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Perchè molti prezzi delle materie prime scendono negli Stati Uniti, mentre salgono in Europa, di Jeffrey Frankel (dal blog Vox, 24 dicembre 2014)

 

Why so many commodity prices are down in the US, yet up in Europe

Jeffrey Frankel 24 December 2014

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Oil prices plummeted 43% during the course of 2014 – good news for oil-importing countries, but bad news for Russia, Nigeria, Venezuela, and other oil exporters. Some attribute the price drop to the US shale-energy boom. Others cite OPEC’s failure to agree on supply restrictions.

But that is not the whole story. The price of iron ore is down, too. So are gold, silver, and platinum prices. And the same is true for sugar, cotton, and soybean prices. In fact, most dollar commodity prices have fallen since the beginning of the year. Though a host of sector-specific factors affect the price of each commodity, the fact that the downswing is so broadly shared – as is often the case with big price swings – suggests that macroeconomic factors are at work.

Factors driving the prices down

So, what macroeconomic factors could be driving down commodity prices? Perhaps it is deflation. But, though inflation is very low – even negative in a few countries – something more must be going on because commodity prices are falling relative to the overall price level. In other words, real commodity prices are falling.

The most common explanation is the global economic slowdown, which has diminished demand for energy, minerals, and agricultural products. Indeed, growth has slowed and GDP forecasts have been revised downward in most countries.

But the US is a major exception. The American expansion seems increasingly well established, with estimated annual growth even exceeding 4% over the last two quarters. Private employment has risen by more than 200,000 for each of the last ten consecutive months. And, yet, it is particularly in the US that commodity prices have been falling. The Economist’s euro-denominated Commodity Price Index, for example, has actually risen by 4% over the 12 months; it is only the Index in terms of dollars – which is what gets all the attention – that is down 6%.

That brings us to monetary policy, the importance of which as a determinant of commodity prices is often forgotten. Monetary tightening is widely anticipated in the US, with the Federal Reserve having ended quantitative easing in October and likely to raise short-term interest rates sometime in the coming year.

This recalls a familiar historical pattern:

  • Falling real (inflation-adjusted) interest rates in the 1970s, 2002-04, and 2007-08 were accompanied by rising real commodity prices (Barsky and Killian 2002, Frankel 2008, Hamilton 2009, Frankel and Rose 2010).
  • Sharp increases in US real interest rates in the 1980s sent dollar commodity prices tumbling (Frankel and Hardouvelis 1985).

There is something intuitive about the idea that when the Fed ‘prints money’, the money flows into commodities, among other places, and so bids their prices up. But, what, exactly, is the causal mechanism?

Monetary policy and commodity prices

In fact, there are four channels through which monetary policy affects real commodity prices, via the real interest rate (aside from whatever effect it has via the level of economic activity).

  • First, the extraction channel (Hotelling 1931). High interest rates reduce the price of non-renewable resources by increasing the incentive for extraction today rather than tomorrow, thereby boosting the pace at which oil is pumped, gold mined, or forests logged.
  • Second is the inventory channel (Frankel 1986, 2014). High rates also decrease firms’ desire to carry inventories. Think of oil held in tanks.
  • Third, the financialisation channel (Hamilton and Wu 2014). Portfolio managers respond to a rise in interest rates by shifting into treasury bills and out of commodity contracts – which are now an ‘asset class’.
  • Finally, the exchange rate channel (Frankel 2006). High real interest rates strengthen the domestic currency, thereby reducing the price of internationally traded commodities in domestic terms – even if the price has not fallen in foreign-currency terms.

US interest rates did not really rise in 2014, so most of these mechanisms are not yet directly at work. But speculators are thinking ahead and shifting out of commodities today in anticipation of future higher interest rates in 2015; the result has been to bring next year’s price decrease forward to today.

The fourth of the channels, the exchange rate, has already been functioning. The end of quantitative easing in the US has coincided with moves by the ECB and the Bank of Japan in the opposite direction – toward enhanced monetary stimulus through their own versions of QE. The result has been an appreciation of the dollar against the euro and the yen. The euro is down 10 % against the dollar over the last year and the yen is down 13%. That explains how so many commodity prices can be down in terms of dollars and yet up in terms of other currencies at the same time.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

24 dicembre 2014

 

Perchè molti prezzi delle materie prime scendono negli Stati Uniti, mentre salgono in Europa

di Jeffrey Frankel

I prezzi del petrolio sono precipitati del 43% nel corso del 2014 – una buona notizia per i paesi importatori di petrolio, ma una cattiva notizia per la Russia, la Nigeria, il Venezuela ed altri esportatori di petrolio. Alcuni attribuiscono la caduta del prezzo alla esplosione del materiale energetico da scisti bituminose negli Stati Uniti. Altri citano l’incapacità dei paesi dell’OPEC di addivenire ad un accordo sulle restrizioni dell’offerta.

Ma quella non è l’intera storia. Il prezzo del minerale ferroso è calato anch’esso. Altrettanto, i prezzi dell’oro, dell’argento e del platino. E lo stesso è vero per i prezzi dello zucchero, del cotone e della soia. Di fatto, gran parte dei prezzi in dollari delle materie prime sono caduti dall’inizio dell’anno [1]. Sebbene un mucchio di fattori specifici dei settori influenzi il prezzo di ciascuna materia prima, il fatto che la fase discendente sia in modo così generale diffusa – come spesso accade per le grandi oscillazioni dei prezzi – indica che fattori macroeconomici sono all’opera.

