JAN 30, 2015
A Greek Burial for German Austerity
BERLIN – Not long ago, German politicians and journalists confidently declared that the euro crisis was over; Germany and the European Union, they believed, had weathered the storm. Today, we know that this was just another mistake in an ongoing crisis that has been full of them. The latest error, as with most of the earlier ones, stemmed from wishful thinking – and, once again, it is Greece that has broken the reverie.
Even before the leftist Syriza party’s overwhelming victory in Greece’s recent general election, it was obvious that, far from being over, the crisis was threatening to worsen. Austerity – the policy of saving your way out of a demand shortfall – simply does not work. In a shrinking economy, a country’s debt-to-GDP ratio rises rather than falls, and Europe’s recession-ridden crisis countries have now saved themselves into a depression, resulting in mass unemployment, alarming levels of poverty, and scant hope.
Warnings of a severe political backlash went unheeded. Shadowed by Germany’s deep-seated inflation taboo, Chancellor Angela Merkel’s government stubbornly insisted that the pain of austerity was essential to economic recovery; the EU had little choice but to go along. Now, with Greece’s voters having driven out their country’s exhausted and corrupt elite in favor of a party that has vowed to end austerity, the backlash has arrived.
But, though Syriza’s victory may mark the start of the next chapter in the euro crisis, the political – and possibly existential – danger that Europe faces runs deeper. The Swiss National Bank’s unexpected abandonment of the franc’s euro peg on January 15, though posing no immediate financial threat, was an enormous psychological blow, one that reflected and reinforced a massive loss of confidence. The euro, as the SNB’s move implied, remains as fragile as ever. And the subsequent decision by the European Central Bank to purchase more than €1 trillion ($1.14 trillion) in eurozone governments’ bonds, though correct and necessary, has dimmed confidence further.
The Greek election outcome was foreseeable for more than a year. If negotiations between the “troika” (the European Commission, the ECB, and the International Monetary Fund) and the new Greek government succeed, the result will be a face-saving compromise for both sides; if no agreement is reached, Greece will default.
Though no one can say what a Greek default would mean for the euro, it would certainly entail risks to the currency’s continued existence. Just as surely, the mega-disaster that might result from a eurozone breakup would not spare Germany.
A compromise would de facto result in a loosening of austerity, which entails significant domestic risks for Merkel (though less than a failure of the euro would). But, in view of her immense popularity at home, including within her own party, Merkel is underestimating the options at her disposal. She could do much more, if only she trusted herself.
In the end, she may have no choice. Given the impact of the Greek election outcome on political developments in Spain, Italy, and France, where anti-austerity sentiment is similarly running high, political pressure on the Eurogroup of eurozone finance ministers – from both the right and the left – will increase significantly. It does not take a prophet to predict that the latest chapter of the euro crisis will leave Germany’s austerity policy in tatters – unless Merkel really wants to take the enormous risk of letting the euro fail.
There is no indication that she does. So, regardless of which side – the troika or the new Greek government – moves first in the coming negotiations, Greece’s election has already produced an unambiguous defeat for Merkel and her austerity-based strategy for sustaining the euro. Simultaneous debt reduction and structural reforms, we now know, will overextend any democratically elected government because they overtax its voters. And, without growth, there will be no structural reforms, either, however necessary they may be.
That is Greece’s lesson for Europe. The question now is not whether the German government will accept it, but when. Will it take a similar debacle for Spain’s conservatives in that country’s coming election to force Merkel to come to terms with reality?
Nothing but growth will decide the future of the euro. Even Germany, the EU’s biggest economy, faces an enormous need for infrastructure investment. If its government stopped seeing “zero new debt” as the Holy Grail, and instead invested in modernizing the country’s transport, municipal infrastructure, and digitization of households and industry, the euro – and Europe – would receive a mighty boost. Moreover, a massive public-investment program could be financed at exceptionally low (and, for Germany, conceivably even negative) interest rates.
The eurozone’s cohesion and the success of its necessary structural reforms – and thus its very survival – now depend on whether it can overcome its growth deficit. Germany has room for fiscal maneuver. The message from Greece’s election is that Merkel should use it, before it is too late.
Un funerale Greco per l’austerità tedesca
di Joschka Fischer
BERLINO – Non molto tempo fa, uomini politici e giornalisti tedeschi dichiaravano che la crisi dell’euro era passata; pensavano che la Germania e l’Unione Europea avessero superato la tempesta. Oggi sappiamo che era solo un errore in una perdurante crisi che è stata piena di errori. L’ultimo, come gran parte di quelli precedenti, sono derivati da pie illusioni – e, ancora una volta, la Grecia ha fatto saltare quelle fantasie.
Ancora prima della schiacciante vittoria del partito di sinistra Syriza nelle recenti elezioni generali in Grecia, era evidente che, lungi dall’essere superata, la crisi stava minacciando di peggiorare. L’austerità – la politica del mettersi al riparo da una caduta della domanda – semplicemente non funziona. In un’economia che si restringe, il rapporto debito/PIL di un paese sale anziché scendere, ed i paesi europei in crisi perché tormentati dalla recessione si sono adesso messi al riparo sbattendo in una depressione, che risulta dalla disoccupazione di massa, dai livelli allarmanti di povertà e dalle esigue speranze.
