Articoli sul NYT

Infuriati (come in Grecia), di Paul Krugman (New York Times, 11 dicembre 2014)

 

Mad as Hellas

DEC. 11, 2014

Paul Krugman

z 259

 

 

 

 

 

 

 

 

The Greek fiscal crisis erupted five years ago, and its side effects continue to inflict immense damage on Europe and the world. But I’m not talking about the side effects you may have in mind — spillovers from Greece’s Great Depression-level slump, or financial contagion to other debtors. No, the truly disastrous effect of the Greek crisis was the way it distorted economic policy, as supposedly serious people around the world rushed to learn the wrong lessons.

Now Greece appears to be in crisis again. Will we learn the right lessons this time?

What happened last time, you may recall, was the exploitation of Greece’s woes to change the economic subject. Suddenly, we were supposed to obsess over budget deficits, even if borrowing costs were at historic lows, and slash government spending, even in the face of mass unemployment. Because if we didn’t, you see, we could turn into Greece any day now. “Greece stands as a warning of what happens to countries that lose their credibility,” intoned David Cameron, Britain’s prime minister, as he announced austerity policies in 2010. “We are on the same path as Greece,” declared Representative Paul Ryan, who was soon to become the chairman of the House Budget Committee, that same year.

In reality, Britain and the United States, which borrow in their own currencies, were and are nothing like Greece. If you thought otherwise in 2010, by now year after year of incredibly low interest rates and low inflation should have convinced you. And the experience of Greece and other European countries that were forced into harsh austerity measures should also have convinced you that slashing spending in a depressed economy is a really bad idea if you can avoid it. This is true even in the supposed success stories — Ireland, for example, is finally growing again, but it still has almost 11 percent unemployment, and twice that rate among young people.

And the devastation in Greece is awesome to behold. Some press reports I’ve seen seem to suggest that the country has been a malingerer, balking at the harsh measures its situation demands. In reality, it has made huge adjustments — slashing public employment and compensation, cutting back social programs, raising taxes. If you want a sense of the scale of austerity, it would be as if the United States had introduced spending cuts and tax increases amounting to more than $1 trillion a year. Meanwhile, wages in the private sector have plunged. Yet a quarter of the Greek labor force, and half its young, remain unemployed.

Meanwhile, the debt situation has if anything gotten worse, with the ratio of public debt to G.D.P. at a record high — mainly because of falling G.D.P., not rising debt — and with the emergence of a big private debt problem, thanks to deflation and depression. There are some positives; the economy is growing a bit, finally, largely thanks to a revival of tourism. But, over all, it has been many years of suffering for very little reward.

The remarkable thing, given all that, has been the willingness of the Greek public to take it, to accept the claims of the political establishment that the pain is necessary and will eventually lead to recovery. And the news that has roiled Europe these past few days is that the Greeks may have reached their limit. The details are complex, but basically the current government is trying a fairly desperate political maneuver to put off a general election. And, if it fails, the likely winner in that election is Syriza, a party of the left that has demanded a renegotiation of the austerity program, which could lead to a confrontation with Germany and exit from the euro.

The important point here is that it’s not just the Greeks who are mad as Hellas (their own name for their country) and aren’t going to take it anymore. Look at France, where Marine Le Pen, the leader of the anti-immigrant National Front, outpolls mainstream candidates of both right and left. Look at Italy, where about half of voters support radical parties like the Northern League and the Five-Star Movement. Look at Britain, where both anti-immigrant politicians and Scottish separatists are threatening the political order.

It would be a terrible thing if any of these groups — with the exception, surprisingly, of Syriza, which seems relatively benign — were to come to power. But there’s a reason they’re on the rise. This is what happens when an elite claims the right to rule based on its supposed expertise, its understanding of what must be done — then demonstrates both that it does not, in fact, know what it is doing, and that it is too ideologically rigid to learn from its mistakes.

I have no idea how events in Greece are about to turn out. But there’s a real lesson in its political turmoil that’s much more important than the false lesson too many took from its special fiscal woes.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Infuriati (come in Grecia) [1], di Paul Krugman

New York Times, 11 dicembre 2014

La crisi delle finanze pubbliche della Grecia scoppiò cinque anni orsono, ed i suoi effetti collaterali continuano a provocare un danno enorme all’Europa e al mondo. Ma non sto pensando agli effetti collaterali che potreste avere in mente – alle ripercussioni dalla crisi greca al livello di una Grande Depressione, o al contagio finanziario verso gli altri paesi debitori. No, il vero effetto disastroso della crisi greca fu il modo in cui essa distorse la politica economica, nel momento in cui le supposte persone serie di tutto il mondo si precipitarono a trarne le lezioni sbagliate.

Oggi la Grecia sembra essere nuovamente in crisi. Questa volta ne trarremo le lezioni giuste?

