Jan 19 3:55 am
I am in general a free trader; there is, I’d argue, a tendency on the part of some people with whom I agree on many issues to demonize trade agreements, to make them responsible for evils that have other causes. And my take on both of the trade agreements currently under negotiation — Pacific and Atlantic — is that there’s much less there than meets the eye.
But my hackles and suspicions rise when I listen to the advocates.
Tom Donohue, head of the US Chamber of Commerce, warns against economic populism, which he says is really a push to create a “state-run economy.” Yep — so much as mention rising inequality, and you’re Joseph Stalin (unless you’re Mitt Romney.) But what really gets me is the Chamber’s supposed agenda for growth. Topping the list — the number one priority — is completing those trade agreements.
This is absurd, and disturbing.
Think about it. The immediate problem facing much of the world is inadequate demand and the threat of deflation. Would trade liberalization help on that front? No, not at all. True, to the extent that trade becomes easier, world exports would rise, which is a net plus for demand. But world imports would rise by exactly the same amount, which is a net minus. Or to put it a bit differently, trade liberalization would change the composition of world expenditure, with each country spending more on foreign goods and less on its own, but there’s no reason to think it would raise total spending; so this is not a short-term economic boost.
But maybe it’s about the supply side, about raising efficiency and productivity? Well, standard economic models do say that liberalization should have that effect in principle — but the effects are only large when you start from high levels of protectionism. Cutting average effective tariffs (including the effects of quantitative restrictions) from, say, 40 percent to 10 percent can be a fairly big deal. But cutting from effective protection of only a few percent, which is where most of the world is now, isn’t going to give you a boost that you’ll be able to tell from statistical noise.
Maybe you still think we should do this. But trade agreements as your top economic priority? Really? That’s so bizarre that it should make you wonder why, exactly, the likes of Tom Donohue want these deals. And you have to suspect that the reason is that some of his important clients think that the non-trade aspects of the deals — stuff like intellectual property protection — will yield them a lot of monopoly rents.
There are reasons to support these deals and reasons to oppose them. But my immediate take is that when the US Chamber of Commerce makes a huge priority out of complicated deals, and offers an obviously false rationale, you should strongly suspect that there’s bad stuff hidden in the fine print.
Illogicità sospette sugli accordi commerciali
In generale io sono per il libero commercio: direi che c’è una tendenza, da parte di alcune persone con le quali concordo su molte questioni, di demonizzare gli accordi commerciali, rendendoli responsabili di mali che hanno altre cause. E la mia opinione su entrambi gli accordi commerciali per i quali sono attualmente in corso negoziati – Pacifico e Atlantico – è che c’è molto meno di quello che sembri.
Ma mi saltano i nervi e mi crescono i sospetti quando ascolto i sostenitori.
Tom Donohue, capo della Camera di Commercio, mette in guardia contro il populismo economico, che rappresenta, egli dice, una spinta a creare una “economia a direzione statale”. Sì – se fate tanto di parlare della crescente ineguaglianza, siete come Giuseppe Stalin (a meno che non siate Mitt Romney). Ma quello che davvero mi attrae è il presunto programma della Camera per la crescita. In cima alla lista – la priorità numero uno – è il completamento di quegli accordi commerciali.
Questo è assurdo e inquietante.
Si pensi a questo. Il problema immediato dinanzi a gran parte del mondo è la domanda inadeguata e la minaccia di deflazione. Darebbe un aiuto, su quel fronte, la liberalizzazione commerciale? No, niente affatto. E’ vero, nella misura in cui il commercio diventa più facile, le esportazioni mondiali crescerebbero, il che è un vantaggio netto per la domanda. Ma le importazioni mondiali crescerebbero esattamente della stessa quantità, il che costituisce un diminuzione netta per la domanda. Oppure, per dirla un po’ diversamente, la liberalizzazione commerciale cambierebbe la composizione della spesa mondiale, con ogni paese che spenderebbe di più di beni esteri e di meno dei propri, ma non c’è ragione di pensare che aumenterebbe la spesa globale; cosicché questa nel breve termine non è una spinta all’economia.
Ma forse riguarderebbe il lato dell’offerta, la crescita dell’efficienza e della produttività? Ebbene, i modelli economici standard dicono che in via di principio la liberalizzazione dovrebbe avere quell’effetto – ma gli effetti sono ampi quando si parte da livelli elevati di protezionismo. Tagliare le tariffe medie effettive (inclusi gli effetti delle restrizioni quantitative), diciamo, dal 40 al 10 per cento, sarebbe un discreto buon affare. Ma tagliare solo pochi punti percentuali della protezione effettiva, quale è la condizione di gran parte del mondo oggi, non è destinato a farvi ricevere quell’aiuto che potreste distinguere dal frastuono delle statistiche.
Si può forse pensare che, tuttavia, questo è quanto dovremmo fare. Ma gli accordi commerciali sono in cima alle vostre priorità economiche? Davvero? E’ una cosa così bizzarra che viene da chiedersi perché, esattamente, personaggi come Tom Donohue vogliono tali accordi. E si deve sospettare che alcuni dei suoi clienti importanti pensi che gli aspetti non commerciali degli accordi – cose come la protezione della proprietà intellettuale – renderanno loro un bel po’ di rendite di monopolio.
Ci sono ragioni per sostenere questi accordi e ragioni per opporvisi. Ma la mia immediata reazione è che quando la Camera di Commercio degli Stati Uniti fa di tali complicati accordi una fondamentale priorità, ed offre una spiegazione chiaramente falsa, si dovrebbe fortemente sospettare che ci sia roba cattiva, nascosta con caratteri minuscoli.
By mm
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