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Professori, politici e momenti di verità (dal blog di Krugman, 7 gennaio 2015)

 

Jan 7 7:43 pm

Professors, Politicians, and Moments of Truth

Simon Wren-Lewis offers a clever way to think about whether US growth despite sequestration is a huge problem for Keynesians — he shows that under a hypothetical in which the US maintained spending at 2009 levels, a Keynesian analysis says that growth would have been higher — but not enormously higher. Another way of saying this is that US austerity, while real and destructive, hasn’t been world-class, and is well within the range that is consistent with some growth.

Here’s a different way of making the same point. Look at the scatterplot of government spending and growth I put up a couple of days ago, and add in actual US spending and growth over the year ending in the third quarter of 2014:

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We’ve done better than the average relationship would have predicted, but better enough to be considered a serious challenge to the overall Keynesian view? Really?

The question then becomes, why would anyone — let alone a well-trained economist with a reputation to defend — stick his neck out and make that claim?

Well, Wren-Lewis points us to a 2010 article I’d missed, co-authored by Jeff Sachs and — drum roll — George Osborne, making the case for immediate fiscal austerity despite zero policy interest rates and the depressed state of the economy. While I never saw that article at the time, its argument was exactly the austerity logic I described soon afterwards; it was all about the invisible bond vigilantes and the confidence fairy (a term I introduced in that piece).

The point is that 2010 was a real moment of truth. Were you going to go with the logic of more or less Keynesian macroeconomic models, or were you going to decide that loose psychological speculation about confidence trumped the arithmetic of spending? Being a forthright Keynesian at the time meant sticking out your neck quite a lot: you were running very much counter to what the Very Serious People were saying, and you would have been ridiculed and possibly suffered some serious career damage if US or UK interest rates had soared the way the VSPs warned, if inflation had taken off, if the correlation between government spending and GDP had turned out to be negative instead of positive.

As it turned out, however, the Keynesian view came out looking very good, and siding with the VSPs was not a good move after all.

The consequences were, however, somewhat different depending on who and what you were. Politicians can get the economics all wrong and still prosper, in part because they have bigger agendas — in the UK as in the US, dire warnings about debt had and have much more to do with a push to cut social spending than with real worries about financing — and in part because electoral politics have little memory: your policy can fail years in a row, but if the economy is growing in the runup to the election you win all the same.

But if you’re an economist, or at any rate someone whose career is bound up with being considered wise about matters economics, it’s not so easy to walk away unscathed from getting it wrong in a moment of truth.

Enough said.

 

Professori, politici e momenti di verità

Simon Wren-Lewis offre un modo intelligente per riflettere se la crescita degli Stati Uniti nonostante il “sequestro” [1] sia un serio problema per i keynesiani – egli dimostra che con l’ipotesi per la quale gli Stati Uniti avessero mantenuto la spesa ai livelli del 2009, una analisi keynesiana direbbe che la crescita avrebbe dovuto essere più elevata, ma non enormemente più elevata. Un altro modo di dire la stessa cosa sarebbe che l’austerità degli Stati Uniti, per quanto reale e distruttiva, non è stata di prima categoria, ed è stata ben dentro una portata coerente con qualche crescita.

Ecco un modo diverso di avanzare la stessa questione. Si guardi il grafico a diffusione sulla spesa pubblica e sulla crescita che ho pubblicato una paio di giorni fa, e ci si aggiunga l’effettiva spesa pubblica e la crescita statunitense verso la fine dell’anno nel terzo trimestre del 2014:

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Abbiamo fatto meglio rispetto alla relazione che si sarebbe prevista, ma talmente meglio da essere considerati una seria sfida al complessivo punto di vista keynesiano? Davvero?

La domanda poi diventa: perché qualcuno – per non dire un economista ben addestrato con una reputazione da difendere – si espone alle critiche avanzando una pretesa del genere?

Ebbene, Wren-Lewis ci rimanda ad un articolo del 2010, del quale Jeff Sachs era coautore assieme – rullio di tamburi – a George Osborne, che avanzava la tesi di una immediata austerità della finanza pubblica nonostante tassi di interesse di riferimento a zero e le condizioni depresse dell’economia. Pur non avendo visto all’epoca quell’articolo, il suo argomento era esattamente la logica dell’austerità che descrissi subito dopo: riguardava gli invisibili ‘guardiani dei bond’ e la ‘fata della fiducia’ (termine che introdussi nell’articolo in connessione).

Il punto è che il 2010 fu un reale momento di verità. Si pensava di procedere con la logica dei modelli macroeconomici più o meno keynesiani, oppure si riteneva di decidere che la vaga speculazione psicologica sulla fiducia avrebbe surclassato l’aritmetica della spesa? A quel tempo, essere un keynesiano esplicito significava esporsi un bel po’ alle critiche: si era davvero in controtendenza rispetto a quello che le Persone Molto Serie stavano affermando, si sarebbe stati ridicolizzati e probabilmente si sarebbe subito qualche serio danno nella carriera se i tassi di interesse degli Stati Uniti o del Regno Unito fossero schizzati alle stelle nei modi nei quali le Persone Molto Serie ammonivano, se l’inflazione fosse decollata, se la correlazione tra spesa pubblica e PIL fosse risultata negativa anziché positiva.

Come si scoprì, tuttavia, il punto di vista keynesiano si comportò benissimo, mentre collocarsi dalla parte delle Persone Molto Serie, dopo tutto, non fu una gran mossa.

Le conseguenze, tuttavia, furono in qualche modo diverse a seconda di chi eravate e di cosa rappresentavate. Gli uomini politici possono sbagliare tutto in economia e continuare a prosperare, in parte perché essi hanno programmi più impegnativi – nel Regno Unito come negli Stati Uniti, i terribili ammonimenti sul debito avevano ed hanno molto più a che fare con la pressione per tagliare la spesa sociale che non con reali preoccupazioni sui finanziamenti – ed in parte perché la base elettorale ha poca memoria: la vostra politica può essere un fallimento per anni di fila, ma se l’economia è in crescita nel periodo antecedente le elezioni, vincete in ogni modo.

Ma se siete un economista, o in qualche modo se siete qualcuno la cui carriera è dipendente dall’essere considerato saggio in materia economica, non è così facile venirsene fuori incolume dall’aver fatto uno sbaglio in un momento di verità.

Ho detto abbastanza.

 

 

[1] Ossia, il blocco dei finanziamenti al Governo che si produsse per effetto di un ricatto repubblicano nella cosiddetta approvazione del ‘tetto del debito’.

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