Quello che accadde la volta scorsa, ve lo ricordate, fu lo sfruttare i guai della Grecia per cambiare il tema all’ordine del giorno dell’economia. All’improvviso, fummo come ossessionati dai deficit di bilancio, anche se i costi dell’indebitamento erano ai minimi storici, e dai tagli alla spesa pubblica, anche di fronte ad una disoccupazione massiccia. Se non facevamo così, sapete, potevamo diventare, un giorno o l’altro, un altro caso greco. “La Grecia appare come un ammonimento di ciò che accade ai paesi che perdono la loro credibilità”, declamò David Cameron, primo ministro del Regno Unito, nel momento in cui annunciò le politiche di austerità nel 2010. “Siamo sullo stesso sentiero della Grecia”, dichiarò il congressista Paul Ryan, che di lì a poco, in quello stesso anno, sarebbe diventato Presidente della Commissione Bilancio della Camera.

In realtà, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, che si indebitano nelle loro valute, non avevano e non hanno niente di simile alla Grecia. Se la pensavate diversamente nel 2010, a questo punto i tassi di interesse anno dopo anno incredibilmente bassi e la bassa inflazione dovrebbero avervi convinto. Ed anche l’esperienza della Grecia e degli altri paesi europei che furono costretti a misure di dura austerità dovrebbero avervi convinto che tagliare la spesa in una economia depressa quando potete evitarlo, è davvero una pessima idea. Questo è vero persino per le pretese storie di successo – l’Irlanda, per esempio, è finalmente di nuovo in crescita, ma ha ancora quasi un 11 per cento di disoccupati, e il doppio di quel tasso tra i giovani.

Ed è terribile constatare la devastazione in Grecia. Alcuni resoconti giornalistici che ho letto sembrano suggerire che il paese si finga sofferente, rifuggendo le dure misure che la sua situazione richiede. In realtà, esso ha subito vasti cambiamenti – il taglio al pubblico impiego e ai compensi, la eliminazione di programmi sociali, gli aumenti delle tasse. Se volete farvi un’idea della misura dell’austerità, sarebbe come se gli Stati Uniti avessero introdotto tagli alla spesa ed incrementi fiscali per più di mille miliardi di dollari all’anno. Nel frattempo, i salari del settore privato sono crollati. Tuttavia un quarto della forza lavoro greca, e la metà dei suoi giovani, restano disoccupati.

Contemporaneamente, la situazione del debito è addirittura diventata peggiore, con la percentuale del debito pubblico sul PIL al suo massimo storico – non perché il debito sia aumentato, ma principalmente per la caduta del PIL – e con l’emergere di un grande problema del debito privato, grazie alla deflazione ed alla recessione. Ci sono alcuni aspetti positivi: l’economia sta crescendo un po’, finalmente, in gran parte grazie ad una ripresa del turismo. Ma, in conclusione, essa è rimasta molti anni in sofferenza per un risultato modestissimo.

Dato tutto questo, la cosa rilevante è stata la disponibilità dell’opinione pubblica greca a subirlo, ad accettare gli argomenti delle istituzioni politiche per i quali la sofferenza era necessaria ed avrebbe portato alla ripresa. E la novità che ha messo in subbuglio l’Europa nei giorni passati è il fatto che i Greci sembra abbiano raggiunto il loro punto limite. I dettagli sono complicati, ma in sostanza il Governo attuale sta cercando in modo abbastanza disperato di mettere in atto una manovra politica per rimandare le elezioni generali. E, se non ci riesce, il probabile vincitore il quelle elezioni sarà Syriza, un partito della sinistra che ha chiesto una rinegoziazione del programma di austerità, il che potrebbe portare ad uno scontro con la Germania e ad un’uscita dall’euro.

Il punto importante, in questo caso, non sono solo i Greci che sono matti completi (“Hellas” è lo stesso nome che danno al loro paese) e non hanno intenzione di proseguire in alcun modo. Si guardi alla Francia, dove Marine Le Pen, la leader del Fronte Nazionale contro gli immigrati, supera nei sondaggi i candidati più accreditati sia della destra che della sinistra. Si guardi all’Italia, dove circa la metà degli elettori sostengono partiti radicali come la Lega Nord ed il Movimento 5 Stelle. Si guardi all’Inghilterra, dove sia i politici ostili agli immigrati che i separatisti scozzesi stanno minacciando le consuetudini politiche.

Sarebbe una cosa terribile se qualcuno di questi gruppi – con la sorprendente eccezione di Syriza, che sembra un fenomeno relativamente benigno – arrivassero al potere. Ma c’è una ragione per la quale essi sono in crescita. Questo è quello che accade quando una classe dirigente pretende di aver diritto a governare basandosi sulla sua supposta esperienza, sulla sua capacità di riconoscere quello che si deve fare – e poi dimostra, nei fatti, sia che non sa cosa sta facendo, sia che è troppo rigida ideologicamente per imparare dai propri errori.

Non ho alcuna idea di come si svilupperanno gli eventi in Grecia. Ma c’è una lezione vera nel subbuglio della sua politica che è molto più importante della falsa lezione che in molti ne derivano, dalle sue particolari sofferenze in materia di finanza pubblica.

 

 

 

[1] Aggiornamento: Guido (13/01/2015) suggerisce questa interpretazione chiaramente giusta: che “mad as Hellas” sia un gioco di parole con “mad as hell” equivalente al nostro “inc… nero”.

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