 

Fattori che spingono in basso i prezzi

 

Quali sono, dunque, i fattori macroeconomici che starebbero spingendo in basso i prezzi delle materie prime? Forse la deflazione. Ma, sebbene l’inflazione sia molto bassa – persino negativa in alcuni paesi – c’è qualcosa in più che sta accadendo, dato che i prezzi delle materie prime stanno scendendo rispetto al livello generale dei prezzi. In altre parole, i prezzi reali delle materie prima stanno calando.

La spiegazione più comune è il rallentamento economico globale, che ha diminuito la domanda di energia, di minerali e di prodotti agricoli. In effetti, nella maggioranza dei paesi la crescita è rallentata e le previsioni dei PIL sono state corrette verso il basso.

Ma gli Stati Uniti sono una accezione importante. L’espansione americana sembra sempre di più fondata su basi solide, con una crescita stimata annuale che, negli ultimi due trimestri, supera persino il 4%. L’occupazione nel settore privato è cresciuta per più di 200.000 unità per ciascuno degli ultimi dieci mesi consecutivi. E, tuttavia, è in particolare negli Stati Uniti che i prezzi delle materie prime stanno scendendo. L’Indice dei Prezzi al Consumo espresso in euro di The Economist, ad esempio, è effettivamente salito del 4% nel corso di dodici mesi; soltanto l’Indice in termini di dollari – che è quello che provoca tutta la attenzione – è sceso del 6%.

Questo ci riporta alla politica monetaria, l’importanza della quale come fattore determinante dei prezzi delle materie prime è spesso dimenticata. Negli Stati Uniti viene ampiamente prevista una restrizione monetaria, con la Federal Reserve che ha terminato la ‘facilitazione quantitativa’ ad ottobre e la probabile crescita dei tassi di interesse a breve termine prevista in qualche momento dell’anno nuovo.

Questo ci rammenta uno schema storico familiare:

  • La caduta dei tassi di interesse reali (corretti per l’inflazione) negli anni ’70, nel 2002-04 e nel 2007-08 fu accompagnata da una crescita dei prezzi reali delle materie prime (Barsky e Killian 2002, Frankel 2008, Hamilton 2009, Frankel e Rose 2010).
  • I bruschi aumenti dei tassi di interesse reali negli Stati Uniti negli anni ’80 fecero crollare i prezzi delle materie prime (Frankel e Hardouvelis 1985).

C’è qualcosa di intuitivo che quando la Fed ‘stampa moneta’, il denaro affluisce, tra gli altri luoghi, nelle materie prime e di conseguenza impone una risalita nei loro prezzi. Ma quale è esattamente il meccanismo che lo provoca?

 

Politica monetaria e materie prime

 

In sostanza, ci sono quattro canali attraverso i quali la politica monetaria influenza i prezzi reali delle materie prime, attraverso il tasso di interesse reale (a prescindere da qualsiasi effetto esso abbia attraverso il livello dell’attività economica).

 

  • Il primo, il canale della ‘estrazione’ (Hotelling, 1931). Gli alti tassi di interesse riducono il prezzo delle risorse non rinnovabili aumentando l’incentivo allo sfruttamento al presente piuttosto che al domani, in tal modo spingendo il ritmo al quale il petrolio e l’oro vengono estratti, o le foreste disboscate.
  • Il secondo è il canale delle scorte (Frankel 1986, 2014). Gli alti tassi attenuano la propensione delle imprese ad effettuare scorte. Si pensi al petrolio contenuto in grandi contenitori.
  • Il terzo è il canale della finanziarizzazione (Hamilton e Wu 2014). I gestori di fondi rispondono ad una crescita nei tassi di interesse spostandosi verso i buoni del Tesoro e fuori dai contratti di commodities [2]– che oggi sono ‘classi di investimenti finanziari’.
  • Infine, il canale del tasso di cambio (Frankel 2006). Alti tassi di interesse reali rafforzano le valute nazionali, di conseguenza riducendo il prezzo delle materie prime commerciate internazionalmente in termini nazionali – anche se i prezzi non sono caduti in termini di valuta straniera.

 

I tassi di interesse negli Stati Uniti non sono cresciuti nel 2014, cosicché gran parte di questi meccanismi non sono ancora direttamente all’opera. Ma gli speculatori guardano in avanti e riallocano i contratti di commodity in anticipo sui tassi futuri di interesse del 2015; il risultato è stato quello di anticipare ad oggi la diminuzione del prezzo del prossimo anno.

Il quarto canale, il tasso di cambio, è già entrato in funzione. La fine della facilitazione quantitativa negli Stati Uniti ha coinciso con i movimenti nella direzione opposta da parte della BCE e della Banca del Giappone – verso un potenziamento dello stimolo monetario per il tramite delle loro versioni della facilitazione quantitativa. Il risultato è stato un apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro e dello yen, L’euro è sceso del 10% rispetto al dollaro nel corso dell’anno passato e lo yen del 13%. Questo spiega come molti prezzi delle materie prime possano essere contemporaneamente scesi in termini di dollari e cresciuti nei termini di altre valute.

 

 

 

 

[1] Naturalmente, dell’anno 2014.

[2] In questo caso, mi pare che il termine non si riferisca genericamente a “materie prime”.

Commodity è un termine inglese che indica un bene per cui c’è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato ed è fungibile, cioè il prodotto è lo stesso indipendentemente da chi lo produce, come per esempio il petrolio o i metalli. Entrato oramai nel gergo commerciale ed economico, l’equivalente in italiano è bene indifferenziato[1]. Deriva dal francese commodité, col significato di ottenibile comodamente, pratico. Una commodity deve essere facilmente stoccabile e conservabile nel tempo, cioè non perdere le caratteristiche originarie (Wikipedia)

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