JAN. 26, 2015
Alexis Tsipras, leader of the left-wing Syriza coalition, is about to become prime minister of Greece. He will be the first European leader elected on an explicit promise to challenge the austerity policies that have prevailed since 2010. And there will, of course, be many people warning him to abandon that promise, to behave “responsibly.”
So how has that responsibility thing worked out so far?
To understand the political earthquake in Greece, it helps to look at Greece’s May 2010 “standby arrangement” with the International Monetary Fund, under which the so-called troika — the I.M.F., the European Central Bank and the European Commission — extended loans to the country in return for a combination of austerity and reform. It’s a remarkable document, in the worst way. The troika, while pretending to be hardheaded and realistic, was peddling an economic fantasy. And the Greek people have been paying the price for those elite delusions.
You see, the economic projections that accompanied the standby arrangement assumed that Greece could impose harsh austerity with little effect on growth and employment. Greece was already in recession when the deal was reached, but the projections assumed that this downturn would end soon — that there would be only a small contraction in 2011, and that by 2012 Greece would be recovering. Unemployment, the projections conceded, would rise substantially, from 9.4 percent in 2009 to almost 15 percent in 2012, but would then begin coming down fairly quickly.
What actually transpired was an economic and human nightmare. Far from ending in 2011, the Greek recession gathered momentum. Greece didn’t hit the bottom until 2014, and by that point it had experienced a full-fledged depression, with overall unemployment rising to 28 percent and youth unemployment rising to almost 60 percent. And the recovery now underway, such as it is, is barely visible, offering no prospect of returning to precrisis living standards for the foreseeable future.
What went wrong? I fairly often encounter assertions to the effect that Greece didn’t carry through on its promises, that it failed to deliver the promised spending cuts. Nothing could be further from the truth. In reality, Greece imposed savage cuts in public services, wages of government workers and social benefits. Thanks to repeated further waves of austerity, public spending was cut much more than the original program envisaged, and it’s currently about 20 percent lower than it was in 2010.
Yet Greek debt troubles are if anything worse than before the program started. One reason is that the economic plunge has reduced revenues: The Greek government is collecting a substantially higher share of G.D.P. in taxes than it used to, but G.D.P. has fallen so quickly that the overall tax take is down. Furthermore, the plunge in G.D.P. has caused a key fiscal indicator, the ratio of debt to G.D.P., to keep rising even though debt growth has slowed and Greece received some modest debt relief in 2012.
Why were the original projections so wildly overoptimistic? As I said, because supposedly hardheaded officials were in reality engaged in fantasy economics. Both the European Commission and the European Central Bank decided to believe in the confidence fairy — that is, to claim that the direct job-destroying effects of spending cuts would be more than made up for by a surge in private-sector optimism. The I.M.F. was more cautious, but it nonetheless grossly underestimated the damage austerity would do.
And here’s the thing: If the troika had been truly realistic, it would have acknowledged that it was demanding the impossible. Two years after the Greek program began, the I.M.F. looked for historical examples where Greek-type programs, attempts to pay down debt through austerity without major debt relief or inflation, had been successful. It didn’t find any.
So now that Mr. Tsipras has won, and won big, European officials would be well advised to skip the lectures calling on him to act responsibly and to go along with their program. The fact is they have no credibility; the program they imposed on Greece never made sense. It had no chance of working.
If anything, the problem with Syriza’s plans may be that they’re not radical enough. Debt relief and an easing of austerity would reduce the economic pain, but it’s doubtful whether they are sufficient to produce a strong recovery. On the other hand, it’s not clear what more any Greek government can do unless it’s prepared to abandon the euro, and the Greek public isn’t ready for that.
Still, in calling for a major change, Mr. Tsipras is being far more realistic than officials who want the beatings to continue until morale improves. The rest of Europe should give him a chance to end his country’s nightmare.
Metter fine all’incubo della Grecia, di Paul Krugman
New York Times 26 gennaio 2015
Alexis Tsipras, leader della coalizione di sinistra, sta per diventare Primo Ministro della Grecia. Sarà il primo leader europeo eletto sulla base di una esplicita promessa di cambiare le politiche di austerità che sono prevalse dal 2010. E ci saranno, naturalmente, molte persone che lo ammoniranno ad abbandonare tale promessa, a comportarsi “responsabilmente”.
Dunque, quanto questa faccenda della responsabilità ha funzionato, sino a questo punto?
Per comprendere il terremoto in Grecia, è utile osservare l’ “accordo di sostituzione (1) ” della Grecia con il Fondo Monetario Internazionale del maggio del 2010, quando la cosiddetta troika – il FMI, la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea – prorogò i prestiti al paese in cambio di una combinazione di austerità e di riforme. Si tratta di un documento importante, nel senso peggiore del termine. La troika, nel mentre pretendeva di essere determinata e realistica, metteva in circolazione una fantasia economica. E il popolo greco ha pagato il prezzo di queste illusioni delle classi dirigenti.
Si vedano le previsioni economiche che accompagnavano l’ ‘accordo di sostituzione’, che immaginavano che la Grecia avrebbe imposto una severa austerità con un modesto effetto sulla crescita e sull’occupazione. Quando l’accordo venne raggiunto, la Grecia era già in recessione, ma le previsioni consideravano che questo declino sarebbe finito in poco tempo – che ci sarebbe stata soltanto una modesta contrazione nel 2011, e che per il 2012 la Grecia sarebbe stata in ripresa. Le previsioni ammettevano che la disoccupazione sarebbe cresciuta in modo sostanziale, dal 9,4 per cento nel 2009 al 15 per cento nel 2012, ma poi avrebbe cominciato a scendere abbastanza rapidamente.
