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Asimmetrie e incertezze, di Simon Wren-Lewis (da Mainly Macro, 6 febbraio 2015)

 

Friday, 6 February 2015

Asymmetries and Uncertainties

By Simon Wren-Lewis

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This post starts off talking about the UK, but goes on to make more general points about why we may have wasted resources on a huge scale over the last five years, and why this waste may be continuing.

I presented my new National Institute Economic Review paper on the macroeconomic record of the UK Coalition government yesterday, and reaction mainly focused on my conservative estimates of the cost of the move to austerity in 2010 and 2011: a cumulated loss of 5% of GDP or £1500 for each adult and child. The basis for those figures is outlined here, and their conservative nature comes from taking OBR estimates for the impact of fiscal contraction, and assuming (rather improbably) that the output lost through austerity was entirely recovered by 2013.

The key issue with numbers of this kind involves monetary policy. Some argue that without austerity monetary policy would have been more contractionary: the ‘offset’ argument. Of course some of the large increase in UK inflation in 2011 was the direct result of austerity: the VAT increase is the obvious example. In addition, the inflation of 2011 was not foreseen in 2010, so it does not alter the fact that austerity was a policy mistake, but just influences any calculation of the size of the mistake.

The paper addresses the offset argument. I use Bank of England forecasts to suggest that monetary policy was not able to hit its target for forecast inflation for much of this period, implying that the Zero Lower Bound (ZLB) constraint was biting. If the ZLB constraint bites, there will be no offset. Not surprisingly, when that target for expected inflation was not met, the Quantitative Easing programme was expanded. There was only a brief period in 2011 when this was not true, which was the period in which 3 out of 9 MPC members voted to increase rates. So if we had not had 2010 austerity, then at most interest rates might have begun rising in 2011, which given lags might have reduced GDP to some extent that year. But crucially the OBR numbers that I use already embody some monetary offset, because they are based on empirical estimates of average multipliers over the past. To use these OBR numbers and then do some monetary offset involves double counting.

However, I want to stay with my ‘no austerity’ counterfactual to make a more fundamental point. If interest rates had been raised in 2011, and this had reduced GDP in 2011 and 2012, we would now be talking about the MPC’s 2011 mistake, rather than the government’s 2010 mistake. I would be calculating how much GDP had been wasted in 2011 and 2012 as a result of premature monetary tightening. I would be right to do so, because the costs of delaying a recovery from a deep recession dwarf any benefits from reducing inflation a bit following a commodity price shock.

This indicates a fundamental problem, which policymakers have still not taken on board. For whatever reason (resistance to nominal wage cuts being the most obvious), inflation ceases to be a good indicator of underutilised resources when inflation starts off low and we have a major negative demand shock. Policymakers are continuing to make this mistake today: core inflation is not too far away from target, and growth is quite healthy, so it is OK to do nothing (or in the Eurozone, it is OK to wait for ages before doing anything). However it seems quite possible that GDP continues to be quite a few percentage points below where it could be without inflation exceeding its target, so we continue to waste resources on a huge scale. This is money down the drain that we will never get back. It is like taxing households thousands of pounds or dollars or euros a year and burning that money.

One way to put this point is to go back to the basic rationalisation behind flexible inflation targeting. It is OK to have a target based on inflation alone, with no mention of the output gap, because you cannot in the long run keep inflation at target without also keeping the output gap at zero. This is sometimes called the divine coincidence. However if, at low inflation rates, inflation becomes a noisy, weak and asymmetric indicator of the output gap, then focusing on inflation is going to perform badly. In these circumstances it could be many years before it becomes clear that we have been continually running the economy under capacity, and needlessly wasting resources. Unfortunately even when that point of realisation arrives, for obvious reasons monetary policymakers are going to be reluctant to acknowledge the mistake.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Asimmetrie e incertezze

Di Simon Wren-Lewis

 

Questo post inizia col parlare del Regno Unito, ma procede col porre temi più generali sulle ragioni per le quali abbiamo sprecato risorse in grandi dimensioni negli ultimi cinque anni, e sul perché questo spreco può continuare.

 

Ieri ho presentato il mio saggio per la National Institute Economic Review sulle serie macroeconomiche del Governo di coalizione del Regno Unito, e le reazioni si sono concentrate principalmente sulle stime del costo del passaggio all’austerità negli anni 2010 e 2011: un costo complessivo pari al 5% del PIL, oppure a 1.500 sterline per ogni adulto e bambino. La base per tali dati è delineata in questa connessione [1], e la loro natura conservativa deriva dall’usare le stime sull’impatto della restrizione della finanza pubblica dell’Office for Budget Responsability (OBR), e dall’assumere (cosa piuttosto improbabile) che il prodotto perduto attraverso l’austerità sia stato interamente recuperato col 2013.

Il tema cruciale con dati di questo genere riguarda la politica monetaria. Alcuni sostengono che senza l’austerità la politica monetaria sarebbe stata più restrittiva; è l’argomento del “riequilibrio”. Naturalmente una parte dell’ampio incremento dell’inflazione nel Regno Unito nel 2011 fu il diretto risultato dell’austerità: l’incremento dell’IVA è l’esempio evidente. In aggiunta, l’inflazione del 2011 non venne prevista nel 2010, cosicché, pur non modificando il fatto che l’austerità fu un errore politico, ciò influenza proprio ogni genere di calcolo sulle dimensioni dell’errore.

