Jan 31 12:42 pm
Since they aren’t currently able to demand a return to the gold standard — and maybe a ban on paper money? — Republicans are pushing to mandate that the Fed follow the so-called Taylor rule, which relates short-term interest rates to unemployment (and/or the output gap) and inflation. John Taylor, not surprisingly, likes this idea. But it’s a really terrible idea, and not just for the reasons Tony Yates describes.
You see, we had this thing called the Great Recession, whose aftereffects are still very much with us. And you would think we should learn something from that experience.
The Taylor rule came into prominence during the Great Moderation, and for around 15 years that very moderation, which most monetary analysts expected to persist into the indefinite future, was widely viewed as vindication for the rule. But the future isn’t what it used to be. The comfortable outlook in which Taylorism flourished has proved to be a mirage, and it’s hard to see why we should want to impose a policy that has totally failed to deliver on its promises.
Specifically, during the heyday of the Taylor rule the general belief was that the zero lower bound was a minor issue as long as we had a little bit of expected inflation. One widely cited study found that
if monetary policy followed the prescriptions of the standard Taylor (1993) rule with an inflation target of 2 percent, the federal funds rate would be near zero about 5 percent of the time and the “typical” ZLB episode would last four quarters.
But here we are, with the Fed funds rate still close to zero 25 quarters after the fall of Lehman, and expected to stay there for at least a couple more quarters, which means that the ZLB will have been binding more than 25 percent of the time since inflation dropped to around 2 percent in the early 90s. The world has turned out to be a much more dangerous place than Taylor-rule enthusiasts imagined, so why impose a rule devised, we know now, by economists who completely misjudged the risks?
Now Taylor himself has an excuse and rationale: he claims that the whole financial crisis thing was because the Fed departed slightly from his version of the rule in the pre-crisis 2000s. But as Yates points out, this assigns an importance to monetary policy that is wildly at odds with the kind of modeling used to justify the rule in the first place. It also, as Yates does not point out, has the distinct whiff of someone inventing ever-more bizarre stories to avoid admitting having been wrong about something. This is not the kind of argument on which to base rules that permanently constrain policy.
Cattiva “Taylorizzazione”
Dal momento che non sono al momento nelle condizioni di chiedere un ritorno al gold standard – e magari la messa al bando delle banconote? – i repubblicani stanno facendo pressioni perché la Fed sia obbligata a seguire la cosiddetta ‘regola di Taylor’, che mette in relazione i tassi d’interesse a breve termine con l’occupazione (e/o il differenziale di produzione) e l’inflazione. A John Taylor, non sorprendentemente, questa idea piace. Ma è un’idea davvero terribile, e non solo per le ragioni che Tony Yates [1] descrive.
Come potete notare, noi abbiamo questa cosa chiamata Grande Recessione, i cui effetti postumi sono ancora in gran parte presso di noi. E si penserebbe che dovremmo apprendere qualcosa da quella esperienza.
La regola di Taylor venne in primo piano durante la Grande Moderazione, e per 15 anni quella effettiva moderazione, che gran parte degli analisti monetari si aspettavano persistesse per un futuro indefinito, fu generalmente considerata come una conferma di quella regola. Ma il futuro non è quello che si pensava un tempo. La prospettiva confortante nella quale era prosperato il taylorismo si è dimostrata un miraggio, ed è difficile capire per quale ragione dovremmo voler imporre una politica che ha totalmente mancato di mantenere le sue promesse.
In particolare, all’epoca del pieno rigoglio della regola di Taylor la convinzione generale era che il limite inferiore dello zero (nei tassi di interesse) fosse una questione secondaria, sinché avevamo almeno un po’ di inflazione attesa. Uno studio ampiamente citato scoprì che:
“se la politica monetaria seguisse le prescrizioni della regola standard di Taylor (1993) con un obbiettivo di inflazione al 2 per cento, il tasso sui finanziamenti federali sarebbe prossimo a zero per circa il 5 per cento del tempo, ed il tipico episodio del ‘limite inferiore dello zero’ avrebbe una durata di quattro trimestri.”
Ma noi siamo a questo punto, con il tasso sui finanziamenti federali ancora vicino allo zero dopo 25 trimestri dalla caduta della Lehman, e ci si aspetta che stia a quel punto almeno per un paio di ulteriori trimestri, il che significa che il ‘limite inferiore dello zero’ è stato vincolante per più del 25 per cento del tempo da quando l’inflazione è scesa attorno al 2 per cento, nei primi anni ’90. Si è scoperto che il mondo è un posto assai più pericoloso di quello che gli entusiasti della regola di Taylor si immaginavano, perché dunque imporre una regola concepita da economisti che, come adesso sappiamo, avevano completamente mal giudicato i rischi?
Ora, Taylor in prima persona ha una scusante ed una logica: sostiene che l’intera faccenda della crisi finanziaria avvenne perché la Fed si allontanò leggermente dalla sua versione della regola nel periodo antecedente la crisi degli anni 2000. Ma come mette in evidenza Yates, questo assegna una importanza alla politica monetaria che è, per cominciare, completamente all’opposto di quel genere di modelli utilizzati per giustificare la regola stessa. Inoltre, come Yates non sottolinea, tutto ciò ha il netto sentore di qualcuno che si inventa storie anche più bizzarre, pur di evitare di ammettere di aver avuto torto su qualcosa. Questo non è il genere di argomenti sui quali fondare regole che condizionano in permanenza la politica.
[1] In un post del 30 gennaio sul suo blog “longandvariable”.
By mm
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