January 30, 2015 7:50 pm
In the long run, of course, when we’re all dead.
I’m scrambling on last-minute course prep, so not much blogging today. But yesterday’s Steve Rattner article, misuse of labor cost data aside, had me thinking about an issue that has had me annoyed ever since this crisis began: the constant efforts on the part of Very Serious People to turn discussions away from monetary and fiscal policy, recessions and sluggish recoveries, to the supposedly more fundamental issues of structural reform and long-term growth. Rattner dismisses the austerity/stimulus debate as “simplistic”; Jeff Sachs calls Keynesian concerns “crude”; many, many people (I’d guess an especially large fraction of those at Davos) are eager to get away from all this deflation stuff and talk about how what they imagine to be, or wish were, the really important issues like Big Data and a world that’s even flatter.
There were people like that during the Great Depression too — dismissing as naive any notion that you could put the unemployed back to work just by spending more, and surely technological unemployment was the real story, and anyway we should be looking at the broad sweep of history and institutions, right?
So, a few points.
First, we’re now in year eight of a massive setback to economic growth, to living standards; US per capita GDP has barely surpassed 2007 levels, while median income is still far below, and Europe is doing much worse. Technology hasn’t retrogressed; institutions haven’t suddenly gotten far worse. This is about the business cycle, and about business cycle policy. If you want to ignore all that, because in the long run it’s the fundamentals that matter, you’re exactly the kind of person Keynes was mocking:
But this long run is a misleading guide to current affairs. In the long run we are all dead. Economists set themselves too easy, too useless a task if in tempestuous seasons they can only tell us that when the storm is long past the ocean is flat again.
Second, more or less Keynesian macroeconomics — the macroeconomics of short-run fluctuations driven by aggregate demand — has worked very well in this long slump. While people were very seriously intoning that it was simplistic and crude to think that those little models could be of any use in a changing world yada yada, macroeconomists were making remarkable, counterintuitive predictions — about inflation (or the lack thereof), about interest rates, about the effects of austerity — that came true and were, if you think about it, an intellectual triumph. Yes, good macro tends to be simple, at least conceptually; but simple and simplistic aren’t the same thing, and by and large people who solemnly declared that things are more complicated than that ended up with lots of egg on their faces.
Third, what’s really striking about all the talk about how long-run structural issues are the real thing is how fuzzy the thinking is. In a world that is short of demand, how, exactly, is structural reform that enhances the supply side (if it does) supposed to solve the problem? If Europe’s problem is lack of competitiveness, why doesn’t a weaker euro solve it — and for that matter, why is Europe as a whole, and Germany in particular in trade surplus? For people who are supposedly so serious, the Very Serious seem remarkably casual about thinking things through.
Finally, I know that people who airily dismiss the austerity debate and all that and demand that we focus on the long run think they’re taking a brave stand; but you know, they aren’t. In fact, they’re ducking the truly hard issues — because let’s face it, stimulus and austerity, QE or not, are politically charged issues where taking any kind of stand will get you attacked. And since they are also important issues, pretending that they aren’t is a form of moral cowardice.
Vedo Persone Molto Serie morte
Nel lungo periodo, naturalmente, quando morti saremo tutti.
Mi sto arrampicando all’ultimo momento sulla preparazione del corso, e dunque oggi non ho molto tempo per il blog. Ma l’articolo di ieri di Steve Rattner, a parte l’uso sbagliato dei dati sul costo del lavoro, mi ha fatto pensare ad un tema che mi ha irritato sin da quando ebbe inizio la crisi: gli sforzi costanti da parte delle Persone Molto Serie [1] di spostare il dibattito dalla politica monetaria e della finanza pubblica, ai temi che si presumono più fondamentali delle riforme strutturali e della crescita a lungo termine. Rattner liquida il dibattito sull’austerità e sulle misure di sostegno come “semplicistico”; Jeff Sachs definisce le preoccupazioni keynesiane “rozze”; molta altra gente (direi una parte particolarmente ampia di coloro che frequentano Davos) sono ansiosi di sfuggire alle questioni della deflazione, per quelli che essi si immaginano essere, o vorrebbero che fossero, i temi realmente importanti come Big Data ed un mondo che è persino più stagnante.
