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I Presidenti e l’economia, di Paul Krugman (New York Times, 4 gennaio 2015)

 

Presidents and the Economy

JAN. 4, 2015

Paul Krugman

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Suddenly, or so it seems, the U.S. economy is looking better. Things have been looking up for a while, but at this point the signs of improvement — job gains, rapidly growing G.D.P., rising public confidence — are unmistakable.

The improving economy is surely one factor in President Obama’s rising approval rating. And there’s a palpable sense of panic among Republicans, despite their victory in the midterms. They expected to run in 2016 against a record of failure; what do they do if the economy is looking pretty good?

Well, that’s their problem. What I want to ask instead is whether any of this makes sense. How much influence does the occupant of the White House have on the economy, anyway? The standard answer among economists, at least when they aren’t being political hacks, is: not much. But is this time different?

To understand why economists usually downplay the economic role of presidents, let’s revisit a much-mythologized episode in U.S. economic history: the recession and recovery of the 1980s.

On the right, of course, the 1980s are remembered as an age of miracles wrought by the blessed Reagan, who cut taxes, conjured up the magic of the marketplace and led the nation to job gains never matched before or since. In reality, the 16 million jobs America added during the Reagan years were only slightly more than the 14 million added over the previous eight years. And a later president — Bill something-or-other — presided over the creation of 22 million jobs. But who’s counting?

In any case, however, serious analyses of the Reagan-era business cycle place very little weight on Reagan, and emphasize instead the role of the Federal Reserve, which sets monetary policy and is largely independent of the political process. At the beginning of the 1980s, the Fed, under the leadership of Paul Volcker, was determined to bring inflation down, even at a heavy price; it tightened policy, sending interest rates sky high, with mortgage rates going above 18 percent. What followed was a severe recession that drove unemployment to double digits but also broke the wage-price spiral.

Then the Fed decided that America had suffered enough. It loosened the reins, sending interest rates plummeting and housing starts soaring. And the economy bounced back. Reagan got the political credit for “morning in America,” but Mr. Volcker was actually responsible for both the slump and the boom.

The point is that normally the Fed, not the White House, rules the economy. Should we apply the same rule to the Obama years?

Not quite.

For one thing, the Fed has had a hard time gaining traction in the wake of the 2008 financial crisis, because the aftermath of a huge housing and mortgage bubble has left private spending relatively unresponsive to interest rates. This time around, monetary policy really needed help from a temporary increase in government spending, which meant that the president could have made a big difference. And he did, for a while; politically, the Obama stimulus may have been a failure, but an overwhelming majority of economists believe that it helped mitigate the slump.

Since then, however, scorched-earth Republican opposition has more than reversed that initial effort. In fact, federal spending adjusted for inflation and population growth is lower now than it was when Mr. Obama took office; at the same point in the Reagan years, it was up more than 20 percent. So much, then, for fiscal policy.

There is, however, another sense in which Mr. Obama has arguably made a big difference. The Fed has had a hard time getting traction, but it has at least made an effort to boost the economy — and it has done so despite ferocious attacks from conservatives, who have accused it again and again of “debasing the dollar” and setting the stage for runaway inflation. Without Mr. Obama to shield its independence, the Fed might well have been bullied into raising interest rates, which would have been disastrous. So the president has indirectly aided the economy by helping to fend off the hard-money mob.

Last but not least, even if you think Mr. Obama deserves little or no credit for good economic news, the fact is his opponents have spent years claiming that his bad attitude — he has been known to suggest, now and then, that some bankers have behaved badly — is somehow responsible for the economy’s weakness. Now that he’s presiding over unexpected economic strength, they can’t just turn around and assert his irrelevance.

So is the president responsible for the accelerating recovery? No. Can we nonetheless say that we’re doing better than we would be if the other party held the White House? Yes. Do those who were blaming Mr. Obama for all our economic ills now look like knaves and fools? Yes, they do. And that’s because they are.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Presidenti e l’economia, di Paul Krugman

New York Times, 4 gennaio 2015

All’improvviso, o almeno così sembra, l’economia degli Stati Uniti sembra andar meglio. Era da un po’ che le cose sembravano migliorare, ma a questo punto i segni – gli incrementi nei posti di lavoro, il PIL in rapida crescita, l’aumento di fiducia della opinione pubblica – sono inconfondibili.

Il miglioramento dell’economia è certamente una causa dell’indice crescente di popolarità del Presidente Obama [1]. E c’è una percezione palpabile di panico tra i repubblicani, nonostante la loro vittoria alle elezioni di medio termine. Si aspettavano, nel 2016, di competere con una prestazione fallimentare; che fare se l’economia appare in condizioni piuttosto buone?

Ebbene, quello è un loro problema. Quello che piuttosto voglio chiedere è se una cosa del genere ha senso. Quanta influenza esercita, in ogni caso, chi occupa la Casa Bianca? La risposta consueta tra gli economisti, almeno quando non sono dei semplici pennivendoli della politica, è: non molta. E’ diverso, in questa occasione?

Per capire perché gli economisti solitamente minimizzano il ruolo economico dei Presidenti, consentitemi di rivisitare un episodio molto mitizzato nella storia degli Stati Uniti: la recessione e la ripresa degli anni ’80.

