January 10, 2015 10:04 am
Many economists responded badly to the economic crisis. And there’s a lot wrong with mainstream economic analysis. But how closely are these two assertions related? Not as much as you might think. So I’m very much in accord with Simon Wren-Lewis on the remarkable unhelpfulness of recent heterodox assaults on the field. Not that there’s anything wrong with being heterodox in general; but a lot of what we’ve been seeing misidentifies the problem, and if anything gives aid and comfort to the wrong people.
The point is that standard macroeconomics does NOT justify the attacks on fiscal stimulus and the embrace of austerity. On these issues, people like Simon and myself have been following well-established models and analyses, while the austerians have been making up new stuff and/or rediscovering old fallacies to justify the policies they want. Formal modeling and quantitative analysis doesn’t justify the austerian position; on the contrary, austerians had to throw out the models and abandon statistical principles to justify their claims.
Let’s look at several examples.
I often see people who should know better claiming that the debate over whether fiscal stimulus can work involved the question of whether Ricardian equivalence — an implication of representative-agent, rational-expectations models — holds in practice. But that’s all wrong. Claims that a temporary rise in government spending crowds out an equal amount of private spending were based either on crude confusions between accounting identities and causation, or on a complete misunderstanding of what Ricardian equivalence means.
What about expansionary austerity? That’s really hard to get out of any formal model, and by and large the advocates of that position didn’t even try. They invoked the confidence fairy pretty much on faith, backed by casual econometrics that fell apart as soon as anyone looked hard at the data.
Claims that the US and the UK were at risk of an attack by bond vigilantes were similarly hard to justify in terms of models — when you work through the analysis, it’s very hard to come up with a way such an attack can either happen or do much damage to a country that borrows in its own currency. As I’ve written many times, I reproach myself for having worried about such things back in 2003, when my own models refused to tell that story. And the persistence of “we are Greece” arguments now goes along with a rejection of clear modeling, not excessive formalism.
Last but not least, all that 90 percent threshold of doom stuff was based on no model whatsoever, just an alleged statistical regularity. What mainstream economists should have said right away (as some of us did) was that any negative correlation between debt and growth, in the absence of any mechanism, probably reflected a lot of reverse causation.
So if you go around claiming that model-oriented, quantitative economics gave rise to austerity mania, you’re getting the story all wrong. Worse, you are in effect covering up for the austerians’ intellectual sins. They were not orthodox economists following their models to their logical conclusion; instead, they revealed their true colors when they proved themselves either unable to understand their own models or willing to throw their analysis away the moment it conflicted with their political preferences.
Uncritical embrace of austerity by economists has been a problem for the world. But don’t blame modeling or quantitative analysis; the fault lies not in models but in themselves.
Ortodossia, eterodossia e ideologia
Molti economisti hanno reagito malamente alla crisi economica. E c’è stato molto di sbagliato nella analisi economica prevalente. Ma questi due concetti quanto sono strettamente correlati? Non così tanto come si potrebbe pensare. In questo senso, io sono molto d’accordo con Simon Wren-Lewis sulla considerevole inutilità dei recenti assalti eterodossi nella disciplina. Non che ci sia niente di sbagliato in generale nell’eterodossia; ma molto di ciò a cui stiamo assistendo fraintende il problema, e semmai porta aiuto e conforto alle persone sbagliate.
Il punto è che la macroeconomia ordinaria NON giustifica gli attacchi sulle misure di sostegno della spesa pubblica e l’abbraccio della austerità. Su questi temi, persone come Simon e il sottoscritto si sono ispirate a modelli ed analisi ben definiti, mentre i filoausteri si sono inventati cose nuove e/o hanno riscoperto errori antichi per giustificare le politiche di loro gradimento. I modelli formali e l’analisi quantitativa non giustificano la posizione a favore dell’austerità; al contrario, i filoausteri si sono dovuti liberare dei modelli ed hanno dovuto abbandonare i principi statistici per giustificare le loro pretese.
Si considerino vari esempi.
Spesso osservo persone che dovrebbero saperne di più sostenere che il dibattito sul tema se le misure di sostegno della spesa pubblica possano funzionare riguarda la questione della ‘equivalenza ricardiana’ [1] (qualcosa che implica modelli di agenti rappresentativi e di aspettative razionali) e se essa nella pratica stia in piedi. Ma ciò è completamente sbagliato. Le pretese secondo le quali un aumento temporaneo della spesa pubblica ‘spiazzerebbe’ una quantità equivalente di spesa privata erano basate sia su una grossolana confusione tra identità contabili e causalità, ed erano un completo fraintendimento del significato della ‘equivalenza ricardiana’.
Che dire della austerità espansiva? E’ veramente difficile derivarla da un qualsiasi modello formale, e in generale i sostenitori di quella posizione non ci si sono neppure provati. Hanno piuttosto invocato la fata della fiducia, sostenuti da una econometria occasionale che è caduta in frantumi appena qualcuno ha osservato i dati con impegno.
Le pretese che gli Stati Uniti ed il Regno Unito fossero a rischio di un attacco da parte dei ‘guardiani dei bond’ erano in modo simile difficili da giustificare in termini di modelli – quando si opera attraverso analisi, è molto difficile procedere in un modo che confermi sia la possibilità di un attacco del genere, sia che esso possa recar danno ad un paese che si indebita con la propria valuta. Come ho scritto molte volte, mi rimprovero di essermi preoccupato di cose del genere nel passato 2003, quando i miei stessi modelli erano in contrasto con storie del genere. E l’insistenza su argomenti del tipo “Siamo come in Grecia” procede sulla base di un rifiuto di una chiara modellistica, non certo sulla base di un formalismo eccessivo.
Da ultimo ma non per ultimo, tutta la roba sulla sventura sulla soglia del 90 per cento [2] non era basata su alcun modello, solo su una pretesa regolarità statistica. Quello che gli economisti dell’orientamento prevalente avrebbero dovuto dire da subito (come alcuni di noi fecero) era che ogni negativa correlazione tra debito e crescita, nell’assenza di ogni meccanismo, probabilmente era in gran parte il riflesso di un rapporto di causa opposto.
Dunque, se si va in giro a sostenere che una economia quantitativa incline ai modelli ha dato la stura alla mania dell’austerità, si racconta una storia completamente sbagliata. Peggio ancora, si dà in effetti copertura ai peccati intellettuali dei sostenitori dell’austerità. Non erano economisti ortodossi che seguivano i loro modelli sino alle loro logiche conclusioni; piuttosto, rivelavano la loro vera natura mostrandosi o incapaci di comprendere i loro stessi modelli, o disponibili a metter da parte le loro analisi quando esse entravano in conflitto con le loro preferenze politiche.
L’adesione acritica degli economisti alla austerità è stato un problema per il mondo intero. Ma non si dia la colpa ai modelli o all’analisi quantitativa; la responsabilità non sta nei modelli, ma in quegli stessi economisti.
[1] Vedi le note sulla traduzione a “ricardian equivalence”.
[2] Ovvero, la tesi di Rogoff secondo la quale oltre un rapporto del 90 per cento tra debito e PIL si determina un danno alla crescita.
By mm
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