Blog di Krugman

Macroeconomia ‘non concepita qua’ (dal blog di Krugman, 5 gennaio 2015)

 

Jan 5 2:07 pm

Not Invented Here Macroeconomics

Martin Wolf writes sympathetically about Richard Koo’s latest; let me be a bit less sympathetic.

As Wolf notes, Koo had a big and important idea: he realized that Irving Fisher’s notion of debt deflation can explain persistent economic weakness even without literal deflation. As long as some part of the private sector has, for whatever reason, taken on levels of debt that now look excessive, the efforts of debtors to pay off their debts can act as a persistent drag on aggregate demand — one that is hard to counter with monetary policy, because many players in the economy can’t or won’t spend more no matter how cheap money becomes. Koo argues further that deficit spending can play a useful role in a balance sheet recession, not just by providing a temporary boost, but by providing a favorable environment for debtors to deleverage, setting the stage for durable recovery.

This is a very useful insight, and one that many of us have taken on board, fully acknowledging Koo’s contribution.

But Koo hasn’t just argued for the usefulness of fiscal stimulus in balance-sheet recessions; he has engaged in a relentless jihad against any attempt to use monetary policy, either as a supplement to fiscal policy or as the best you can do if fiscal policy is paralyzed by politics. And it’s very hard to see why.

Let’s be clear: antipathy to monetary policy does not, in any way, emerge naturally from a balance-sheet approach. Yes, it’s going to be hard for the central bank to gain traction, because excessively indebted firms or households can’t spend even if borrowing is cheap; but there have to be some players who aren’t excessively indebted — if there are debtors, there must be creditors — so there should be some margin on which monetary policy can act. Anyway, at worst monetary expansion will be irrelevant. And to the extent that central banks can raise inflation and/or fight deflation, this is an especially valuable thing if you’re in a balance-sheet slump — which was Fisher’s original point.

I’m not making these arguments casually: I’ve worked fairly hard to understand the implications of balance-sheet models, and they always come up supportive of QE and other forms of unconventional monetary policy.

So whence comes Koo’s bitter antipathy? Frankly, I can’t see any explanation other than not-invented-here syndrome; Koo’s original analysis — which we all admire, and for which we all give him credit — made the case for a fiscal solution, and he not only rejects any alternative but insists that it would be a terrible thing for reasons unclear. And it’s really too bad, because he’s hurting his own credibility.

 

Macroeconomia ‘non concepita qua’

Martin Wolf commenta con toni comprensivi l’ultimo articolo di Richard Koo [1]; consentitemi di essere un po’ meno comprensivo.

Come nota Wolf, Koo ha avuto un grande ed importante idea: ha compreso che il concetto di Irving Fisher della deflazione da debito può spiegare una prolungata debolezza economica anche in assenza di una deflazione letterale. Dal momento in cui una qualche parte del settore privato, per una qualsiasi ragione, si è assunta livelli di debito che al presente appaiono eccessivi, gli sforzi dei debitori per ripagare i loro debiti possono agire come un prolungato dragaggio sulla domanda aggregata – qualcosa che è difficile contrastare con la politica monetaria, perché molti protagonisti dell’economia non possono o non vorranno spendere di più, a prescindere da quanto divenga conveniente il denaro. Koo sostiene in aggiunta che la spesa pubblica in deficit può giocare un ruolo utile in una recessione provocata da difficoltà negli equilibri patrimoniali, non solo fornendo un provvisorio incoraggiamento, ma fornendo ai debitori un ambiente favorevole per ridurre il rapporto di indebitamento, ponendo le condizioni per una ripresa durevole.

Si tratta di una intuizione molto utile, che molti di noi hanno fatto propria, riconoscendo pienamente il contributo di Koo.

Ma Koo non ha soltanto sostenuto l’utilità del sostegno della finanza pubblica nelle recessioni provocate da crisi degli equilibri patrimoniali; egli si è impegnato in una ‘guerra santa’ implacabile contro ogni tentativo di utilizzare la politica monetaria, sia come integrazione alla politica della spesa pubblica che come il massimo che si può fare quando le scelte della finanza pubblica sono paralizzate per ragioni politiche. E capirne la ragione è molto difficile.

Cerchiamo di essere chiari: l’antipatia verso la politica monetaria in nessun modo deriva naturalmente da un approccio basato sugli equilibri patrimoniali. E’ vero, cha una banca centrale riesca ad ottenere una forza motrice è destinato ad essere arduo, perché le imprese eccessivamente indebitate o le famiglie non possono spendere anche se possono indebitarsi in modo conveniente; ma ci devono essere alcuni soggetti che non sono eccessivamente indebitati – se essi sono debitori, ci devono pur essere creditori – cosicché ci dovrebbe essere qualche margine entro il quale la politica monetaria può agire. In ogni modo, nel peggiore dei casi l’espansione monetaria sarà irrilevante. E nella misura in cui le banche centrali possono elevare l’inflazione e/o combattere la deflazione, questo – se si è in una recessione da squilibri patrimoniali – è un circostanza di particolare valore, ed era il punto di partenza di Fisher.

Non sto avanzando questi argomenti in modo casuale: ho lavorato abbastanza intensamente per comprendere le implicazioni dei modelli basati sugli equilibri patrimoniali, ed essi sempre risultano di sostegno alla ‘facilitazione quantitativa’ e ad altre forme di politica monetaria non convenzionale.

Dunque, da dove viene la acerrima avversione di Koo? Francamente, non trovo altra spiegazione della sindrome del “non è stato inventato qua”; la analisi originaria di Koo – che tutti noi ammiriamo e per la quale gli facciamo credito – ha avanzato l’argomento di una soluzione attraverso la finanza pubblica, e non solo egli respinge ogni alternativa, ma ribadisce, per ragioni non chiare, che sarebbe una cosa terribile. E ciò è davvero negativo, perché dà un colpo alla sua stessa credibilità.

 

 

 

[1] Economista taiwanese-americano, che risiede in Giappone ed è specializzato sul tema delle recessioni provocate da crisi negli equilibri patrimoniali.

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