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La vendetta di Wall Street, di Paul Krugman New York Times 14 dicembre 2014

 

Wall Street’s Revenge

Dodd-Frank Damaged in the Budget Bill

DEC. 14, 2014

Paul Krugman

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On Wall Street, 2010 was the year of “Obama rage,” in which financial tycoons went ballistic over the president’s suggestion that some bankers helped cause the financial crisis. They were also, of course, angry about the Dodd-Frank financial reform, which placed some limits on their wheeling and dealing.

The Masters of the Universe, it turns out, are a bunch of whiners. But they’re whiners with war chests, and now they’ve bought themselves a Congress.

Before I get to specifics, a word about the changing politics of high finance.

Most interest groups have stable political loyalties. For example, the coal industry always gives the vast bulk of its political contributions to Republicans, while teachers’ unions do the same for Democrats. You might have expected Wall Street to favor the G.O.P., which is always eager to cut taxes on the rich. In fact, however, the securities and investment industry — perhaps affected by New York’s social liberalism, perhaps recognizing the tendency of stocks to do much better when Democrats hold the White House — has historically split its support more or less equally between the two parties.

But that all changed with the onset of Obama rage. Wall Street overwhelmingly backed Mitt Romney in 2012, and invested heavily in Republicans once again this year. And the first payoff to that investment has already been realized. Last week Congress passed a bill to maintain funding for the U.S. government into next year, and included in that bill was a rollback of one provision of the 2010 financial reform.

In itself, this rollback is significant but not a fatal blow to reform. But it’s utterly indefensible. The incoming congressional majority has revealed its agenda — and it’s all about rewarding bad actors.

So, about that provision. One of the goals of financial reform was to stop banks from taking big risks with depositors’ money. Why? Well, bank deposits are insured against loss, and this creates a well-known problem of “moral hazard”: If banks are free to gamble, they can play a game of heads we win, tails the taxpayers lose. That’s what happened after savings-and-loan institutions were deregulated in the 1980s, and promptly ran wild.

Dodd-Frank tried to limit this kind of moral hazard in various ways, including a rule barring insured institutions from dealing in exotic securities, the kind that played such a big role in the financial crisis. And that’s the rule that has just been rolled back.

Now, this isn’t the death of financial reform. In fact, I’d argue that regulating insured banks is something of a sideshow, since the 2008 crisis was brought on mainly by uninsured institutions like Lehman Brothers and A.I.G. The really important parts of reform involve consumer protection and the enhanced ability of regulators both to police the actions of “systemically important” financial institutions (which needn’t be conventional banks) and to take such institutions into receivership at times of crisis.

But what Congress did is still outrageous — and both sides of the ideological divide should agree. After all, even if you believe (in defiance of the lessons of history) that financial institutions can be trusted to police themselves, even if you believe the grotesquely false narrative that bleeding-heart liberals caused the financial crisis by pressuring banks to lend to poor people, especially minority borrowers, you should be against letting Wall Street play games with government-guaranteed funds. What just went down isn’t about free-market economics; it’s pure crony capitalism.

And sure enough, Citigroup literally wrote the deregulation language that was inserted into the funding bill.

Again, in itself last week’s action wasn’t decisive. But it was clearly the first skirmish in a war to roll back much if not all of the financial reform. And if you want to know who stands where in this coming war, follow the money: Wall Street is giving mainly to Republicans for a reason.

It’s true that most of the political headlines these past few days have been about Democratic division, with Senator Elizabeth Warren urging rejection of a funding bill the White House wanted passed. But this was mainly a divide about tactics, with few Democrats actually believing that undoing Dodd-Frank is a good idea.

Meanwhile, it’s hard to find Republicans expressing major reservations about undoing reform. You sometimes hear claims that the Tea Party is as opposed to bailing out bankers as it is to aiding the poor, but there’s no sign that this alleged hostility to Wall Street is having any influence at all on Republican priorities.

So the people who brought the economy to its knees are seeking the chance to do it all over again. And they have powerful allies, who are doing all they can to make Wall Street’s dream come true.

