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Per amore del carbonio, di Paul Krugman (New York Times 11 gennaio 2015)

 

For the Love of Carbon

JAN. 11, 2015

Paul Krugman

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It should come as no surprise that the very first move of the new Republican Senate is an attempt to push President Obama into approving the Keystone XL pipeline, which would carry oil from Canadian tar sands. After all, debts must be paid, and the oil and gas industry — which gave 87 percent of its 2014 campaign contributions to the G.O.P. — expects to be rewarded for its support.

But why is this environmentally troubling project an urgent priority in a time of plunging world oil prices? Well, the party line, from people like Mitch McConnell, the new Senate majority leader, is that it’s all about jobs. And it’s true: Building Keystone XL could slightly increase U.S. employment. In fact, it might replace almost 5 percent of the jobs America has lost because of destructive cuts in federal spending, which were in turn the direct result of Republican blackmail over the debt ceiling.

Oh, and don’t tell me that the cases are completely different. You can’t consistently claim that pipeline spending creates jobs while government spending doesn’t.

Let’s back up for a minute and discuss economic principles.

For more than seven years — ever since the Bush-era housing and debt bubbles burst — the United States economy has suffered from inadequate demand. Total spending just hasn’t been enough to fully employ the nation’s resources. In such an environment, anything that increases spending creates jobs. And if private spending is depressed, a temporary rise in public spending can and should take its place. That’s why a great majority of economists believe that the Obama stimulus did, in fact, reduce the unemployment rate compared with what it would have been without that stimulus.

From the beginning, however, Republican leaders have held the opposite view, insisting that we should slash public spending in the face of high unemployment. And they’ve gotten their way: The years after 2010, when Republicans took control of the House, were marked by an unprecedented decline in real government spending per capita, which leveled off only in 2014.

The evidence overwhelmingly indicates that this kind of fiscal austerity in a depressed economy is destructive; if the economic news has been better lately, it’s probably in part because of the fact that federal, state and local governments have finally stopped cutting. And spending cuts have, in particular, cost a lot of jobs. When the Congressional Budget Office was asked how many jobs would be lost because of the sequester — the big cuts in federal spending that Republicans extracted in 2011 by threatening to push America into default — its best estimate was 900,000. And that’s only part of the total loss.

Needless to say, the guilty parties here will never admit that they were wrong. But if you look at their behavior closely, you see clear signs that they don’t really believe in their own doctrine.

Consider, for example, the case of military spending. When it comes to possible cuts in defense contracts, politicians who loudly proclaim that every dollar the government spends comes at the expense of the private sector suddenly begin talking about all the jobs that will be destroyed. They even begin talking about the multiplier effect, as reduced spending by defense workers leads to job losses in other industries. This is the phenomenon former Representative Barney Frank dubbed “weaponized Keynesianism.”

And the argument being made for Keystone XL is very similar; call it “carbonized Keynesianism.” Yes, approving the pipeline would mobilize some money that would otherwise have sat idle, and in so doing create some jobs — 42,000 during the construction phase, according to the most widely cited estimate. (Once completed, the pipeline would employ only a few dozen workers.) But government spending on roads, bridges and schools would do the same thing.

And the job gains from the pipeline would, as I said, be only a tiny fraction — less than 5 percent — of the job losses from sequestration, which in turn are only part of the damage done by spending cuts in general. If Mr. McConnell and company really believe that we need more spending to create jobs, why not support a push to upgrade America’s crumbling infrastructure?

So what should be done about Keystone XL? If you believe that it would be environmentally damaging — which I do — then you should be against it, and you should ignore the claims about job creation. The numbers being thrown around are tiny compared with the country’s overall work force. And in any case, the jobs argument for the pipeline is basically a sick joke coming from people who have done all they can to destroy American jobs — and are now employing the very arguments they used to ridicule government job programs to justify a big giveaway to their friends in the fossil fuel industry.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per amore del carbonio, di Paul Krugman

New York Times, 11 gennaio 2015

Non dovrebbe essere una sorpresa se la prima iniziativa in assoluto del Senato repubblicano è un tentativo di spingere il Presidente Obama ad approvare l’oleodotto Keystone XL, che dovrebbe trasportare petrolio dalle sabbie bituminose del Canada. Dopo tutto, i debiti si pagano e l’industria del gas e del petrolio – che ha dato l’87 per cento dei suoi contributi elettorali al Partito Repubblicano – si aspetta un riconoscimento per il suo sostegno.

Ma perché questo progetto ambientalmente preoccupante è una priorità urgente, in un periodo di prezzi mondiali del petrolio che crollano? Ebbene, la linea del Partito, secondo persone come Mitch McConnell, il nuovo leader della maggioranza al Senato, è che dipende tutto dai posti di lavoro. Ed è vero: costruire Keystone XL aumenterebbe leggermente l’occupazione. Di fatto, potrebbe rimpiazzare quasi il 5 per cento dei posti di lavoro che l’America ha perso per i tagli distruttivi alla spesa federale, che a sua volta furono il risultato diretto del ricatto federale sul ‘tetto’ del debito [1].

E non venite a raccontarmi che si tratta di due cose completamente diverse. Non si può coerentemente sostenere che la spesa per l’oleodotto crea posti di lavoro mentre la spesa pubblica non lo fa.

Consentitemi una breve digressione per ragionare di principi economici.

Per più di sette anni – da quando esplosero le bolle del settore immobiliare e del debito dell’epoca di Bush – l’economia degli Stati Uniti ha sofferto per una domanda inadeguata. La spesa totale non è stata neppure sufficiente ad impiegare pienamente le risorse della nazione. In tale contesto, tutto quello che accresce la spesa crea posti di lavoro. E se la spesa privata è depressa, un aumento provvisorio della spesa pubblica può e deve prendere il suo posto. Quella è la ragione per la quale la grande maggioranza degli economisti crede che le misure di sostegno di Obama, in effetti, ridussero il tasso di disoccupazione a confronto con quello che sarebbe accaduto senza quelle misure.

