Blog di Krugman

Grecia: la cravatta che non crea vincoli (9 febbraio 2015)

 

Greece: The Tie That Doesn’t Bind

February 9, 2015 6:43 am

 

Relations between Greece and its creditors are not improving. Was this bad diplomacy on the part of Tsipras/Varoufakis? Maybe, but my guess is that there was nothing they could do to avoid a bitter confrontation short of immediate betrayal of the voters who put them in office. And creditor-country officials are acting as if they still expect that to happen, just as it has repeatedly over the past five years.

But they’re almost surely wrong. The dynamics are very different this time, and failing to understand them could all too easily lead to unnecessary disaster.

Actually, let me stress the “unnecessary” aspect. What Greece is asking for — although German voters probably don’t know this — is not a fresh infusion of money. All that’s on the table is a reduction in the primary surplus — that is, a reduction in Greek payments on existing debt. And we have often been told that everyone understands that the official target surplus, 4.5 percent of GDP, is unreasonable and unattainable. So Greece is, in effect, only asking that it get to recognize the reality everyone supposedly already understands.

Why, then, are things boiling over? Partly because what “everyone knows” has never been explained to northern European electorates, so that the time to recognize reality is always at some future date. Partly also, I suspect, because creditors have come to expect the symbolism of debtor governments abjectly abandoning their campaign promises in the name of responsibility, and are waiting for the new Greek government to pay the usual tribute of humiliation.

But as I said, the dynamic is very different this time.

I’ve long believed that Matthew Yglesias hit on something really important when he noted that small-country politicians generally have personal incentives to go along with troika demands even if they are against their nation’s interests:

Normally you would think that a national prime minister’s best option is to try to do the stuff that’s likely to get him re-elected. No matter how bleak the outlook, this is your dominant strategy. But in the era of globalization and EU-ification, I think the leaders of small countries are actually in a somewhat different situation. If you leave office held in high esteem by the Davos set, there are any number of European Commission or IMF or whatnot gigs that you might be eligible for even if you’re absolutely despised by your fellow countrymen. Indeed, in some ways being absolutely despised would be a plus. The ultimate demonstration of solidarity to the “international community” would be to do what the international community wants even in the face of massive resistance from your domestic political constituency.

But a genuine government of the left, as opposed to the center-left, is very different — not because its policy ideas are wild and crazy, which they aren’t, but because its officials are never going to be held in high esteem by the Davos set. Alexis Tsipras is not going to be on bank boards of directors, president of the BIS, or, probably, an EU commissioner. Varoufakis doesn’t even like wearing ties — which, consciously or not, is a way of declaring visually that he is not going to play the usual game. The new Greek leaders will succeed or fail, personally, based on what happens to Greece; there will be no consolation prizes for failing conventionally.

Do Berlin and Brussels understand this? If not, they are operating under a dangerous misconception.

 

Grecia: la cravatta che non crea vincoli [1]

I rapporti tra la Grecia ed i suoi creditori non stanno migliorando. E’ dipeso da una cattiva diplomazia da parte di Tsipras/Varoufakis? Forse, ma la mia impressione è che non ci fosse niente che essi potevano fare per evitare un confronto aspro, se non un immediato tradimento dei cittadini che li hanno eletti nella loro carica. Ed i dirigenti dei paesi creditori stanno agendo come si aspettassero ancora che accada quello, come è ripetutamente successo nei cinque anni passati.

Ma quasi certamente si sbagliano. Questa volta le dinamiche sono molto diverse, e non riuscire a comprenderle potrebbe anche troppo facilmente portare ad un disastro evitabile.

Mi sia consentito di riflettere meglio su questo aspetto della “evitabilità”. Quello che la Grecia sta chiedendo – sebbene probabilmente gli elettori tedeschi non ne siano al corrente – non è una immissione di nuovo denaro. Tutto quello che è sul tavolo è una riduzione nell’avanzo primario – vale a dire, una riduzione dei pagamenti sul debito esistente da parte dei greci. E ci è stato spesso detto che ognuno comprende che l’obbiettivo ufficiale di quell’avanzo, il 4,5 per cento del PIL, è irragionevole e irraggiungibile. Dunque, la Grecia sta in effetti solo chiedendo il riconoscimento di un dato di fatto che si suppone che tutti abbiano già chiaro.

Perché, dunque, si sta perdendo il controllo della situazione? In parte perché quello che “tutti sanno” non è mai stato spiegato agli elettori del nord Europa, secondo l’abitudine per la quale il tempo per riconoscere la realtà viene sempre rinviato a qualche data futura. In parte anche, sospetto, perché i creditori sono propensi ad aspettarsi l’effetto simbolico dei governi indebitati che abbandonano vilmente le loro promesse elettorali in nome della responsabilità, e stanno aspettando che il Governo greco paghi il consueto tributo di umiliazione.

Ma questa volta, come ho detto, la dinamica è assai diversa.

Da tempo ritengo che Matthew Yglesias abbia toccato un punto davvero importante quando osservò che gli uomini politici dei piccoli paesi hanno dei vantaggi personali ad assecondare le richieste della troika, anche se sono contrari agli interessi della loro nazione [2]:

“Normalmente si è indotti a pensare che la opzione migliore per il Primo Ministro di una nazione sia cercar di fare cose che è probabile lo portino ad essere rieletto. Non è importante quanto la prospettiva sia cupa, è questa la loro strategia dominante. Ma nell’epoca della globalizzazione e della ‘europeizzazione’, io penso che i dirigenti dei paesi piccoli siano effettivamente in una situazione un po’ diversa. Se fate in modo che il vostro incarico sia tenuto in alta stima dal gruppo di Davos, c’è un certo numero di Commissioni Europee o di Fondi Monetari Internazionali o di alcuni altri lavoretti per i quali potreste essere nominati, anche se siete assolutamente disprezzati dai vostri concittadini. In effetti, in qualche modo essere assolutamente disprezzati potrebbe essere un vantaggio. L’ultima dimostrazione di solidarietà verso la “comunità internazionale” è quella di fare ciò che la comunità internazionale vuole, anche a fronte di una massiccia resistenza da parte del vostro seguito politico nazionale.”

Ma un Governo genuino della sinistra, diversamente dal centro-sinistra, è assai diverso – non perché abbia opinioni politiche irriducibili e pazzesche, non è quello il punto, ma perché i suoi esponenti non sono mai destinati ad avere una stima elevata dal gruppo di Davos. Alexis Tsipras non è destinato a trovare un posto negli organi direttivi di una banca, o come Presidente della Banca per i Regolamenti Internazionali, né, probabilmente, come commissario dell’Unione Europea. A Varoufakis non piace neppure mettersi la cravatta – la qualcosa, coscientemente o meno, è un modo per affermare che egli non ha intenzione di giocare la solita partita. I nuovi dirigenti greci avranno successo o falliranno, in quanto persone, sulla base di quello che succede alla Grecia: non ci saranno premi di consolazione convenzionali per i loro insuccessi.

Capiscono questo Berlino e Bruxelles? Se non lo capiscono, stanno agendo sotto l’effetto di un pericoloso equivoco.

 

 

 

[1] Il legame. Ma in questo caso forse si tratta proprio della cravatta (di Varoufakis). O meglio, della non-cravatta di Varoufakis.

[2] La tesi sotto riportata venne espressa il 5 novembre del 2011 in un post di Yglesias dal titolo “La classe dirigente globale”.

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