Quello che è effettivamente successo è stato un incubo, in termini economici ed umani. Lungi dall’interrompersi, la recessione greca ha accresciuto il suo slancio. La Grecia non ha toccato il punto più basso sino al 2014, e da quel momento ha sperimentato una autentica depressione, con la disoccupazione complessiva che è salita al 28 per cento e quella giovanile quasi al 60 per cento. E la ripresa che oggi è in corso, per come si presenta, appena si intravede e non offre alcuna prospettiva di ritorno agli standard di vita precedenti alla crisi per il prossimo futuro.
Cosa è stato sbagliato? Su tale questione, abbastanza spesso mi imbatto in giudizi secondo i quali la Grecia non avrebbe messo in pratica le sue promesse, non sarebbe riuscita a varare i promessi tagli alla spesa. Niente potrebbe essere più lontano dalla realtà. In realtà, la Grecia ha imposto tagli selvaggi nei servizi pubblici, ai salari del pubblico impiego ed ai sussidi sociali. Grazie a ripetute successive ondate di austerità, la spesa pubblica è stata tagliata molto di più di quello che era stato immaginato col programma originario, ed oggi essa è del 20 per cento più bassa del 2010.
Tuttavia, i guai del debito sono addirittura peggiori di quello che erano prima dell’avvio del programma. Una ragione è che il crollo economico ha ridotto le entrate: il Governo greco sta incassando in tasse una quota del PIL sostanzialmente superiore all’epoca precedente, ma il PIL è caduto così rapidamente che le entrate fiscali complessive sono diminuite. Inoltre, il crollo del PIL ha fatto in modo che un indicatore cruciale della finanza pubblica, il rapporto tra debito e PIL, sia continuato a crescere anche se la crescita del debito è rallentata, ed anche se la Grecia aveva ottenuto una qualche modesta attenuazione del debito nel 2012.
Perché, dunque, le originarie previsioni erano così insensatamente super ottimistiche? Come ho detto, perché dirigenti che si supponevano lucidamente determinati, in realtà erano alle prese con teorie economiche fantasiose. Sia la Commissione Europea che la Banca Centrale Europea decisero di affidarsi alla ‘fata della fiducia’ – ovvero, di pretendere che gli effetti diretti di distruzione dei posti di lavoro dei tagli alla spesa sarebbero stati recuperati da una crescita di ottimismo nel settore privato. Il FMI fu più cauto, ma anch’esso sottostimò grossolanamente il danno che sarebbe derivato dall’austerità.
E qua è il punto: se la troika fosse stata realmente realistica, avrebbe riconosciuto che stava chiedendo l’impossibile. Due anni dopo che il programma greco ebbe inizio, il FMI cercò precedenti storici nei quali programmi del genere di quello greco, tentativi di restituire il debito attraverso l’austerità e senza una importante attenuazione del debito o senza inflazione, avevano avuto successo. Non ne trovò neppure uno.
Dunque, ora che il signor Tsipras ha vinto, e vinto alla grande, i dirigenti europei dovrebbero essere ben consigliati a mettere da parte le prediche consistenti nel fare appelli nei suoi confronti ad agire responsabilmente ed a proseguire con i loro programmi. Il punto è che non hanno alcuna credibilità; i programmi che hanno imposto alla Grecia non hanno mai avuto senso. Non hanno alcuna possibilità di funzionare.
Semmai, il problema dei piani di Syriza è che non sono sufficientemente radicali. La riduzione del debito ed una attenuazione dell’austerità ridurrebbero le sofferenze economiche, ma è dubbio che siano sufficienti a provocare una forte ripresa. D’altra parte, non è chiaro cosa potrebbe fare di più il Governo greco se non prepararsi ad abbandonare l’euro, e l’opinione pubblica greca per questo non è pronta.
Eppure, nell’appellarsi ad un importante cambiamento, Tsipras è di gran lunga più realistico dei dirigenti che intendono continuare a forza di percosse, finché il morale non migliora. Il resto dell’Europa dovrebbe dargli una possibilità di porre fine all’incubo del suo paese.
(1) Lo Stand-By Arrangement (Accordo Stand-By) fu creato nel giugno 1952 per fornire finanziamenti ai Paesi richiedenti aiuto con problemi di bilancia dei pagamenti. L’ASB è stato sovente utilizzato dai Paesi membri ed è il principale strumento di prestito del Fondo Monetario Internazionale (FMI), specialmente per i Paesi emergenti sul mercato. Dopo una significativa interruzione di questo tipo di aiuto, la crisi finanziaria del 2008 ha comportato la richiesta da parte di un numero significativo di Paesi di questo tipo di assistenza. Il tasso di interesse è normalmente più vantaggioso di quelli offerti dal mercato privato. Nel 2009 il Fondo Monetario ha migliorato l’Accordo per essere più flessibile e rispondente alle necessità dei Paesi membri. Allo stesso tempo, i limiti di prestito sono stati raddoppiati e sono state rese disponibili maggiori anticipazioni finanziarie. In generale, le condizioni sono state snellite e semplificate. (Wikipedia)
Suppongo che il termine “standby” in questo caso abbia il significato di qualcosa che subentra e si sostituisce alle procedure ordinarie (in questo caso, di governo). In generale, il senso può spaziare dalla “sostituzione” (qualcosa che è predisposto per entrare in funzione in alternativa, come un generatore), alla “emergenza”, anche alla “affidabilità”. Sinchè prevale la tendenza a non tradurre espressioni di questo genere (di solito si definiscono “accordi standby”) non si rischia niente. Se non di non capire il senso. E magari l’intenzione è proprio quella.
By mm
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