Gli ammonimenti su un grave contraccolpo politico sono rimasti inascoltati. Oscurato dalle radici profonde del tabù tedesco dell’inflazione, il Governo della Cancelliera Angela Merkel ha testardamente insistito che le sofferenze dell’austerità erano indispensabili per la ripresa dell’economia; l’Unione Europea ha avuto poca scelta se non quella di acconsentire. Adesso, con gli elettori greci che hanno sloggiato i gruppi dirigenti stremati e corrotti del loro paese in favore di un partito che prometteva la fine dell’austerità, il contraccolpo è arrivato.
Ma, sebbene la vittoria di Syriza segni l’inizio di un nuovo capitolo nella crisi europea, il pericolo politico – forse esiziale – dinanzi al quale si trova l’Europa è più profondo. L’inaspettato abbandono dell’ancoraggio all’euro del franco svizzero deciso dalla Banca Nazionale Svizzera il 15 gennaio, sebbene non costituisca alcuna minaccia finanziaria immediata, è stato un enorme colpo psicologico, qualcosa che ha riflettuto e rafforzato una perdita di fiducia assai vasta. L’euro, come ha suggerito l’iniziativa della SNB, rimane fragile come è sempre stato. E la successiva decisione della Banca Centrale Europea di acquistare più di mille miliardi di euro (1.140 miliardi di dollari) in bond statali dell’eurozona, sebbene giusta e necessaria, ha affievolito ulteriormente la fiducia.
Il risultato delle elezioni greche era prevedibile da più di un anno. Se i negoziati tra la “troika” (la Commissione Europea, la BCE ed il Fondo Monetario Internazionale) ed il nuovo Governo greco avranno successo, il risultato sarà per entrambe le parti un compromesso per salvare la faccia; se non sarà raggiunto alcun accordo, la Grecia andrà in default.
Sebbene nessuno possa dire cosa significherebbe un default per l’euro, certamente esso comporterà dei rischi per una prosecuzione dell’esistenza della valuta. Così come di sicuro l’enorme disastro che potrebbe risultare da un collasso dell’eurozona non risparmierebbe la Germania.
Di fatto, un compromesso consisterebbe in una attenuazione dell’austerità, la qualcosa comporterebbe significativi rischi interni per la Merkel (per quanto minori di quelli che deriverebbero dal crollo dell’euro). Ma, nella prospettiva dell’immensa popolarità nel suo paese, inclusa quella all’interno del suo partito, la Merkel sta sottovalutando le opzioni a sua disposizione. Ella potrebbe fare molto di più, se solo avesse fiducia in se stessa.
Alla fine, ella può non avere scelta. Dato l’impatto del risultato delle elezioni greche sugli sviluppi politici in Spagna, Italia e Francia, dove i sentimenti anti-austerità sono egualmente elevati, la pressione politica sull’eurogruppo dei ministri delle finanze dell’eurozona – provenienti sia da destra che da sinistra – aumenterà in modo significativo. Non c’è bisogno di essere profeti nel prevedere che l’ultimo capitolo della crisi dell’euro lascerà a brandelli la politica dell’austerità della Germania – a meno che la Merkel non voglia davvero prendersi il rischio enorme di lasciar fallire l’euro.
Non c’è alcun segno che voglia questo. Dunque, a prescindere da quale schieramento – la troika o il nuovo governo greco – farà la prima mossa nei negoziati, le elezioni greche hanno già prodotto una chiara sconfitta per la Merkel e per la sua strategia di sostegno dell’euro basata sulla austerità. Una simultanea riduzione del debito [1] e riforme strutturali, sappiamo adesso, provocheranno un carico esagerato su ogni Governo democraticamente eletto, giacché comportano tasse eccessive sugli elettori. E, senza crescita, non ci sarà neppure alcuna riforma strutturale, per quanto necessaria possa essere.
E’ quella la lezione della Grecia all’Europa. La domanda, a questo punto, non è se il Governo tedesco la farà propria, ma quando. Ci vorrà una debacle analoga per i conservatori spagnoli nelle imminenti elezioni in quel paese, per costringere la Merkel a venire a patti con la realtà?
Niente se non la crescita deciderà il futuro dell’euro. Persino la Germania, la più grande economia dell’Unione Europea, è dinanzi ad un enorme bisogno di investimenti in infrastrutture. Se il Governo smettesse di considerare lo slogan “zero nuovi debiti” come il Santo Graal, e piuttosto investisse nella modernizzazione dei trasporti pubblici del paese, delle infrastrutture municipali, nella informatizzazione di famiglie e industrie, l’euro – e l’Europa – ne riceverebbero un potente incoraggiamento. Inoltre, un massiccio programma di investimenti pubblici potrebbe essere finanziato a tassi di interesse eccezionalmente bassi (e, per la Germania, persino plausibilmente negativi).
La coesione dell’eurozona e il successo delle sue necessarie riforme strutturali – e di conseguenza la sua effettiva sopravvivenza – ora dipendono dal fatto che essa possa superare il suo deficit di crescita. La Germania ha spazio per una manovra di finanza pubblica. Il messaggio dalle elezioni greche è che la Merkel dovrebbe usarlo, prima che sia troppo tardi.
[1] Nota forse superflua, ma in questo caso è chiaro che l’Autore si sta riferendo ad una riduzione del debito derivante dalla politiche nazionali e non da un negoziato tra nuovo Governo greco ed Europa. Come dire che non c’è crescita con l’austerità, e neanche, di conseguenza, riforme.
By mm
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