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Il test greco dell’Europa, di Paul Krugman (New York Times 30 gennaio 2015)

 

Europe’s Greek Test

JAN. 30, 2015

Paul Krugman

z 259

 

 

 

 

 

 

 

 

In the five years (!) that have passed since the euro crisis began, clear thinking has been in notably short supply. But that fuzziness must now end. Recent events in Greece pose a fundamental challenge for Europe: Can it get past the myths and the moralizing, and deal with reality in a way that respects the Continent’s core values? If not, the whole European project — the attempt to build peace and democracy through shared prosperity — will suffer a terrible, perhaps mortal blow.

First, about those myths: Many people seem to believe that the loans Athens has received since the crisis broke have been subsidizing Greek spending.

The truth, however, is that the great bulk of the money lent to Greece has been used simply to pay interest and principal on debt. In fact, for the past two years, more than all of the money going to Greece has been recycled in this way: the Greek government is taking in more revenue than it spends on things other than interest, and handing the extra funds over to its creditors.

Or to oversimplify things a bit, you can think of European policy as involving a bailout, not of Greece, but of creditor-country banks, with the Greek government simply acting as the middleman — and with the Greek public, which has seen a catastrophic fall in living standards, required to make further sacrifices so that it, too, can contribute funds to that bailout.

One way to think about the demands of the newly elected Greek government is that it wants a reduction in the size of that contribution. Nobody is talking about Greece spending more than it takes in; all that might be on the table would be spending less on interest and more on things like health care and aid to the destitute. And doing so would have the side effect of greatly reducing Greece’s 25 percent rate of unemployment.

But doesn’t Greece have an obligation to pay the debts its own government chose to run up? That’s where the moralizing comes in.

It’s true that Greece (or more precisely the center-right government that ruled the nation from 2004-9) voluntarily borrowed vast sums. It’s also true, however, that banks in Germany and elsewhere voluntarily lent Greece all that money. We would ordinarily expect both sides of that misjudgment to pay a price. But the private lenders have been largely bailed out (despite a “haircut” on their claims in 2012). Meanwhile, Greece is expected to keep on paying.

Now, the truth is that nobody believes that Greece can fully repay. So why not recognize that reality and reduce the payments to a level that doesn’t impose endless suffering? Is the goal to make Greece an example for other borrowers? If so, how is that consistent with the values of what is supposed to be an association of sovereign, democratic nations?

The question of values becomes even starker once we consider why Greece’s creditors still have power. If it were just a matter of government finance, Greece could simply declare bankruptcy; it would be cut off from new loans, but it would also stop paying off existing debts, and its cash flow would actually improve.

The problem for Greece, however, is the fragility of its banks, which currently (like banks throughout the euro area) have access to credit from the European Central Bank. Cut off that credit, and the Greek banking system would probably melt down amid huge bank runs. As long as it stays on the euro, then, Greece needs the good will of the central bank, which may, in turn, depend on the attitude of Germany and other creditor nations.

But think about how that plays into debt negotiations. Is Germany really prepared, in effect, to say to a fellow European democracy, “Pay up or we’ll destroy your banking system?”

And think about what happens if the new Greek government — which was, after all, elected on a promise to end austerity — refuses to give in? That way, all too easily, lies a forced exit of Greece from the euro, with potentially disastrous economic and political consequences for Europe as a whole.

Objectively, resolving this situation shouldn’t be hard. Although nobody knows it, Greece has actually made great progress in regaining competitiveness; wages and costs have fallen dramatically, so that, at this point, austerity is the main thing holding the economy back. So what’s needed is simple: Let Greece run smaller but still positive surpluses, which would relieve Greek suffering, and let the new government claim success, defusing the anti-democratic forces waiting in the wings. Meanwhile, the cost to creditor-nation taxpayers — who were never going to get the full value of the debt — would be minimal.

Doing the right thing would, however, require that other Europeans, Germans in particular, abandon self-serving myths and stop substituting moralizing for analysis.

Can they do it? We’ll soon see.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il test greco dell’Europa, di Paul Krugman

New York Times 30 gennaio 2015

Nei cinque anni (!) che sono passati dal momento in cui ebbe inizio la crisi dell’euro, il pensare lucidamente è stata merce davvero rara. Ma questo appannamento deve oggi aver termine. I recenti eventi in Grecia avanzano una sfida fondamentale per l’Europa: è nelle condizioni di mettersi alla spalle i miti ed i moralismi, e di misurarsi con la realtà, in un modo che rispetti i valori fondamentali del continente? Se non lo è, l’intero progetto europeo – il tentativo di costruire pace e democrazia attraverso una prosperità condivisa – subirà un colpo terribile, forse mortale.

Anzitutto, a proposito di quei miti: molte persone sembrano credere che i prestiti che Atene ha ricevuto dalla esplosione della crisi abbiano fatto calare la spesa pubblica greca.