Dagli inizi, tuttavia, i dirigenti repubblicani hanno sostenuto il punto di vista opposto, ribadendo che si doveva abbattere la spesa pubblica a fronte di una disoccupazione elevata. Ed hanno ottenuto quello che volevano: gli anni dopo il 2010, quando i repubblicani presero il controllo della Camera, furono segnati da un declino senza precedenti nella spesa pubblica reale procapite, che si è stabilizzata soltanto nel 2014.

Prove schiaccianti indicano che questo genere di austerità della finanza pubblica in una economia depressa è distruttivo; se di recente le notizie economiche sono migliorate, questo probabilmente in parte è dipeso dal fatto che il governo federale e quelli degli Stati e delle comunità locali hanno finalmente interrotto i tagli. E i tagli alla spesa, in particolare, sono costati una quantità di posti di lavoro. Quando al Congressional Budget Office [2] fu chiesto quanti posti di lavoro si sarebbero persi a causa del ‘sequestro’ [3] – i grandi tagli nella spesa federale che i Repubblicani estorsero con la minaccia di spingere l’America al default – la sua stima migliore fu di 900.000 dollari. E quella fu solo una parte della perdita totale.

Non c’è bisogno di dire che le parti responsabili non ammetteranno mai di aver avuto torto. Ma se osservate da vicino la loro condotta, vedete chiaramente che essi non credono nella loro stessa dottrina.

Si consideri, ad esempio, il caso della spesa militare. Quando si arriva ai tagli possibili nei contratti della difesa, gli uomini politici che a gran voce proclamano che ogni dollaro che il Governo spende va a detrimento del settore privato, all’improvviso cominciano a parlare dei posti di lavoro che verrebbero distrutti. Essi cominciano persino a parlare dell’effetto ‘moltiplicatore’ [4], dato che una spesa ridotta per i lavoratori della difesa porta ad un perdita di posti di lavoro in altri settori. E’ il fenomeno che il passato congressista Barney Frank soprannominò “keynesismo degli armamenti”.

E l’argomento che viene avanzato per Keystone XL è del tutto simile: chiamiamolo “keynesismo del carbone”. Sì, approvare l’oleodotto mobiliterebbe un po’ di soldi che altrimenti rimarrebbero inerti, e nel far ciò creerebbe posti di lavoro – 42.000 durante la fase della costruzione, secondo le stime più diffusamente citate (una volta completato, l’oleodotto occuperebbe soltanto poche dozzine di lavoratori). Ma la spesa pubblica per le strade, per i ponti e per le scuole provocherebbe la stessa cosa.

Ed i posti di lavoro per l’oleodotto sarebbero, come ho detto, solo un minuscola frazione – meno del 5 per cento – dei posti di lavoro persi con il ‘sequestro’, che a loro volta sono solo una parte del danno provocato in generale dai tagli alla spesa. Se McConnell e compagnia credono veramente che abbiamo bisogno di una spesa maggiore per creare posti di lavoro, perché non sostengono uno sforzo per migliorare le infrastrutture fatiscenti dell’America?

Dunque, cosa si dovrebbe fare con il Keystone XL? Se si crede che costituisca un danno per l’ambiente – cosa che io credo – si dovrebbe essere contrari, e si dovrebbero ignorare gli argomenti sulla creazione di posti di lavoro. I dati che vengono messi in giro sono poca cosa rispetto alla forza lavoro complessiva del paese. Ed in ogni caso, l’argomento dei posti di lavoro per l’oleodotto è fondamentalmente una battuta infelice da parte di individui che hanno fatto tutto il possibile per distruggere i posti di lavoro degli americani[5] – e stanno adesso impiegando proprio gli stessi argomenti che usavano per mettere in ridicolo i programmi sull’occupazione del Governo per giustificare un gran regalo ai loro amici dell’industria dei combustibili fossili.

 

 

[1] Vedi a “debt ceiling” alle note sulla traduzione.

[2] Il Congressional Budget Office è una Agenzia (“nonpartisan”, è scritto nella sua ‘homepage’) del Congresso degli Stati Uniti, che fornisce studi, ricerche e, in particolare, simulazioni sugli effetti delle proposte legislative e programmatiche dei congressisti americani. Non è “amata” nello stesso modo da tutti, ma è abbastanza rispettata  da tutti. L’agenzia è stata istituita nel 1974.

[3] “Sequestro” fu il termine che venne usato per definire il ricatto repubblicano sul ‘tetto del debito’. Implicitamente si intendeva ‘sequestro’ del Governo Federale. Il ‘sequestro’ fu la minaccia, i grandi tagli ai quali si fa cenno subito dopo furono invece il prezzo dell’accordo cui Obama fu costretto per evitare il disastro di una prosecuzione del blocco, che avrebbe condotto tra l’altro al non pagamento degli interessi sul debito, e dunque al default.

[4] Vedi a “multiplier” sulle note della traduzione. L’effetto di moltiplicatore della spesa pubblica è in effetti un argomento della “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” di Keynes (1936. Capitolo X), sul quale egli lavorò con la collaborazione del suo allievo Richard Kahn.

[5] In realtà, sarebbe “posti di lavoro americani”, che era lo stesso titolo delle proposta di legge di Obama nel 2013. Direi che è un’enfasi semplicemente nazionalistica, perché non si vede in che senso aumentare i posti di lavoro negli Stati Uniti non dovrebbe riguardare altro che posti di lavoro ‘americani’.

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