 

 

 

 

 

 

 

La vendetta di Wall Street

(sulla “La Dodd-Frank danneggiata dalla Legge di Bilancio) , di Paul Krugman

New York Times 14 dicembre 2014

 

Il 2010, per Wall Street, fu l’anno della “collera di Obama”, l’anno in cui i magnati della finanza si infuriarono per l’accenno del Presidente al fatto che alcuni banchieri avessero contribuito a provocare la crisi finanziaria. Sta di fatto che essi si arrabbiarono anche per la riforma finanziaria denominata Dodd-Frank, che aveva posto alcuni limiti ai loro intrallazzi.

E’ noto che i Padroni dell’Universo sono un gruppo di piagnoni. Ma si lamentano in materia di bottini di guerra, ed ora si sono comprati da soli un Congresso intero.

Prima di passare ai dettagli, una parola sul mutamento delle politica dell’alta finanza.

Gran parte dei gruppi di interesse hanno fedeltà politiche stabili. Per esempio, le industrie del carbone danno sempre la gran parte dei loro contributi politici ai repubblicani, mentre i sindacati degli insegnanti fanno lo stesso con i democratici. Vi sareste aspettati che Wall Street favorisca il Partito Repubblicano, che è sempre il più sollecito nel tagliare le tasse su ricchi. Di fatto, tuttavia, il settore dei titoli e degli investimenti – forse influenzato dal liberalismo sociale di New York, forse riconoscendo che le tendenza dei mercati azionari funziona assai meglio quando i democratici sono alla Casa Bianca – ha storicamente suddiviso più o meno equamente il suo sostegno tra i due partiti.

Ma tutto ciò è cambiato con l’entrata in scena della cosiddetta ‘collera’ di Obama. Wall Street sostenne in modo schiacciante Mitt Romney nel 2012, ed ha investito pesantemente ancora una volta sui repubblicani quest’anno. E la prima restituzione dei quell’investimento si è già realizzata. La scorsa settimana il Congresso ha approvato una proposta di legge per mantenere il finanziamento del Governo degli Stati Uniti il prossimo anno, e dentro tale proposta c’era un ridimensionamento di una disposizione della riforma del sistema finanziario del 2010.

In se stesso, quel ridimensionamento è un colpo significativo ma non fatale per la riforma. Ma è completamente indifendibile. La maggioranza del Congresso che entra in carica ha svelato il suo programma – e riguarda tutto i premi ai cattivi soggetti.

Dunque, a proposito di quella disposizione. Uno degli obbiettivi della riforma finanziaria era fermare le banche dalla assunzione di grandi rischi con i soldi dei depositanti. Perché? Ebbene, i depositi bancari sono assicurati contro le perdite, e questo crea il ben noto problema dell’ “azzardo morale”: se le banche sono libere di scommettere, possono giocare una partita nella quale se viene testa vincono loro e se viene croce perdono i contribuenti. Questo è quello che accadde dopo che gli istituti locali di credito vennero deregolamentati negli anni ’80, e immediatamente uscirono da ogni controllo.

La legge Dodd-Frank ha cercato in vari modi di limitare questo tipo di ‘azzardo morale’. inclusa una norma che fa divieto agli istituti assicurati di occuparsi di titoli esotici, di quel genere che ebbe un ruolo così grande nella crisi finanziaria. Ed è quella la norma che è stata di recente ridimensionata.

Ora, questa non è la morte della riforma finanziaria. Di fatto, direi che regolare le banche provviste di assicurazione è stato una specie di evento marginale, dal momento che la crisi del 2008 fu principalmente provocata da istituti non assicurati come Lehman Brothers ed A.I.G. Le parti realmente importanti della riforma riguardano la protezione degli utenti e l’aumentata possibilità per i regolatori sia di vigilare sugli istituti finanziari di “importanza sistemica” (che non sono necessariamente banche convenzionali), sia di condurre tali istituti in amministrazione controllata in tempi di crisi.