Anche durante la Grande Depressione c’erano persone simili – che liquidavano come ingenua ogni idea secondo la quale si poteva riportare la gente al lavoro soltanto con una spesa maggiore, e certamente la spiegazione vera era la disoccupazione tecnologica, e in ogni modo avremmo dovuto guardare all’ambito generale della storia e delle istituzioni, non è così?
Dunque, pochi punti.
Il primo, siamo all’ottavo anno di una massiccia inversione nella crescita economica e nei livelli di vita; il PIL procapite negli Stati Uniti ha appena superato i livelli del 2007, mentre il reddito medio è ancora assai al di sotto, e l’Europa sta andando molto peggio. La tecnologia non è regredita; le istituzioni non sono diventate all’improvviso peggiori. Tutto questo riguarda il ciclo economico, e le politica che attiene al ciclo economico. Se volete ignorare tutto questo, perché i fondamentali che contano sono nel lungo periodo, siete esattamente il genere di persone alle quali si riferiva Keynes con la sua ironia:
“Ma questo lungo periodo è una guida fuorviante per i problemi attuali. Nel lungo periodo saremo tutti morti. Gli economisti si affidano un compito troppo semplice e discretamente inutile se nei periodi tempestosi si riducono a dirci che quando la tempesta sarà da un bel po’ passata l’oceano diventerà nuovamente calmo.”
Il secondo punto, la macroeconomia più o meno keynesiana – la macroeconomia delle fluttuazioni di breve periodo guidate dalla domanda aggregata – in questa prolungata crisi ha funzionato ottimamente. Mentre molti recitavano seriamente la solita solfa secondo la quale era semplicistico e grossolano pensare che quei piccoli modelli potessero essere di qualche utilità nel cambiare il mondo, i macroeconomisti facevano rilevanti previsioni basate su ipotesi alternative – riguardo all’inflazione (o alla sua assenza), ai tassi di interesse, agli effetti dell’austerità – che si sono rivelate vere e che sono state, se ci pensate, un trionfo intellettuale. E’ vero, la buona economia tende ad essere semplice, almeno concettualmente; ma semplice e semplicistico non sono la stessa cosa, e in linea di massima le persone che dichiaravano solennemente che le cose erano più complicate di tutto ciò, sono finite col fare una figuraccia.
Il terzo punto, quello che è davvero impressionante in tutto quel parlare su come la questione vera siano i temi strutturali di lungo periodo, è quanto quel modo di ragionare sia nebuloso. In un mondo che a corto di domanda, in che modo, esattamente, le riforme strutturali che migliorano l’aspetto dell’offerta (ammesso che lo facciano) si pensa che risolvano il problema? Se il problema dell’Europa è una mancanza di competitività, perché un euro più debole non lo risolve – e perché, dallo stesso punto di vista, l’Europa nel suo complesso e la Germania particolarmente hanno un surplus commerciale? Per individui che sono ritenuti anch’essi seri, i Molto Seri sembrano considerevolmente disinvolti nel ragionare a fondo sulle cose.
Infine, capisco che le persone che spensieratamente liquidano il dibattito sull’austerità e chiedono che ci si concentri sul lungo periodo pensano di assumere posizioni coraggiose; ma si deve sapere che non è così. Di fatto, esse stanno schivando i temi realmente difficili – perché farci i conti, sulle misure di sostegno o l’austerità, sulla Facilitazione Quantitativa oppure no, sono questioni politicamente impegnative, dove assumere una qualsiasi genere di posizione comporta che si sarà oggetto di attacchi. E dal momento che sono anche questioni importanti, fingere che non lo siano è una forma di viltà morale.
[1] E’ una delle espressioni ironiche costanti del repertorio krugmaniano, obbligatoriamente a lettere maiuscole. Vedi le note sulla traduzione.
By mm
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