molti giovani americani si sono laureati con un mercato del lavoro che non voleva le loro competenze, e non riavranno più le carriere che avrebbero dovuto avere.

E la lunga crisi non ha soltanto lasciato uno sfregio sulle famiglie; ha anche provocato un danno immenso alle nostre prospettive di lungo periodo. Le stime del potenziale dell’economia – il complesso di beni che essa può produrre se e quando raggiunge la piena occupazione – sono state costantemente ribassate negli anni recenti; e molti ricercatori ora credono che la crisi in se stessa abbia danneggiato il nostro potenziale.

Dunque, sono stati sette anni terribili e persino una serie di rapporti positivi sui posti di lavoro non potrà disfare il danno. Perchè le cose sono andate in modo così negativo?

Si sente spesso argomentare, talvolta da parte di addetti ai lavori che dovrebbero saperne di più, che nessuno aveva previsto una ripresa stentata, e che questo dimostra che la teoria economica prevalente è tutta sbagliata. La verità è che molti economisti, incluso il sottoscritto, avevano previsto una ripresa lenta proprio sin dall’inizio. Perché?

In breve, la risposta è che ci sono recessioni diverse. Alcune sono deliberatamente provocate per raffreddare una economia che si surriscalda, che gonfia su se stessa. Ad esempio, la Fed provocò la recessione del 1981-1982 con politiche di restrizione monetaria che spedirono i tassi di interesse a quasi il 20 per cento. Porre termine a quella recessione fu semplice: allorché la Fed decise che avevamo sofferto abbastanza, rallentò, i tassi di interesse crollarono, e fummo al “buongiorno America” [1].

Ma le recessioni “postmoderne”, come le crisi del 2001 e del 2007-2009, sono conseguenze dello scoppio di bolle più che di politiche monetarie restrittive, e ad esse è difficile porre un termine; persino se la Fed tagliasse i tassi di interesse fino al limite dello zero, può finire col ritrovarsi a spingere a vuoto [2], incapace di avere un particolare effetto positivo. Di conseguenza, non ci si aspetta di assistere a riprese a forma di “V” – e di fatto non l’abbiamo vista.

Questo non significa che l’esperienza di sette anni di crisi era nel nostro destino. Avremmo potuto avere una ripresa molto più veloce se il Governo degli Stati Uniti avesse intensificato l’investimento pubblico e messo più soldi nelle tasche di quelle famiglie che era probabile li spendessero. Ma le misure di sostegno di Obama erano troppo modeste e di troppo breve durata – come molti di noi ammonirono in anticipo – e dal 2010, quello che abbiamo visto, grazie alla opposizione da ‘terra-bruciata’ su tutti i fronti da parte dei repubblicani, sono stati tagli senza precedenti alla spesa pubblica, specialmente agli investimenti, ed al pubblico impiego.

Lo so, a questo punto sono sicuro che molti lettori stanno pensando di aver sentito raccontare una storia assai diversa su quello che è stato sbagliato – il racconto dei conservatori che attribuisce la stentata ripresa alla terribile, orrenda inettitudine della Amministrazione Obama. Il Presidente, raccontano costoro, ha atterrito il mondo delle imprese parlando dei “ricconi” di Wall Street e in generale guardandoli con antipatia. Inoltre, la legge sulla assistenza di Obama ha distrutto posti di lavoro, non si dice anche questo?

E qua è dove i nuovi dati sui posti di lavoro entrano in scena. A questo punto abbiamo abbastanza punti di riferimento per confrontare la ripresa nei posti di lavoro con Obama con quella del passato Presidente George W. Bush, il quale anche governò in un recessione postmoderna ma certamente non insultò mai le persone facoltose. E, qualsiasi metro di misura scegliate, – ma specialmente se mettete a confronto i tassi di creazione di posti di lavoro nel settore privato – la ripresa con Obama è stata più forte e più rapida. Inoltre il suo ritmo si è risollevato nell’anno passato, quando la riforma sanitaria è entrata pienamente in funzione.

Per chiarezza, non sto dicendo che l’economia nell’epoca di Obama sia stata una storia di successi. In questa occasione avevamo bisogno di una crescita di posti di lavoro più rapida che ai tempi di Bush, e la disoccupazione è rimasta assai più elevata per un tempo anch’esso troppo lungo. Ma adesso possiamo affermare con convinzione che la debolezza della ripresa non ha niente a che fare con la falsa pretesa di un orientamento ostile alle imprese da parte di Obama. Essa era piuttosto il riflesso del danno prodotto dalla paralisi del Governo – paralisi che, ahimè, ha riccamente compensato proprio quelli uomini politici che la avevano provocata.

 

 

 

[1] Ovvero, al titolo che ebbe una fortunata trasmissione radiofonica di Ronald Reagan, che divenne quasi il simbolo del suo successivo successo elettorale.

[2] Da Wikipedia (in lingua inglese): “Se siete legati a qualcosa con un filo, potete cercare di muoverla verso di voi tirandola nella vostra direzione, ma non potete allontanarla da voi spingendo il filo. E’ spesso usata nel contesto delle politica economica, in particolare a proposito del punto di vista secondo il quale la politica monetaria è asimmetrica, essendo più facile bloccare una espansione che interrompere una grave contrazione”. Non mi pare che in italiano tradurre con “spingere il filo” sarebbe chiarissimo.

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