Ma tuttavia, ciò che ha fatto il Congresso è offensivo – ed entrambi gli schieramenti dello spartiacque ideologico dovrebbero essere d’accordo. Dopo tutto, se anche credete (in barba alle lezioni della storia) che gli istituti finanziari possono essere ritenuti capaci di vigilare su se stessi, persino se credete alla storia falsa sino al grottesco secondo la quale le anime belle dei progressisti provocarono la crisi finanziaria spingendo le banche a fare credito alla povera gente, dovreste essere contrari a consentire a Wall Street di fare scommesse con finanziamenti garantiti dal Governo. Ciò che era davvero stato ridimensionato non riguardava l’economia di libero mercato; riguardava un vero e proprio capitalismo clientelare.

Ed è abbastanza noto che letteralmente Citigroup [1] abbia redatto l’espressione relativa alla deregolamentazione che è stata inserita nella proposta di legge finanziaria.

Lo ribadisco, in se stessa l’iniziativa della scorsa settimana non ha avuto effetti definitivi. Ma essa è stata chiaramente la prima schermaglia di una guerra che ha per oggetto il ridimensionamento di gran parte, se non di tutta, la riforma finanziaria. E se volete conoscere chi è schierato in questa guerra che si annuncia, basta andar dietro si soldi: c’è una ragione per la quale Wall Street li sta indirizzando principalmente ai repubblicani.

E’ vero che gran parte dei titoli sulla politica nei giorni passati hanno riguardato le divisioni tra i democratici, con la Senatrice Elizabeth Warring ce ha spinto per il rigetto di una legge finanziaria che la Casa Bianca intendeva far approvare. Ma queste sono state principalmente differenze relative alle tattiche, e sono effettivamente pochi i democratici che credono che disfare la legge Dodd-Frank sia una buona idea.

Nel frattempo, è difficile trovare repubblicani che esprimano riserve importanti sull’annullare la riforma. Talvolta si sentono affermazioni secondo le quali il Tea Party è egualmente contrario ai salvataggi dei banchieri che agli aiuti verso i poveri, ma non c’è alcun segno che questa pretesa ostilità verso Wall Street stia provocando la minima influenza sulle priorità repubblicane.

Dunque, la gente che mise l’economia in ginocchio ci sta provando nuovamente. Ed hanno alleati potenti, che stanno facendo tutto il possibile per realizzare il sogno di Wall Street.

 

 

[1] Citigroup Inc. è la più grande azienda di servizi finanziari del mondo. Nel 2005 risultava la terza più grande azienda in termini di capitalizzazione del mercato e la più grande in termini di asset. La formazione di Citigroup fu annunciata il 7 aprile 1998 attraverso una fusione tra Citicorp e Travelers Group. È stata la prima azienda statunitense a combinare i servizi bancari con quelli assicurativi dopo la Grande depressione. Aveva allora più di 300.000 dipendenti e oltre 200 milioni di conti correnti in 100 paesi. Secondo la classifica Forbes Global 2000 pubblicata nel 2008, si trattava della ventiquattresima società al mondo per importanza (vendite, utili, attivi e valore di mercato).

Negli anno 2008-2009, mentre la crisi dei mutui subprime inizia a svilupparsi, le forti esposizioni ai mutui “tossici” nelle forme di Collateralized debt obligations (CDOs), aggravate dalla cattiva gestione del rischio, portavano l’azienda in guai seri. All’inizio del 2007, Citigroup cominciò a eliminare il 5 per cento dei posti di lavoro in un progetto di ampia ristrutturazione per tagliare i costi e rafforzò le sue azioni, che avevano avuto a lungo prestazioni inadeguate. Dal novembre 2008, la crisi in corso colpì duramente Citigroup e nonostante l’aiuto monetario TARP federale, la società annunciò ulteriori tagli di personale, provocando oltre 100,000 disoccupati. Il suo valore di borsa scese a $20.5 miliardi, rispetto ai $244 miliardi di due anni prima. In seguito, Citigroup e i regolatori federali negoziarono un piano per stabilizzare la società.

 

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