A destra, naturalmente, gli anni ’80 sono ricordati come un’epoca di miracoli provocati dalla benedizione di Reagan, che tagliò le tasse, liberò la magia del mercato e condusse la nazione ad un aumento di posti di lavoro mai eguagliato in precedenza o in seguito. In realtà, i 16 milioni di posti di lavoro che l’America guadagnò durante gli anni di Reagan furono solo leggermente superiori ai 14 milioni dell’aumento degli otto anni trascorsi. E un Presidente successivo – che di nome faceva Bill – governò nel contesto della creazione di 22 milioni di posti di lavoro. Ma chi li conta?

Ciononostante, analisi serie del ciclo economico del periodo di Reagan collocano un merito assai modesto su di lui, ed enfatizzano piuttosto il ruolo della Federal Reserve, che predispone la politica monetaria ed è ampiamente indipendente dal processo politico. Agli inizi degli anni ’80 la Fed, sotto la guida di Paul Volcker, era determinata a ridurre l’inflazione, anche ad un prezzo pesante; essa restrinse la politica monetaria, spedendo alle stelle i tassi di interesse, che nel caso dei mutui salirono sopra il 18 per cento. Ne seguì una severa recessione, che portò ad una disoccupazione a due cifre ma interruppe la spirale salari-prezzi.

A quel punto la Fed decise che l’America aveva sofferto abbastanza. Allentò le briglie, fece crollare i tassi di interesse ed il settore immobiliare cominciò a risollevarsi. E l’economia si riprese. Reagan ottenne il credito politico con il suo “è tornata l’alba in America” [2], ma fu Volcker il vero responsabile sia della recessione che del balzo in avanti.

Il punto è che normalmente è la Fed, non la Casa Bianca, che governa l’economia. Dovremmo applicare la stessa regola agli anni di Obama?

Non del tutto.

Da una parte, la Fed ha avuto difficoltà a produrre un effetto motore sulla scia della crisi finanziaria del 2008, perché la conseguenza di una vasta bolla del settore dell’edilizia e nei mutui ha lasciato la spesa privata relativamente indifferente ai tassi di interesse. Questa volta, la politica monetaria aveva davvero bisogno dell’aiuto di un temporaneo incremento della spesa pubblica, la qualcosa comportava che il Presidente avrebbe potuto fare una grande differenza. E la fece, per un po’; in termini politici le misure di sostegno di Obama possono essere state un insuccesso, ma una schiacciante maggioranza di economisti ritiene che esse contribuirono ad attenuare la recessione.

Da allora, tuttavia, l’opposizione da ‘terra bruciata’ dei repubblicani ha più che ribaltato quello sforzo iniziale. Di fatto, la spesa pubblica corretta per l’inflazione e per la crescita della popolazione è oggi più bassa di quando Obama entrò in carica; nello stesso periodo durante gli anni di Reagan, essa era superiore di più del 20 per cento. La politica della finanza pubblica, allora, aveva tali dimensioni.

E’ in un altro senso, tuttavia, che Obama ha fatto una grande differenza. La Fed ha avuto vita dura nell’ottenere un effetto di trazione, ma ha almeno fatto uno sforzo per incoraggiare l’economia – e l’ha fatto nonostante gli attacchi feroci dei conservatori, che l’hanno accusata in continuazione di “ridurre il valore del dollaro” e di porre le condizioni per una inflazione fuori controllo. Se non ci fosse stato Obama a proteggere la sua indipendenza, la Fed avrebbe ben potuto essere intimidita ad elevare i tassi di interesse, la qualcosa avrebbe avuto effetti disastrosi. Dunque il Presidente ha indirettamente aiutato l’economia contribuendo a respingere l’assalto dei sostenitori della moneta forte.

Da ultimo ma non per ultimo, se anche ritenete che Obama meriti un credito modesto o nullo per le buone notizie economiche, il fatto è che i suoi oppositori hanno speso anni sostenendo che il suo atteggiamento malevolo – è stato additato come colui che, di tanto in tanto, metteva in evidenza che qualche banchiere si era comportato male – fosse in qualche modo responsabile della debolezza dell’economia. Ora che sta governando nel contesto di una inattesa forza dell’economia, costoro non possono fare marcia indietro ed asserire la sua irrilevanza.

Dunque, è il Presidente la causa di una accelerazione della ripresa? No. Nondimeno, possiamo sostenere che stiamo oggi meglio di come staremmo se l’altro partito fosse stato al suo posto alla Casa Bianca? Sì. Tutti coloro che incolpavano Obama per tutti i nostri malanni economici si rivelano alfine come sciocchi e bricconi? In effetti è così. E dipende dal fatto che sono tali.

 

 

[1] Secondo i sondaggi della Gallup attualmente l’indice di approvazione nei confronti di Obama è tornato ad essere superiore a quello di disapprovazione, ed è la prima volta che accade dall’agosto del 2013.

[2] Fu il titolo di una molto fortunata trasmissione radiofonica di Ronald Reagan, alla quale in parte si attribuì il suo successivo successo elettorale.

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