Lo studio affronta l’argomento del riequilibrio. Uso le previsioni della Banca di Inghilterra per suggerire che la politica monetaria non è stata capace per buona parte di questo periodo di raggiungere il suo obbiettivo di inflazione prevista, deducendone che il limite inferiore dello zero (ZLB) stava facendo effetto. Se lo ZLB morde, non c’è riequilibrio. Non sorprendentemente, allorché l’obbiettivo di inflazione attesa non è stato ottenuto, il programma della Facilitazione Quantitativa è stato ampliato. C’è stato un solo periodo nel 2011 nel quale le cose sono andate diversamente, ed è stato il periodo nel quale 3 dei 9 componenti dello MPC [2] votarono per accrescere i tassi. Dunque, se non avessimo avuto l’austerità del 2010, allora al massimo i tassi di interesse avrebbero potuto cominciare a crescere nel 2011, il che considerati gli sfasamenti avrebbe in qualche misura ridotto il PIL di quell’anno. Ma fondamentalmente i dati dell’OBR che io utilizzo già incorporano un qualche bilanciamento monetario, perché sono basati su stime empiriche dei moltiplicatori medi nel passato. Utilizzare i dati dell’OBR e poi operare qualche bilanciamento sul lato della politica monetaria, sarebbe come contarli due volte.

Tuttavia, intendo restare con la mia ipotesi alternativa di “nessuna austerità” per avanzare un argomento più di fondo. Se i tassi di interesse fossero saliti nel 2011, e questo avesse ridotto il PIL nel 2011 e nel 2012, noi ora staremmo parlando dell’errore del MPC nel 2011, piuttosto che di quello del Governo nel 2010. Io starei calcolando quanto PIL è stato sprecato nel 2011 e nel 2012 in conseguenza di una prematura restrizione monetaria. E lo farei a ragione, perché i costi di un rinvio della ripresa da una profonda recessione minimizzano ogni beneficio da una inflazione che si riduce, in una certa misura a seguito dell’impatto del prezzo delle materie prime.

Questo indica un problema fondamentale, con il quale gli operatori politici non si sono ancora misurati. Per una qualche ragione (la resistenza ai tagli dei salari nominali è la più ovvia), l’inflazione cessa di essere un buon indicatore della sottoutilizzazione delle risorse quando l’inflazione comincia ad essere bassa ed abbiamo un importante impatto negativo sulla domanda. Gli operatori politici continuano a fare questo errore in questo momento: l’inflazione sostanziale non è troppo lontana dall’obbiettivo e la crescita è abbastanza sana, cosicché va bene non far niente (oppure, nell’eurozona, va bene aspettare per anni prima di fare qualcosa). Tuttavia sembra abbastanza probabile che il PIL continui a stare di qualche punto percentuale al di sotto di dove dovrebbe essere senza che l’inflazione ecceda il suo obbiettivo, di modo che continuiamo a sprecare risorse su vasta scala. Questo è denaro che se ne va in fumo e che non recupereremo mai. E’ come tassare le famiglie per migliaia di sterline o di dollari o di euro e bruciare quei soldi.

Un modo di porre questo punto è quello di tornare alla logica di base che sta dietro gli obbiettivi flessibili di inflazione. Va bene avere un obbiettivo soltanto basato sull’inflazione, senza alcun riferimento al differenziale della produzione, perché nel lungo periodo non si può tenere l’inflazione al suo obbiettivo senza al tempo stesso avere il differenziale di produzione a zero. Questa talvolta viene chiamata la ‘divina coincidenza’[3]. Tuttavia, a basse percentuali di inflazione, l’inflazione diventa un indicatore inaccurato, debole e asimmetrico, del differenziale di produzione; in quel caso concentrarsi sull’inflazione è destinato a generare prestazioni negative. In quelle circostanze, potrebbero trascorrere anni prima che diventi chiaro che abbiamo governato l’economia al di sotto delle sue potenzialità, sprecando risorse senza che ve ne fosse necessità. Sfortunatamente, anche quando arriva il momento di quella comprensione, per ragioni evidenti gli operatori delle politica monetaria sono propensi ad essere riluttanti ad ammettere l’errore.

 

 

[1] Nel testo inglese.

[2] Monetary Policy Committee è il comitato della Banca di Inghilterra che decide dei tassi di interesse, riunendosi tradizionalmente per due giorni e mezzo ogni mese. Esso presiede anche alle decisioni più importanti di politica monetaria, quali gli interventi di ‘facilitazione quantitativa’.

[3] E’ una espressione che risale ad un lavoro di Olivier Blanchard e Jordi Gali nel 2005. Sta a significare che il bilanciamento, appunto, tra stabilizzazione dell’inflazione e stabilizzazione del differenziale della produzione (ovvero della differenza tra la produzione attuale e quella possibile) può non essere una prerogativa nei modelli usati dalle banche centrali. Invece, modelli neokeynesiani capaci di considerare alcune reali imperfezioni – quali le resistenze a diminuire nei salari nominali – possono consentire alle banche di ottenere quel bilanciamento. Senza contare, appunto, su una ‘divina coincidenza’.

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