La verità, tuttavia, è che la gran parte dei soldi prestati alla Grecia è stata semplicemente usata per pagare gli interessi e il capitale sul debito. Di fatto, negli ultimi due anni, una quantità superiore a tutti i soldi indirizzati alla Grecia è stata riciclata nel modo seguente: il Governo greco sta incassando entrate superiori rispetto a quello che spende su oggetti vari, al netto del pagamento degli interessi, e devolve i finanziamenti in eccesso ai suoi creditori.

Oppure, semplificando le cose in modo un po’ eccessivo, si può pensare alla politica europea come se riguardasse un salvataggio non della Grecia, ma delle banche dei paesi creditori, con il Governo greco nella semplice funzione di mediatore – e con l’opinione pubblica greca, che ha visto una caduta catastrofica nei livelli di vita, alla quale si chiedono ulteriori sacrifici, in modo tale che essa, in aggiunta, possa mettere a disposizione finanziamenti per quel salvataggio.

Si può pensare alle richieste del nuovo Governo greco come se esso volesse una riduzione della dimensione di quel contributo. Nessuno sta ipotizzando che la Grecia spenda di più di quanto incassa; tutto quello che potrebbe essere messo sul tavolo sarebbe di spendere di meno sugli interessi e di più su cose come l’assistenza sanitaria e gli aiuti agli indigenti. E facendo in tal modo ci sarebbe l’effetto collaterale di ridurre il tasso di disoccupazione del 25 per cento della Grecia.

Ma la Grecia non ha l’obbligo di rimborsare i debiti nei quali il Governo si imbatté di propria iniziativa? E’ qua che intervengono i moralismi.

E’ vero che la Grecia (o più precisamente il Governo di centro-destra che governò la nazione dal 2004 al 2009) si indebitò volontariamente per grandi somme. E’ anche vero, tuttavia, che le banche, in Germania ed altrove, prestarono tutto quel denaro di propria volontà. Normalmente dovremmo aspettarci che entrambe le parti responsabili di quell’errore di valutazione paghino un prezzo. Ma i creditori privati sono stati in gran parte messi in salvo (nonostante, nel 2012, un “taglio” sulle loro pretese). Contemporaneamente, ci si aspetta che il Governo greco continui a pagare.

Ora, la verità è che nessuno crede che la Grecia possa rimborsare tutto. Perché dunque non riconoscere la realtà e ridurre i pagamenti ad un livello che non costringa a sofferenze illimitate? L’obbiettivo è far diventare la Grecia un esempio per gli altri debitori? Se così fosse, che coerenza c’è con i presunti valori di quella che si presume sia una associazione di nazioni democratiche e sovrane?

La domanda sui valori diventa persino più cruda una volta che si considerino le ragioni per le quali i creditori della Grecia hanno ancora potere. Se fosse soltanto una questione di finanza pubblica, la Grecia potrebbe semplicemente dichiarare la bancarotta; sarebbe tagliata fuori da nuovi prestiti, ma smetterebbe anche di pagare i debiti esistenti, ed i suoi flussi di cassa in effetti migliorerebbero.

Il problema per la Grecia, tuttavia, è la fragilità delle proprie banche, che attualmente hanno accesso al credito della Banca Centrale Europea (come le banche lo hanno dappertutto nell’area euro). Si tagli quel credito, e probabilmente il sistema bancario greco collasserebbe in mezzo a generalizzati assalti agli sportelli. Finché resta nell’euro, dunque, la Grecia ha bisogno della buona volontà della banca centrale, che a sua volta può dipendere dalla disponibilità della Germania e delle altre nazioni creditrici.

Ma si pensi a come tutto questo entra in gioco nei negoziati sul debito. In sostanza, la Germania è davvero nelle condizioni di dire ad un membro del sistema democratico europeo “Pagate o distruggeremo il vostro sistema bancario?”.

E si pensi a cosa accadrebbe se il nuovo Governo greco – che dopo tutto è stato eletto sulla promessa di porre termine all’austerità – si rifiutasse di cedere. Una tale soluzione suppone, con tutta probabilità, una uscita forzata della Grecia dall’euro, con conseguenze economiche e politiche potenzialmente disastrose per l’Europa nel suo complesso.

Obiettivamente, risolvere questa situazione non dovrebbe essere difficile. Per quanto nessuno lo sa, la Grecia ha affettivamente fatto grandi progressi nel recuperare competitività; i salari ed i prezzi sono caduti in modo spettacolare, al punto tale che oggi l’austerità è la cosa principale che trattiene l’economia greca. Dunque, quello che serve è semplice: si consenta che la Grecia gestisca avanzi di amministrazione più modesti seppure ancora positivi, la qualcosa attenuerebbe la sofferenza greca, e consentirebbe al nuovo Governo di vantare un successo, disinnescando le componenti antidemocratiche che sono in attesa dietro le quinte. Nel frattempo, il costo per i contribuenti delle nazioni creditrici – che non erano in nessun modo destinate ad ottenere il valore pieno del debito – sarebbe minimo.

Fare la cosa giusta, tuttavia, richiede che gli altri europei, i tedeschi in particolare, abbandonino i miti egoistici e smettano di sostituire l’analisi con il moralismo.

Potranno farlo? Lo vedremo presto.

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