February 1, 2015 9:15 am
I see from Ezra Klein that Andrew Sullivan says that he’s stopping blogging; Klein and others are offering various encomiums. You’ll pardon me if I don’t join in. You see, I remember Sullivan declaring that the “decadent left” was poised to become a fifth column in the war on terror — and of course I remember the campaign of character assassination he waged against yours truly for daring to criticize his then-beloved George W. Bush and his wars. If he ever apologized for any of that, I never heard about it.
But never mind. What was interesting in Ezra’s piece was the suggestion that a golden age of blogging, in which blogs were a personal conversation between the blogger and the audience, has passed. That seems to me to be an incomplete story, both about the past and about the present.
One one side, I think you’re missing a crucial part of the history of political blogging if you fail to acknowledge the importance, back in the early 2000s, of right-wing warbloggers — which is where Sullivan started. You hardly hear about most of these people now, but for a while cheering on the Rumsfeld doctrine and giving it to lily-livered liberals was a big part of what the blogosphere — certainly the part given any attention by mainstream news media — was about.
On the other side, as far as I can tell there’s still plenty of room for independent bloggers who bring real expertise to bear on issues. I don’t necessarily mean professional credentials; look at the important role Charles Gaba has come to play in health care policy, simply by being a numerate guy who got seriously interested in the real state of affairs on health reform. But the econoblogosphere largely consists of tenured professors engaged in an ongoing dialogue about the post Great Recession world, and it’s more vital than ever.
But has the nature of blogging changed? Ezra suggests that social media have undermined the original version of blogging, in which a blog was a personal conversation between the blogger and his or her audience; now pieces have to be stand-alones that work for all the people who see them via a retweet or whatever. I can see what he’s trying to say. But as someone who got seriously into blogging just as, according to Klein, the golden era was coming to an end — and as a writer who, much to his own surprise, has developed a fairly imposing social media presence for someone who isn’t Katy Perry — it seems to me that there’s less conflict involved than Ezra suggests.
Yes, there is a tension between maintaining a conversational feel and producing pieces that can be read on their own. But it’s a tension, not a contradiction: you can, with effort, maintain a blogging style that makes regular readers feel that they’re part of an ongoing conversation yet makes individual posts meaningful to people who aren’t reading everything you write. A blog can be a floor wax and a dessert topping, if you work at it.
And it’s not just me. I do think that a post like, say, my recent entry on very serious dead people has some special resonance for long-term readers, who will get the references to VSPs, the trademark nerdy cultural allusions, etc., while at the same time it makes an argument with thesis, supporting evidence, and summary that works for other readers. But others do the same. When Brad DeLong does one of his pseudo-Socratic dialogues, regular readers get a special frisson from the resonance with previous posts using the same trick, but new readers can also get a lot out of it. Simon Wren-Lewis, a newish but increasingly important player, writes elegant little essays that very much stand on their own, but are also very much part of a cumulative narrative. And so on.
Now, econ bloggers may be something of a special case. All of us have day jobs; for all of us the payoff to blogging is somewhat hard to pin down, although having a blog that a lot of people in finance and government read has a very real impact on which doors open when you knock. But I don’t think the lesson is unique to any one field. By all means write individual posts that stand, intellectually and stylistically, on their own. By all means cultivate a voice and a set of insights that carry across many posts, so that the blog is better the more you read it. These aren’t incompatible goals, and they can reinforce each other.
Oh — and never, never, get too self-important. I know that quite a few people read this blog; that the title of this post will be tweeted to 1.3 million people. But I do my best not to think about that when I write, and continue to think of this as a conversation with a few people I like and respect. There are lots of ways to do this thing well, but stuffiness and pretentiousness won’t fit into any of them.
Cere da pavimenti, guarnizioni per dolci e produzione di blog
Apprendo da Ezra Klein che Andrew Sullivan [1] dice che interrompe la sua attività sul blog; Klein ed altri gli rivolgono apprezzamenti vari. Mi scuserete se non aderisco. Vedete, io mi ricordo di Sullivan quando dichiarava che la “sinistra decadente” era prossima a diventare una quinta colonna nella guerra al terrorismo – e naturalmente mi ricordo della campagna con caratteri di diffamazione che condusse contro il sottoscritto per aver osato criticare il suo allora amato George W. Bush e le sue guerre. Non l’ho mai sentito scusarsi per cose come quelle.
Ma non è importante. Era interessante nell’articolo di Ezra la suggestione secondo la quale l’età dell’oro nella produzione di blogs, il periodo nel quale essi rappresentavano un dibattito personale tra l’autore ed il pubblico, è tramontato. Questo mi pare un racconto incompleto, sia per il passato che per il presente.
Da un parte, penso ci si stia dimenticando di una parte cruciale della storia dei blogs politici se non si riconosce l’importanza, nei passati anni 2000, dei bloggers guerrafondai della destra – con i quali Sullivan fece le prime mosse. A fatica si sentono menzionare oggi gran parte di queste persone, ma per un certo tempo il sostegno alla dottrina Rumsfeld [2] e il trattare come codardi i progressisti fu una gran parte delle cose di cui si occupava la blogosfera – certamente la parte alla quale si rivolgevano tutte le attenzioni dei notiziari sui media principali.
