Jan 21 8:43 pm
The contrast between the mood in the US and in Europe is amazing. Obama wasn’t exactly able to claim morning in America in this week’s SOTU, but he was able to talk about success and moving forward. Meanwhile Mario Draghi is doing what he can and should, but I don’t know anyone who really believes that it will be enough.
So why the difference? Are the forces of secular stagnation stronger in Europe? Was it fiscal austerity? Was it wrong-headed monetary policy? As far as I can tell, the answer from the data is yes. That is, there are multiple possible culprits for Europe’s deflationary trap, and it’s hard to assign responsibility.
On the secular stagnation front, just note that the euro area’s working-age population peaked in 2009, and is now on a Japanese-style downward path. US working-age growth has slowed, but at least it’s still positive.
On policy, aggregate euro-area fiscal policy has been substantially tighter than in the US. Here’s the IMF’s estimate of general government (i.e., including state and local) primary cyclically adjusted budget balance as a percent of GDP — that’s a mouthful, but it means looking at non-interest spending minus taxes, corrected to take out the effects of a depressed economy:
Meanwhile, on the monetary side Europe zagged when America zigged. At no point in the past five years has euro area core inflation (CPI excluding food, energy, alcohol, and tobacco) reached, let alone exceeded, the ECB’s legal target of 2 percent:
Nonetheless, in the first half of 2011, when rising commodity prices boosted headline inflation — and when the Fed was proceeding with quantitative easing despite the howls of conservatives — the ECB raised rates twice.
Overall, European policy has behaved throughout as if debt and inflation were the overwhelming risks, giving no consideration until very recently to the risk of deflation and persistent weakness. And the old mindset has by no means gone away — the monetary hawks are still hawkish despite deflation, inventing new reasons why interest rates must rise.
Anyway, the point is that Europe’s woes are no mystery, although it’s hard to allocate the blame; policy did everything wrong, so it’s hard to tell which wrongness mattered most.
Eurocantonate
Il contrasto di umore tra gli Stati Uniti e l’Europa è incredibile. Obama, nel discorso sullo Stato dell’Unione di questa settimana, non è stato esattamente capace di rivendicare “è giorno in America” [1], ma è stato nella condizioni di parlare di un successo e di progressi ulteriori. Nel frattempo Mario Draghi fa quel che può e deve, ma non conosco nessuno che creda davvero che sarà sufficiente.
Perché, dunque, quella differenza? Le forze della stagnazione secolare sono più forti in Europa? E’ stata l’austerità della finanza pubblica? E’ stata una politica monetaria male indirizzata? Per quanto posso dire sulla base dei dati, la risposta è affermativa. Ovvero, c’è una molteplicità di possibili colpevoli per la trappola deflazionistica dell’Europa, ed è difficile stabilire la responsabilità.
Sul fronte della stagnazione secolare, noto semplicemente che l’area euro ha avuto il picco della popolazione in età lavorativa nel 2009 e adesso è su una strada discendente sul modello giapponese. La crescita della popolazione in età di lavoro negli Stati Uniti è rallentata, ma almeno è ancora positiva.
Sul piano della politica, la politica della finanza pubblica aggregata nell’area euro è stata sostanzialmente più restrittiva che negli Stati Uniti. Ecco la stima del FMI sugli equilibri primari del bilancio generale pubblico (ovvero, comprensivo degli Stati e dei governi locali) , corretti in relazione al ciclo economico – è uno scioglilingua, ma significa riferirsi alla spesa senza gli interessi al netto delle tasse, corretta per tener fuori gli effetti di un’economia depressa [2]:
Nel frattempo, sul lato monetario, quando l’America andava da una parte, l’Europa andava dall’altra. In nessun momento dei cinque anni passati l’inflazione sostanziale nell’area euro (ovvero l’indice dei prezzi al consumo esclusi gli alimentari, l’energia, l’alcool e il tabacco [3]) ha raggiunto, per non dire ecceduto, l’obbiettivo legale della BCE del 2 per cento:
Nondimeno, nella prima metà del 2011, quando i prezzi in crescita delle materie prime spinsero l’inflazione apparente – e quando la Fed stava procedendo con la ‘facilitazione quantitativa’ nonostante gli strepiti dei conservatori – la BCE elevò due volte i tassi di interesse.
Soprattutto, la politica europea si è comportata dappertutto come se il debito e l’inflazione fossero i rischi soverchianti, non dando alcuna considerazione, sino al periodo recente, al rischio della deflazione e di una perdurante debolezza. E tale vecchia mentalità non è per niente scomparsa – i falchi della moneta sono ancora falchi a dispetto della deflazione e si inventano nuove ragioni per le quali i tassi di interesse dovrebbero salire.
In ogni modo, il punto è che i guai dell’Europa non sono un mistero, sebbene sia difficile attribuire la colpa; la politica ha sbagliato tutto, cosicché è difficile dire quale errore abbia contato di più.
[1] Il titolo di una famosa trasmissione radiofonica di Ronald Reagan.
[2] Come si vede con il 2012 l’Europa torna ad avere un avanzo primario, mentre gli Stati Uniti il massimo della spesa pubblica si interrompe nel 2010 – per effetto di un esaurimento dello stimulus di Obama ed anche dei vari “sequestri” repubblicani nel Congresso – ma con un divario che sussiste, superiore a quello che era nel 2006, ancora nel 2015.
[3] Per una spiegazione della ragione per la quale traduco “core inflation” con inflazione sostanziale, e successivamente “headline inflation” con inflazione apparente, si vedano le note sulla traduzione a “headline and core inflation”. Una traduzione letterale (“inflazione centrale” ed “inflazione complessiva”) non chiarirebbe granché i diversi significati politici e sostanziali dei due modi di misurazione. Essi in sostanza si risolvono nel fatto che la “core” – quella sostanziale – nel medio periodo si impone come quella reale, mentre la “headline” subisce volta a volta gli effetti distorsivi dei beni di consumo più ‘fluttuanti’.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"