D’altra parte, per quanto posso dire c’è ancora una quantità di spazio per blogger indipendenti che portano reali esperienze a sostegno della loro influenza su vari tematiche. Non mi riferisco necessariamente a credenziali professionali: si veda l’importante ruolo che Charles Gaba è arrivato ad esercitare sulla politica della assistenza sanitaria, semplicemente in quanto persona capace di fare i conti che si è interessata seriamente dello stato effettivo delle cose in materia di riforma sanitaria. Ma la ‘econoblogosfera’ [3] consiste in gran parte di professori accreditati che si impegnano in un continuo dibattito sul mondo successivo alla Grande Recessione, ed è più vitale che mai.
E’ però cambiata la natura dei blog? Ezra suggerisce che i social media hanno minato la versione originale dei blog, secondo la quale un blog era una conversazione personale tra l’autore e il pubblico (di lui o di lei); ora gli articoli devono essere argomenti singoli che funzionano per persone che li scoprono attraverso un retweet o in modi simili. Posso capire cosa sta cercando di dire. Ma come persona che si è interessata seriamente ai blog proprio mentre, secondo Klein, l’età dell’ora stava venendo al termine – e come scrittore che, con sua grande sorpresa, ha sviluppato una presenza abbastanza impressionante nei social media, per qualcuno che non è Katy Perry [4] – sembra a me che a questo riguardo ci sia meno conflitto di quello che Ezra suggerisce.
Sì, c’è una tensione tra il mantenere una sensazione di conversazione e il produrre pezzi che possono essere letti per proprio conto. Ma è una tensione, non una contraddizione: si può, con impegno, mantenere uno stile da blog che faccia sentire i lettori regolari come partecipi di una discussione che continua e tuttavia offra singoli post che risultano significativi per persone che non leggono tutto quello che viene scritto. Un blog può essere sia cera per pavimenti che guarnizione per dolci [5], se ci si lavora.
E non si tratta soltanto del sottoscritto. Io credo che un post, ad esempio, come quello recentemente pubblicato sulle “Persone Molto Serie morte” abbia qualche particolare risonanza per i lettori da lungo tempo, che comprenderanno i riferimenti alle PMS [6], la allusione culturale caratteristica per esperti etc., mentre allo stesso tempo esso avanza un argomento con una tesi, suffragato da prove, ed una sintesi che funziona per altri lettori. Ma altri fanno la stessa cosa. Quando Brad DeLong scrive uno dei suoi dialoghi pseudo-socratici, i lettori regolari ottengono un particolare effetto per la somiglianza con precedenti post che hanno utilizzato lo stesso artificio, ma anche i nuovi lettori possono trarne molto. Simon Wren-Lewis, un protagonista recente ma sempre più importante, scrive piccoli saggi eleganti ognuno dei quali ha un senso suo proprio, ma che al tempo stesso sono davvero una buona parte di una narrazione che si sviluppa. E così via.
Ora, i bloggers economici possono essere un caso particolare. Tutti noi abbiamo le nostre attività quotidiane; per tutti il risultato della attività del blog è qualcosa difficile da determinare, sebbene avere un blog che una quantità di persone nel settore finanziario e nel governo leggono ha un impatto del tutto concreto nel fare in modo che ci siano porte aperte, quando si bussa. Ma non penso che ci sia una lezione unica per ogni disciplina. Certamente, scrivete post singoli che hanno un loro senso, intellettualmente e stilisticamente. Ancora, alimentate una voce ed un complesso di intuizioni che si trasmettono attraverso molti interventi, cosicché il blog è migliore più che lo si legge. Questi non sono obbiettivi incompatibili, e possono rafforzarsi l’uno con l’altro.
Infine – mai, mai diventate troppo importanti per voi stessi. Io so che parecchie persone leggono questo blog; che il titolo di questo post verrà twittato ad un milione e trecentomila persone. Ma faccio del mio meglio per non pensarci mentre scrivo, e continuo a pensarla come una conversazione con poche persone che mi piacciono e che rispetto. Ci sono una quantità di modi per far bene questa cosa, ma la boria e la pretenziosità non si adattano a nessuno di essi.
[1] Andrew Sullivan – assieme a Josh Marshall – è considerato il padre della blogosfera statunitense.
[2] Donald Rumsfeld è stato Segretario alla Difesa con il Presidente Ford e, dal 2001 al 2006, con George Bush. Prima ancora di questa ultima esperienza, nel 1997, fu uno dei fondatori del gruppo Progetto per un nuovo secolo americano, un gruppo della destra ultraconservatrice statunitense che ebbe un ruolo importante nella decisione della guerra in Iraq.
[3] Ovvero il mondo dei blog che si occupano di economia. Su questo tema si troveranno molti interventi di Krugman, se si scorrono i post degli ultimi anni.
[4] Si riferisce, come si comprende, a se stesso (la connessione rimanda al grande seguito che gli articoli di Krugman hanno su Twitter), pur non avendo caratteristiche paragonabili ad una cantautrice americana come Katy Perry.
[5] Viene, per quanto ne so, dal linguaggio di trasmissioni televisive, ma significa che si possono mettere assieme ed ottenere i risultati più diversi.
[6] Persone Molto Serie, in italiano.
By mm
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